Ottobre

La prima volta che l'ho visto
rivoltava delle pere
per metterle con la pancia al sole
nel punto dov'erano ammaccate.
Poi aveva disteso dei semi bianchi di zucca
sopra una latta arrugginita
per togliergli quell'umidore che avevano addosso.
Le mele erano mollicce
anche se le aveva avvolte nella paglia
sulla sponda d'erba
che scivolava fino all'acqua del fiume.
I grappoli d'uva parevano dei mucchietti
di pallini da caccia
e i cavoli stavano inchiodati a terra
con gli orli come fossero di ferro e lui
gli buttava addosso della cenere con un cucchiaio.
Insomma l'orto era un ospedale
e lui faceva da dottore, dato che dalla Russia
era arrivato quel polverone
che aveva rotto il cielo che stava alle finestre
e cancellato gli uccelli; le foglie degli alberi
e la faccia della gente parevano dei cartocci.
Si chiamava Eliseo e aveva ottant'anni e più.
Era restato solo a vivere col suo orto
a Ranco, una borgata di case abbandonate
dove in ottobre se tira vento
piovono le noci sui coppi
e dentro le camere vuote
capitano per sbaglio i calabroni
che poi non sono più capaci di trovare
le nuvole e i raggi del sole.