Sei Cento Cinquantanove

Vorresti dragarmi con quel tuo
modo sapiente di prenderti le
cose: non facendoci caso.
Ma tu, giocoliere, hai già
il tuo angelo custode a cui
non metto una coda in finale
per non sciuparne la santità.
Ha dormito più notti con te
della notte stessa e perfino
guardandoti adesso, in piedi
od orizzontale non fa differenza,
ne avverto l'odore e la sua ombra
dorata, opalescente testuggine,
pampino d'età indecifrabile,
ti segna le spalle.
Tu vorresti guarirmi, proporti
come garum consolatorio ed
anestetico propiziatorio di tagli,
ma puoi solo offrire un pacchetto
di torsoli dalle date di fame confuse,
una parure di rimasugli spolpati
da corazzate vittoriose, un'ispida
dadolata di  bionde contestazioni,
di affinità superiori e sabbie che
io non tollererei mai.
Quindi, davvero, non importa:
lasciami alla fanghiglia ed all'inverno,
ai nodi ed alla faccia seria dei castagni.
Le strade che conosco non fanno mai
rima con le sue e se anche ci fossimo
incontrati allora, scommetto che un
dislivello da niente o forse perfino la
virata balorda di un insetto condannato
all'impatto, ci avrebbero  fatti bersaglio
di indifferenza mentre infilavamo la
vita nella stessa direzione ma con
la faccia piantata nel panorama di un estraneo.