Vorrei il dorso di un gabbiano

Vorrei il dorso di un gabbiano,
pesare zero per azionarne il volo,
salire in alto a guadagnarmi il cielo
senza di nuvole incrociare ombre
e, anzi, seguire luce luce il sole.

In festa tra le argentine piume,
sarebbe splendido quel viaggiare
a tempo lento d’inattesa melodia
scandito dal batter di due grandi ali
perché il sogno duri una canzone.

Senza i confini delle mille rive,
la prima rotta sarebbe certo il mare
da quando l’onda inizia a respirare
a quando, spenta, si confonde al centro
con altre mille d’altra destinazione.

Al mio compagno dopo chiederei
una virata nella genesi del tempo,
del mio, situato tutto a meridione,
riconoscibile da una cravatta blu 
e da una giacca, sfilate a mio fratello.

Potessi lì fermarmi anni ed anni,
riprendere discorsi da ultimare,
prime speranze in vena d’affacciarsi
sul bianco e nero dei vent’anni al vento,
mani di madre nell’atto d’afferrarmi… 
*
Stesura 2007
Testo pubblicato sul Mensile Il Saggio 04/2010