Alla scoperta di Gaudì

Faceva molto freddo nella ramblas quando uscimmo dopo pranzo, con le valigie in mano, per andare al Parco Guell. C’ era già qualcuno alla fermata dell’autobus. Quando l’autobus arrivò Mario salì e Sara gli si sedette accanto e mi prese anche un posto, mentre io tornavo nell’ hostello a prendere la cartina di Barcellona che distrattamente avevo dimenticato. Quando tornai l’autobus era strapieno e stava per partire. Gli uomini e le donne dentro l’autobus davano l’impressione di non potersi muovere d’un centimetro. Entrai comunque e mi infilai dentro con forza, fino a quando mi sedetti al posto che Sara mi aveva tenuto.
Un Catalano, con un grande borsone pieno di bottiglie vuote, stava in piedi davanti ai nostri sedili, con tutto il suo corpo che toccava la mia spalla. Come se si volesse scusare per la molestia che involontariamente ci stava causando, ci offrì dei cioccolatini, a me e a Sara, e quando stavo per metterlo in bocca imitò il suono d’un cavallo con tanta bravura e così all’improvviso che io sputai il cioccolatino e tutti risero. Si scusò e insistette perché ne prendessi un altro. Ma poco dopo di nuovo imitò il cavallo. Era bravissimo in questo. I passeggeri ne erano entusiasti. L’uomo seduto accanto a Mario gli stava parlando in Spagnolo e Mario, poiché non capiva, gli offrì un poco d’acqua. L ‘uomo la rifiutò con un gesto.
Infine, dopo un altro paio di falsi nitriti di cavallo, l’autobus si mise in moto. Un uomo salutò da fuori una donna che stava dentro l’autobus e tutti i passeggeri iniziarono a salutarlo. Appena si mise in moto iniziò ad entrare un po’ di area dai finestrini. L’autobus andava piuttosto veloce. Iniziò la salita verso il parco più famoso di Barcellona e così potemmo godere, guardando indietro, di una bella vista della città. Il catalano appoggiato sulla mia spalla la indicò col collo e ci strizzò l’occhio. Poi disse : “Bella, eh?”.
“Questi catalani sono proprio simpatici” disse Alberto.
L’autobus si fermò appena sotto il parco, dove siamo scesi. L’autista ci disse che da lì dovevamo prendere delle scale mobili che ci avrebbero portato all’entrata posteriore del parco. Sembrava che eravamo gli unici turisti, perché la maggior parte della gente rimase sull’autobus.
Le abitazioni ci ricordavano i piccoli paesini italiani e non ci sembravano di certo essere le case di una grande metropoli. La zona che circondava il Parco Guell era quasi qualcosa a parte dalla città. Le case erano vecchie, quasi misere.
Avevamo una certa fame, quindi prendemmo un panino a testa in un bar di cinesi che incontrammo lungo la strada e pagammo due euro ciascuno.
Dopo una lunga salita finalmente arrivammo all’entrata del Parco Guell e subito fummo accolti da due edifici particolarissimi che stavano rispettivamente uno a destra e uno a sinistra. Sono ignorantissimo riguardo la storia dell’arte, perciò non sono in grado, per mia sfortuna, di dare una spiegazione tecnica di quello che ho visto. Certo è che anche un ignorante come me resta senza parole di fronte ad una costruzione di Gaudì.
L’opera che aveva più successo era la salamandra all’entrata del parco, nella prima scalinata. Le persone stavano in fila per farsi una foto accanto alla salamandra.
“Perché non facciamo anche noi una foto in posa accanto alla Salamandra?” disse Sara. “Guardate che bello”.
“Sì è stupendo” rispose, con un forte accento catalano, un signore che ci stava accanto. E ci fece un sorriso. “Siete italiani? E di quale città?” domandò.
Sara rispose : “Io e lui” indicando Mario “siamo calabresi, mentre quest’altro ragazzo è palermitano”.
“ Un giorno mi piacerebbe andare a Palermo. È una città piena di stupende opere d’arte”.
“ Ma Lei è spagnolo? È stato in Italia? Parla molto bene l’italiano…” dissi io.
“Certo. Ci sono stato” disse. “Vent’anni fa”.
Era un uomo di mezza età, buono come gli altri, con un ispida barba nera.
“Dove è stato in Italia?” chiese Mario.
“ Ah, io ero a Milano. Era bello.”
“ Perché si trovava a Milano?”
“Come?”
“Per quale motivo stava a Milano?”
“Oh! Ero andato lì per lavorare ad un progetto. Sono un architetto”.
“Volete fare un giro nel parco con me?” ci chiese. “Posso farvi da guida”.
Accettammo molto volentieri. Così iniziò a farci da guida: “allora ragazzi dovete sapere che il Parco Guell è stato realizzato tra il 1900 e il 1914. Fu commissionato a Gaudì dall’industriale Fuseli  Guell e doveva essere all’origine una specie di città‐giardino. La città di Barcellona lo acquistò nel 1922, trasformandolo in un parco pubblico”.
Tutte le costruzioni di Gaudì sembravano disordinate, senza logica, ma come dire,  era un piacevole disordine.
La nostra guida – ah si chiamava Ortega – ci portò verso il colonnato obliquo, che ci sembrò subito la strana visione d’un sogno. Poi arrivammo in una particolare terrazza piena di mosaici e disegni pittoreschi. Ortega con voce appassionata ci disse: “ per la costruzione utilizzò alcune ceramiche di recupero e semplici pezzi di vetro, che compaiono come tessere dei mosaici colorati”.
Erano ormai le sei del pomeriggio, il parco stava per chiudere. Dovevamo andare. Ci sentimmo in dovere di invitare Ortega a cena con noi. Avremo mangiato al ristorantino che stava sotto il nostro hostello.. Ortega però non accettò, doveva tornare da sua moglie ci disse. Eravamo rattristati nel salutarlo, ci sembrava quasi di perdere un amico.
Quindi, salimmo  sull’autobus che ci riportò vicino alla ramblas, dove avevamo la camera. Salimmo verso il nostro piccolo albergo, con le valigie in mano, non ci fidammo di lasciarle in quella stanza che non poteva essere chiusa a chiave.
Alla reception ci stava una donna grassa, mentre questa mattina ci stava un uomo taciturno. La donna si tolse gli occhiali ,li pulì e se li rimise. Nell’hostello faceva freddo e fuori cominciava a soffiare il vento. Nella camera c’erano quattro letti, un armadio e persino una doccia. Il vento soffiava contro le imposte. Ci lavammo e scendemmo nel ristorantino che stava proprio sotto. Fortunatamente era un ristorantino semplice, molto rustico, perché desideravamo solo un panino coi calamari e qualche birra.
“Dio mio” disse Mario. “Non è possibile che domani faccia così freddo. Io con questo tempo non ci penso neanche ad andare in giro per Barcellona domani”.
Entrammo nel ristorantino e ci sedemmo in un tavolino da tre. Subito arrivò la cameriera a preparare la tavola per la cena.
La ragazza ci portò i panini, come da noi chiesto, e tre boccali di birra da mezzo litro.
Dopo cena andammo di sopra all’hostello a fumare e a parlare a letto per scaldarci. Faceva piacere stare a letto al caldo con quel vento fortissimo che soffiava fuori.
Mi addormentai, contento di trovarmi a Barcellona, ma, ad un tempo, con già una gran voglia di tornarmene a casa.