Madre, ti riconosco tardi
Madre,
sei la stanza dove il dolore
ha imparato a pregare.
Nel tuo silenzio c’è il pane spezzato
dei giorni difficili,
c’è il nome che non ho saputo dire
quando avevo la voce piena di fuga.
Io vengo ora,
con le mani sporche di tempo,
a bussare alle tue ginocchia stanche,
altari bassi dove ho imparato a cadere.
Le tue rughe non sono ferite,
sono sentieri:
ognuna conduce a una rinuncia,
a una veglia,
a un amore rimasto sveglio
mentre io dormivo lontano.
Tu mi hai partorito due volte:
una nel sangue,
una nell’attesa.
E io, figlio disordinato,
ti riconosco adesso
nel tremito delle tue carezze mancate,
in quel tuo modo di restare
anche quando nessuno tornava.
Madre,
non chiedermi redenzione,
lasciami solo sedere accanto a te
e imparare lentamente
la grammatica del perdono.
Che l’amore cominci tardi,
ma cominci.
Come una preghiera senza chiesa,
come un figlio
che finalmente resta.