Todnauteburg

Arnica, Eufrasia, il
sorso dalla fonte con sopra
il dado stellato,
nella
malga, la riga nel libro
– quali nomi accolse
prima del mio? –,
la riga, in quel libro
inscritta,
d'una speranza, oggi,
dentro il cuore,
per la parola
ventura
di un uomo di pensiero, umidi prati silvestri, non spianati,
orchidee selvatiche, sparsamente,
più tardi, in viaggio, parole crude,
senza veli,
chi guida, l'uomo,
che anche lui ascolta,
percorsi a
mezzo, i viottoli
di tronchi sulla torbiera gonfia,
umidore,
forte. I nomi, tutti,
pronunciati all'indietro,
l'ultimo, fatto re
con i nitriti
dinanzi agli specchi di brina,
assediato, accerchiato
da plurinascite,
la fenditura sul colmo,
che attraversa lui e implica
te, isolato.


Tu giaci tutto teso all'ascolto,
attorniato di arbusti, di fiocchi. Va' alla Sprea, alla Havel,
va' ai ganci da macelleria,
alle rosse stanghe di mele
venute di Svezia. Arriva il tavolo con i doni,
e gira attorno a un Eden. L'uomo fu ridotto a un colabrodo, la donna
dovette andar per acqua, quella troia,
per sè, per nessuno, per ognuno. Il canale della Landwehr non mormorerà.
Nulla
ristà.