Sei Cento Quaranta

Ricordo quando chiamasti la nera
signora per sverminarmi la paura
dal ventre e lei, sotto i tre nodi,
trovò le tre urla ed i bordi esplosi
della culla che non sarebbe arrivata.
Ricordo il bastone e la spola ‐ cantilena
del fruttivendolo, Don Paolo dimenticato
al sonno, ciliegio da marciapiede e la testa
ottanta spaiata dalla smemoratezza:
anestesia da morte, gatte sorelle.
E la Messa pomeridiana nel forno
di Via Magenta e l' incontinente
colata appiccicosa dei passeri
sui marmi del bar e Pippo,
silenzioso come un nano.
Ricordo la bionda signora della
farmacia e le gambe bambù
sotto il camice bianco, lische
senza più peli, pali spenti.
Ma da notizie sicure so che
la sera è arrivata pure là,
strattonando il sole, rovesciando
il secchio, pittura buia.
Mentre un geco risale la catena
dei muri , scalatore upside down,
tutti credono di vedermi ancora
chiaramente semplice nei miei
ritmi blu. Forse anche tu mi
credi così, collezionabile fra
la caldaia ed il terrazzo, la margherita
stizzosa e lo strofinaccio: ma
proprio io sono cento volte più spaventosa.