Sei Cento Cinquantasette

Quell'estate volevi comprare
un gazebo da spiaggia:sotto riunire,
calumet della pace, il circo delle
buone abitudini. Tu progettavi ed io,
lungo il corso che dava sul fiume,
putridume e spaccio, cercavo
le mie stelle. Mai ti  mostravo i
fianchi speronati dal desiderio
di quelle vie appiccicate alla terra
in formato collage, mosaico di
alberi giallognoli e vecchie botteghe.
Quell'Agosto, Agosto era caldo
fino al casello che ci inghiottiva
per darci ai monti, e nella piazza
antistante il bar, cieco quanto il
bastardo  di qualche facile gattaccia,
blu di divani e di insegna, sedeva
sedata dal tedio la gioventù
del Molise: giacche ed alcolici,
risa, discoteche, distanti maliarde.
Io mi sentivo sicura sui ciottoli
ripidi, autostrada di discese e
salite: una gradinata cingeva
il monumento maggiore. Messo
al centro, naso quasi aquilano,
odorava di antico e di guerre,
di fascismo e cannoni dimenticati
come dentiere. Quanto ho amato
quella sera d'estate nessuno
potrà mai saperlo e quanto
ero certa del mio bacino e
delle cose che per le mie
gambe erano tutto.
A proposito: un giorno mi sfilarono
gli stivali verdi. Quelle lucertole
tutte tacchi e punte tonde cavesi,
sono state arrendevoli ed obbedienti
alla mano che corse esperta ad
aprirgli le bocche.
Si afflosciarono uno sull'altro:
svenuto il destro, il sinistro
sopportò poco il peso del primo caduto.
Forse allora mi sono ammalata,
quando trovandomi scalza sul
pavimento dei tali, ho avuto
freddo. Ed il freddo mi ha risucchiata.
Giù, fino in fondo.
Un draculino soddisfatto non ha tenuto
conto di quanto mi fosse già vicino alle
ossa con quella sola, veloce suzione granata.