Sei Cento Ottantuno

Già il mare si cambia. E' di bisonti ‐afa e bagnini,
cavalieri investiti per dire alle donne come la carne
va messa al bando, mercato di pulci mostruose,
giganti. Sulle gambe la tempesta degli occhi‐ fuochi
e le  portate ben disposte all'assaggio. Già il mare
si cambia:  cresciuto, svezzato alla pubertà furente
della signora ‐estate in prossimo arrivo.
Lo guardo e lo vedo già adulto,
dell'adultezza  che ha avuto il piede in
te per sole due volte, sbriciolata di passioni
soppresse, test da laboratorio‐ mortuario.
Non ci volevano uguali, pur possedendo
regolare permesso di portarci nel sangue
la stessa rossa volpe agguerrita.
Adesso che mi appare come un figlio
mandato in collegio e tornato con le
spalle irrobustite dai giorni di vita,
con lo sguardo di chi vorrebbe già
duplicarsi, adesso al mio mare
che già si cambia e non si arresta,
sussurro ancora il tuo indirizzo,
comprensivo di numero civico e
delusioni, indirizzo di piana, di
cose che si aspettavano e non trovavano
che grigie affissioni. Il mare si cambia
e su dalla regia  mandano folate di zucchero
e mitezza fuori concorso, come per ricordarmi
che  tutto ritorna per tormentarci:  una foto
dal cassetto dischiuso, uovo legnoso
scoppiato per sbaglio dal volgare
deretano della curiosità mai calibrata,
un ritornello dalla bocca del passante
passato per strapparci via dal
petto il nome ‐errore.
Già il mare si cambia: è
tempo della stagione che non
mi somiglia. E' tempo dei fuochi,
dei giovani innamorati sulle moto
come serpenti, è tempo della
sera che non vuole finire.
Mentre io gioco al mio letto con  il ventre inverno.