Porto

Risanato: do‐,
se tu fossi come me, nel
sogno incrociato da colli
di bottiglie d'acquavite al
tavolo delle meretrici. Coi dadi la mia fortuna raddrizza, chioma marina,
l'onda ammucchia che mi regge, negra ingiuria,
rompiti il varco
tra le viscere più calde,
penna di glaciale affanno, do‐
ve mai
non verresti per giacere con me, fin
sulle panche
di mamma Clausen, certo lei
sa quanto spesso con la forza del canto
fino alla tua gola risalii, trallalli,
come nel suo blu di mirtillo
il domestico ontano fronzuto,
luttrallallà,
tu, come astrale
flauto da spazi
oltre il dosso del mondo – anche laggiù
nuotammo, nudi nudi, nuotammo
sulla fronte
infocata i versetti dell'abisso – incombusto
si scavava l'infero
flutto dell'oro
le sue vie verso l'alto –, qui,
con cigliate vele,
pur la memoria sfilava, gli incendi
balzavano oltre a rilento,
divisa, tu,
distaccata
sulle nero‐azzurre chiatte
del ricordo,
eppure spinte tuttora dal plurimo arto
con cui ti tenni,
incrociano dinanzi a bettole stellari
le nostre ancora ebbre, le sempre protese bocche
di un mondo accessorio – nomino soltanto loro – finché laggiù, sulla torre‐orologio color verde‐tempo,
la rètina, il quadrante senza un suono si sfaglia – un dock di follia,
alla deriva, su cui
le maiuscole delle
gru giganti stampano in bianco anti‐mondo
un nome nullo, su di esso
s'arrampica , per il tuffo suicida,
il carrello Vita,
e tutto
lo dragano a vuoto, passata
mezzanotte, le frasi avide di senso,
ad esso
getta il nettunio peccato la sua
gomena color acquavite,
tra
dodecafoniche
gementi boe d'amore
– allora erano brezze
tra carrucole di pozzo, con te canta
nel coro che non è più d'entroterra –
giungono danzando le navi‐faro
da lontano, da Odessa, la linea d'immersione,
che con noi affonda, fedele al nostro peso,
frange in burla tutto questo
all'insù e all'ingiù – perché no? risanato, do‐, quando –
di là e per di qua e di là. Aureola di cenere dietro
le tue sconvolte‐annodate
mani al trivio. Tempo trapassato al Ponto: qui,
una goccia,
sull'affogata
pala di remo,
in fondo
alla promessa pietrificata,
lo risolleva, stormente. (Lungo la verticale
corda di respiro, a quel tempo,
più in alto che in alto,
tra due groppi di dolore, mentre
la fulgente
luna tartara s'inerpicava fino a noi,
io m'internavo in te e in te.) Aureola
di cenere dietro
a voi, mani
del trivio. Orrendo, ciò che, da Oriente, il caso
vi gettava davanti. Nessuno
testimonia per il
testimone.


Una volta, la morte ebbe accesso,
tu ti nascondesti in me.


Preconscio sanguina
due volte dietro la tenda,
conscio
stilla.