Sei Cento Trentacinque

Avresti dovuto vedermi allora:
un venerdì di parcheggi pieni a
Monza,il barista è sud alla cintola,
ma sopra solo  nord, nord di arancini
chiusi come noci, nord la lingua che
riconosce la mia dal sole. La pioggia
sbava diagonale sul trolley delle brevi
partenze, Rondò dei Pini è l'orbita
buona di Polifemo, i neon dei supermercati,
frigoriferi orizzontali. La salopette bianca,
Napoli  un  damerino, ha i tendini contratti
dal seno alla mia schiena. Mi guardano
le gambe, mi danno dell'amante ma sono sana.
Controllatemi il polso: non ho rubato, tutto regolare.
Toccatemi: l'unione è consenziente, non ho furbizie,
orari rimandati. Avresti dovuto  vedermi allora:
infilata nell'estate, il gambo nella terra, una fiera
in allestimento, tutta sorrisi e biglietti staccati
puntuali, ferma nella fila, la carta oleata lascia
tracce di sudario. Avresti dovuto innamorarti allora:
allora che ero salubre più di un candeggio, più compatta
di una candela,una bandiera ancora da impalmare,
tutta odore di amuchina. Non adesso che sembro
fuori di miniera, sputata da un setaccio e se negli
occhi resta ancora azzurro, è perchè gli
occhi sono barche ed anche  il rimessaggio
non asciuga mai davvero il mare.