Sei Cento Sessantasette

Le ultime case stanno nella nebbia.
A guardare. Spettacolo vietato
la linea scosciata dei monti che
precipitano al mare, cieche gatte
dalla testa di coppi e terrazze,
spianate di budellini bianco‐ecrù.
Che storia questa vessazione di
agnelli con le zampine di cemento
e  pietra, di limoni e falle!
Due spalle salgono gli scalini
tramortiti; anche io, come loro,
mi sono spenta, una cassa nella mente,
ben imburrata dal morto sorridente,
grigio nera  poggia la pioggia sui
ciottoli, seppie investite, acciambellatura
dei vermetti padroni dell'umido, liquirizie
piediformi, rotelle in congedo dallo svitato
che gestisce oggi il cielo.
E se urlo il nome, il nome mi si ritorce
contro: ciò che si recide è reciso,
al cordone non si riattacca la santa
camicina imboccatrice, la pancia
esplosa non riprende mai indietro
il benedetto innesco. Conto pagato.
E tutto ciò che mi manca è quasi
sempre fra due tronchi ed un precipizio:
altalena ‐ carota all'asino ‐baratro.
Gioco micidiale del malato.