Sognoghiaccio marino

A cosa serve la mia sete?

Cantala – mi dici – col fare impolverato delle tue spalle chine sulla sera.

Gli occhi raccontano più di ogni novella sminuzzata al passo sotterraneo di tesori, mentre mi cade addosso la rovina di qualche stella insonne sotto il segnale grigio di una luna offesa al mio apparire.

Siamo di nuvole – ripeti – siamo lavoro ingrato di mandibole bruciate. Saliamo e poi scendiamo alle radure, non visti, immani, da naufragare in carta sotto la luce nera dei tombini.

E siamo foglie – aggiungi – distratto dal cuneo dritto introflesso in una sabbia che non tiene.

Così, l’oro resuscita in bagliore e le caverne accolgono in discesa tutte le rive delle mie acque silenziose

mentre la sete ha sfondi obliqui: la secca smisurata dei divieti.

Allora a questo induce la mia sete povera di stoffe, la bocca muta che s’increspa a notte sul logorio di consunzione delle piene. A darmi sale intirizzito sulle labbra, a coniugarmi la posa di un dolore.

Inevitabile, un’immagine di nave stagliata a fondo di bicchiere che rompe il pack della calura di tutti i miei respiri corti in afferenza

e oltrepassa la linea storta di un prato di confine.

Verde si adagia, e lenta poi, al filo d’acqua esasperato dall’attesa.

E riempie la mia bocca muta, finalmente, del ghiaccio immaginato nelle stive.

 

17/11/2006