Poema minimo

A Cesare lascio e a Vladimir la loro morte vile o coraggioso destinarsi ad altre crisi.   Non è giudare gli dei terranei (per vederli impaurire e odorarne il dubbio semmai avuto).   E’ mettere gli occhi alle cose che mancano.   A un tratto non ho ritratto le mie convinzioni.   Non ho sorpresa che la guerra crolli vite.   Né che passino e ripassino annerite le sirene sulle ambulanze.   Tu smetti e resta sulle mie rughe e lasciale a decantare come un vino rosso (ti saranno come il vino sintesi del cuore) come granelli di cerume inchiodati a un foglio.   “Parvenze” dici. “Parve nue” dico. “Ti pare?” chiedi al tronco e alle castagne.   Dispero di conoscermi affatto. La promessa è un’altra: esserti. Nel vibrare delle pagine sotto le tue dita, il tuo romanzo.   Il letto è quello dove siamo stati eroi dove stiamo a dire di Pavese e Majakovskij e dell’ultimo conflitto e dello scrivere e di noi.   Non ci sono. Non ci sei. Mi abbracci, però mi baci.   E’ tuo l’inverno che licenzia i flussi di prove su prove.       Da La Biblioteca dell’Inedito, antologia multimediale, Il Filo Editore, 2004