La partita di calcio

Boccaccio era il portiere,
il gran portiere giallo
della squadra del quartiere.
Stava all’erta come un gallo sulla porta del campetto
alla periferia.
Diceva: << Qua sul petto,
ed ogni palla è mia >>. Ma quel giorno, chi lo sa,
sbuca di qua sbuca di là
‐ Boccaccio attento! ‐ pa pa
la palla è in rete. << Ma va,
ma va, Boccaccio, è uno >>. Attento, di qua di là,
passa non passa, tira.
Boccaccio si rigira;
si tuffa ‐ passerà?‐
<<Qui non passa nessuno >>,
ma la palla è nel sacco. E son due. Lo smacco,
i fischi, e poi sotto...
<< Salta a pugno, Boccaccio,
ma non la vedi dov’è,
salta, salta...>> E son tre. E quattro e cinque e sei.
‐ Boccaccio dove sei?‐
E sette e otto e nove
e piove e piove e piove
con grandine e con tuoni. 
Quattordici palloni
nella rete di Boccaccio
poveretto poveraccio,
bianco come uno straccio
col berretto da fantino
ubriaco senza vino. Quanti fischi! e poi << cretino >>,
<< pastafrolla >>, << posapiano >>,
<< tappabuchi >>, << moscardino! >>
Oh, quel povero Boccaccio
nella furia del baccano
si strappava i suoi capelli
e la folla dai cancelli
gli gridava: << Ancora, ancora >>. Tutti tutti, ad uno ad uno
si strappò capelli e baffi
e poi schiaffi sopra schiaffi
si ridette per lezione.
Restò lì con la sua testa
tonda, liscia come palla.
<< Oh, son quindici con questa
‐ gli gridò dietro la folla ‐
tappabuchi, pastafrolla
vai a guardia d’un portone...! >> E difatti il buon Boccaccio
col berretto e col gallone,
mani pronte e spazzolone,
oggi è a guardia d’un portone
dove passano persone
che fermare egli non può,
dieci venti cento e più.