Attesa

Il giorno dopo, Carole fu meravigliata di svegliarsi in una stanza sconosciuta.
Il sole filtrava da dietro le tende. I vestiti in disordine sulla sedia e la valigia le ricordarono subito gli avvenimenti della sera prima.
Aveva viaggiato per 36 ore ed era arrivata stanchissima alla stazione dov’era ad attenderla un lontano cugino che aveva visto solo in foto.
Lui l’aveva subito riconosciuta. Lei invece ebbe qualche titubanza dovuta forse anche alla stanchezza, ma dovette riconoscere a se stessa che era un “gran figo”.
‐ Ciao, sono Dario. Hai fatto un buon viaggio?
‐ Ciao, sono Carole. Il viaggio? Uno schifo.
Lui la liberò dalla valigia e le offrì una rosa dicendole: pazienta ancora un pò, mezz’ora d’auto e saremo a casa.
Carole rimase stupita per la rosa, ma lo guardò con riconoscenza.
‐ Grazie. Un gesto veramente gentile. Esistono ancora i gentiluomini.
Il viaggio in auto si rivelò purtroppo molto più lungo del previsto: la nebbia e un incidente costrinsero Dario ad una deviazione che fece aumentare il tempo di circa 40 minuti.
La conversazione in auto si limitò alla solita generalità e alla richiesta di Dario di fermarsi ad un ristorante per “far eseguire un po’ di ginnastica ai denti”.
‐ Grazie Dario, ma preferirei continuare il viaggio. Ho assoluto bisogno di fare una doccia eandare a letto perché sono stanca morta.
‐ OK Carole.
Le palpebre di Carole erano diventate pesanti e cominciavano a chiudersi quando la voce di Dario le annunciò la fine del viaggio.
Il cancello della villetta si aprì; entrarono in garage e da questo negli appartamenti.
Carole accettò solo un succo di frutta. Rimandarono all’indomani la discussione sulla presenza e i sui suoi compiti. Carole ringraziò, augurò la buona notte e dopo la doccia si tuffò nelle braccia di Morfeo.
Si alzò prontamente, procedette alla toilette che fece con più cura del consueto e, con più civetteria (perché?!). Poi scostò le tende ed aprì la porta finestra che immetteva su un piccolo terrazzo. Il sole inondò la stanza. Notò che questa era arredata con gusto. Disfece la valigia e mise in ordine la sua
roba. Fece il letto come da abitudine. Aprì la porta e s’incamminò nel corridoio che portava in soggiorno. Dario era seduto sulla poltrona e leggeva il giornale. Non appena la vide, il suo viso s’illuminò di un sorriso.
‐ Buongiorno Carole. Dormito bene?
‐ Buongiorno Dario. Come un ghiro. E’ tardi vero?
‐ Ma no!. Sono io che mi alzo presto. Facciamo colazione?
‐ Volentieri.
Si recarono in cucina. Dario presentò Maria, sua tata, come il deus ex machine della casa. Le due donne si piacquero a prima vista. a prima vista. Dopo un’abbondante colazione Dario e Carole si recarono nello studio per definire le competenze di questa ultima e per poi andare a conoscere la padrona di casa: la mamma ammalata di Dario.
Il giovanotto venne subito al quid: compito principale di Carole doveva essere quello di occuparsi della mamma. Doveva farle compagnia e provvedere che ogni sua necessità fosse espletata tempestivamente dagli addetti, e nel miglior dei modi. Doveva inoltre, in sua assenza, fungere da segretaria e gestire la casa con l’aiuto di Maria. Nella gestione erano comprese le sue attività e il suo tempo libero. Oltre al vitto e l’alloggio per il salario poteva decidere lei.
Una stretta di mano sigillò il loro accordo.
La camera dell’ammalata era poco distante dalla stanza di Carole. Dario bussò, entrò, salutò la mamma, le diede un bacio e le presentò Carole.
Un viso pallido dove la sofferenza aveva segnato la sua battaglia, e la ragione e la ricchezza d’animo avevano steso un dolce velo d’accettazione; fu questo che apparve alla ragazza: una situazione che aveva già conosciuto e vissuto.
Il ricordo della mamma l’assalì con tutta la sua forza. Un nodo le serrò la gola e le parole ruzzolarono a fatica dalle sue labbra.
Luigia, la madre di Dario, notò subito lo stato d’animo di Carole e la rasserenò con parole dolci e con una carezza affettuosa. Le chiese poi un bacio. Carole non riuscì più a trattenersi per la commozione e pianse.
Il tenero quadretto toccò il cuore di Dario che con una scusa lasciò sole le due donne.
Col trascorrere dei giorni l’affetto strinse sempre di più la sua corda tanto che Luigia e Carole divennero la simbiosi dell’amore familiare.
La felicità aveva trovato finalmente dimora nel cuore di quella ragazza che la vita aveva sottoposto a durissime prove e a difficili esami. Ora era tutto OK e non chiedeva altro, ma la dea bendata volle regalarle anche la cosa più bella e più dolce della vita: l’amore.
Il fiore sbocciò timidamente e, con lentezza e con grazia divenne frutto: Dario, quando era all’estero per il suo lavoro di giornalista, le telefonava spesso; al rientro aveva sempre un presente per lei. La portava poi a cena, a teatro, a qualsiasi manifestazione importante e la colmava di gentilezze e di attenzioni. Fra loro vi fu un’unione d’intenti e di condivisione che fece nascere un reciproco affetto tenero e sincero e li portò a prodigarsi l’uno per l’altro.
Dubbi, incomprensioni e conflitti (cose normalissime) furono solo fugaci ombre che scomparivano al primo raggio di luce di un sorriso.
Testimone del loro primo bacio fu la vecchia e romantica luna. Erano seduti sulla panchina del viale alberato della collina che degradava verso la piana e spogliandosi s’inoltrava verso la sabbia bianca dell’azzurro mare. Tra loro era sceso il silenzio gonfio di passione e di desiderio. I loro occhi s’incontrarono ed entrambi vi lessero la parola AMORE a caratteri cubitali. Il profumo delle rose e dei gelsomini, con tutta la loro fragranza, si posò sulle loro labbra.
Le parole tenere, dolci, belle, vibranti di poesia, erano nel loro abbraccio, nel loro sguardo, nel silenzio e nell’ambiente che li circondava.
La vecchia e dimenticata luna incontrò gli sguardi dei due innamorati e sorrise felice scoprendo i suoi denti gialli: “Allora c’è ancora qualche romantico” disse alle stelle con enfasi.
La buona novella fu per Luigia un toccasana. La malattia che la costringeva a stare a letto sembrò regredire, di pochino pochino ma era regredita.
Madre e figlia, erano oramai diventate tali, attendevano con ansia e trepidazione il ritorno di Dario, quando questi era inviato dal suo giornale nelle zone calde estere. L’attesa era lunga e angosciosa soprattutto se Dario non poteva o non riusciva a telefonare. La paura e ogni preoccupazione sparivano al solito “ciao” di Dario nella cornetta. Quel “ciao” era diventato il suono dolcissimo che apriva la porta più intima e segreta dell’amore, della felicità e della vita.
Accadde che il “ciao” si fece attendere più del solito. I giorni divennero pesanti, troppo pesanti e l’angoscia e la paura stringevano nella loro morsa il cuore di Luigia e di Carole.
L’estate cedeva il passo all’autunno e fu in una giornata uggiosa che arrivò la notizia: Dario era stato rapito da… (?!) supposizioni, solo supposizioni.
I giorni trascorrevano senza tempo in un buio totale, squarciati di tanto in tanto da qualche flash di luce. Una luce costante, calda e luminosa non abbandonò mai le due donne: la fede e la speranza. E queste furono premiate dopo tre mesi

ATTESA

Il giorno dopo, Carole fu meravigliata di svegliarsi in una stanza sconosciuta.

Il sole filtrava da dietro le tende. I vestiti in disordine sulla sedia e la valigia le ricordarono subito gli avvenimenti della sera prima.

Aveva viaggiato per 36 ore ed era arrivata stanchissima alla stazione dov’era ad attenderla un lontano cugino che aveva visto solo in foto.

Lui l’aveva subito riconosciuta. Lei invece ebbe qualche titubanza dovuta forse anche alla stanchezza, ma dovette riconoscere a se stessa che era un “gran figo”.

‐ Ciao, sono Dario. Hai fatto un buon viaggio?

‐ Ciao, sono Carole. Il viaggio? Uno schifo.

Lui la liberò dalla valigia e le offrì una rosa dicendole: pazienta ancora un pò, mezz’ora d’auto e saremo a casa.

Carole rimase stupita per la rosa, ma lo guardò con riconoscenza.

‐ Grazie. Un gesto veramente gentile. Esistono ancora i gentiluomini.

Il viaggio in auto si rivelò purtroppo molto più lungo del previsto: la nebbia e un incidente costrinsero Dario ad una deviazione che fece aumentare il tempo di circa 40 minuti.

La conversazione in auto si limitò alla solita generalità e alla richiesta di Dario di fermarsi ad un ristorante per “far eseguire un po’ di ginnastica ai denti”.

‐ Grazie Dario, ma preferirei continuare il viaggio. Ho assoluto bisogno di fare una doccia e

andare a letto perché sono stanca morta.

‐ OK Carole.

Le palpebre di Carole erano diventate pesanti e cominciavano a chiudersi quando la voce di Dario le annunciò la fine del viaggio.

Il cancello della villetta si aprì; entrarono in garage e da questo negli appartamenti.

Carole accettò solo un succo di frutta. Rimandarono all’indomani la discussione sulla presenza e i sui suoi compiti. Carole ringraziò, augurò la buona notte e dopo la doccia si tuffò nelle braccia di Morfeo.

Si alzò prontamente, procedette alla toilette che fece con più cura del consueto e, con più civetteria (perché?!). Poi scostò le tende ed aprì la porta finestra che immetteva su un piccolo terrazzo. Il sole inondò la stanza. Notò che questa era arredata con gusto. Disfece la valigia e mise in ordine la sua

roba. Fece il letto come da abitudine. Aprì la porta e s’incamminò nel corridoio che portava in soggiorno. Dario era seduto sulla poltrona e leggeva il giornale. Non appena la vide, il suo viso s’illuminò di un sorriso.

‐ Buongiorno Carole. Dormito bene?

‐ Buongiorno Dario. Come un ghiro. E’ tardi vero?

‐ Ma no!. Sono io che mi alzo presto. Facciamo colazione?

‐ Volentieri.

Si recarono in cucina. Dario presentò Maria, sua tata, come il deus ex machine della casa. Le due donne si piacquero a prima vista. a prima vista. Dopo un’abbondante colazione Dario e Carole si recarono nello studio per definire le competenze di questa ultima e per poi andare a conoscere la padrona di casa: la mamma ammalata di Dario.

Il giovanotto venne subito al quid: compito principale di Carole doveva essere quello di occuparsi della mamma. Doveva farle compagnia e provvedere che ogni sua necessità fosse espletata tempestivamente dagli addetti, e nel miglior dei modi. Doveva inoltre, in sua assenza, fungere da segretaria e gestire la casa con l’aiuto di Maria. Nella gestione erano comprese le sue attività e il suo tempo libero. Oltre al vitto e l’alloggio per il salario poteva decidere lei.

Una stretta di mano sigillò il loro accordo.

La camera dell’ammalata era poco distante dalla stanza di Carole. Dario bussò, entrò, salutò la mamma, le diede un bacio e le presentò Carole.

Un viso pallido dove la sofferenza aveva segnato la sua battaglia, e la ragione e la ricchezza d’animo avevano steso un dolce velo d’accettazione; fu questo che apparve alla ragazza: una situazione che aveva già conosciuto e vissuto.

Il ricordo della mamma l’assalì con tutta la sua forza. Un nodo le serrò la gola e le parole ruzzolarono a fatica dalle sue labbra.

Luigia, la madre di Dario, notò subito lo stato d’animo di Carole e la rasserenò con parole dolci e con una carezza affettuosa. Le chiese poi un bacio. Carole non riuscì più a trattenersi per la commozione e pianse.

Il tenero quadretto toccò il cuore di Dario che con una scusa lasciò sole le due donne.

Col trascorrere dei giorni l’affetto strinse sempre di più la sua corda tanto che Luigia e Carole divennero la simbiosi dell’amore familiare.

La felicità aveva trovato finalmente dimora nel cuore di quella ragazza che la vita aveva sottoposto a durissime prove e a difficili esami. Ora era tutto OK e non chiedeva altro, ma la dea bendata volle regalarle anche la cosa più bella e più dolce della vita: l’amore.

Il fiore sbocciò timidamente e, con lentezza e con grazia divenne frutto: Dario, quando era all’estero per il suo lavoro di giornalista, le telefonava spesso; al rientro aveva sempre un presente per lei. La portava poi a cena, a teatro, a qualsiasi manifestazione importante e la colmava di gentilezze e di attenzioni. Fra loro vi fu un’unione d’intenti e di condivisione che fece nascere un reciproco affetto tenero e sincero e li portò a prodigarsi l’uno per l’altro.

Dubbi, incomprensioni e conflitti (cose normalissime) furono solo fugaci ombre che scomparivano al primo raggio di luce di un sorriso.

Testimone del loro primo bacio fu la vecchia e romantica luna. Erano seduti sulla panchina del viale alberato della collina che degradava verso la piana e spogliandosi s’inoltrava verso la sabbia bianca dell’azzurro mare. Tra loro era sceso il silenzio gonfio di passione e di desiderio. I loro occhi s’incontrarono ed entrambi vi lessero la parola AMORE a caratteri cubitali. Il profumo delle rose e dei gelsomini, con tutta la loro fragranza, si posò sulle loro labbra.

Le parole tenere, dolci, belle, vibranti di poesia, erano nel loro abbraccio, nel loro sguardo, nel silenzio e nell’ambiente che li circondava.

La vecchia e dimenticata luna incontrò gli sguardi dei due innamorati e sorrise felice scoprendo i suoi denti gialli: “Allora c’è ancora qualche romantico” disse alle stelle con enfasi.

La buona novella fu per Luigia un toccasana. La malattia che la costringeva a stare a letto sembrò regredire, di pochino pochino ma era regredita.

Madre e figlia, erano oramai diventate tali, attendevano con ansia e trepidazione il ritorno di Dario, quando questi era inviato dal suo giornale nelle zone calde estere. L’attesa era lunga e angosciosa soprattutto se Dario non poteva o non riusciva a telefonare. La paura e ogni preoccupazione sparivano al solito “ciao” di Dario nella cornetta. Quel “ciao” era diventato il suono dolcissimo che apriva la porta più intima e segreta dell’amore, della felicità e della vita.

Accadde che il “ciao” si fece attendere più del solito. I giorni divennero pesanti, troppo pesanti e l’angoscia e la paura stringevano nella loro morsa il cuore di Luigia e di Carole.

L’estate cedeva il passo all’autunno e fu in una giornata uggiosa che arrivò la notizia: Dario era stato rapito da… (?!) supposizioni, solo supposizioni.

I giorni trascorrevano senza tempo in un buio totale, squarciati di tanto in tanto da qualche flash di luce. Una luce costante, calda e luminosa non abbandonò mai le due donne: la fede e la speranza. E queste furono premiate dopo tre mesi

ATTESA

Il giorno dopo, Carole fu meravigliata di svegliarsi in una stanza sconosciuta.

Il sole filtrava da dietro le tende. I vestiti in disordine sulla sedia e la valigia le ricordarono subito gli avvenimenti della sera prima.

Aveva viaggiato per 36 ore ed era arrivata stanchissima alla stazione dov’era ad attenderla un lontano cugino che aveva visto solo in foto.

Lui l’aveva subito riconosciuta. Lei invece ebbe qualche titubanza dovuta forse anche alla stanchezza, ma dovette riconoscere a se stessa che era un “gran figo”.

‐ Ciao, sono Dario. Hai fatto un buon viaggio?

‐ Ciao, sono Carole. Il viaggio? Uno schifo.

Lui la liberò dalla valigia e le offrì una rosa dicendole: pazienta ancora un pò, mezz’ora d’auto e saremo a casa.

Carole rimase stupita per la rosa, ma lo guardò con riconoscenza.

‐ Grazie. Un gesto veramente gentile. Esistono ancora i gentiluomini.

Il viaggio in auto si rivelò purtroppo molto più lungo del previsto: la nebbia e un incidente costrinsero Dario ad una deviazione che fece aumentare il tempo di circa 40 minuti.

La conversazione in auto si limitò alla solita generalità e alla richiesta di Dario di fermarsi ad un ristorante per “far eseguire un po’ di ginnastica ai denti”.

‐ Grazie Dario, ma preferirei continuare il viaggio. Ho assoluto bisogno di fare una doccia e

andare a letto perché sono stanca morta.

‐ OK Carole.

Le palpebre di Carole erano diventate pesanti e cominciavano a chiudersi quando la voce di Dario le annunciò la fine del viaggio.

Il cancello della villetta si aprì; entrarono in garage e da questo negli appartamenti.

Carole accettò solo un succo di frutta. Rimandarono all’indomani la discussione sulla presenza e i sui suoi compiti. Carole ringraziò, augurò la buona notte e dopo la doccia si tuffò nelle braccia di Morfeo.

Si alzò prontamente, procedette alla toilette che fece con più cura del consueto e, con più civetteria (perché?!). Poi scostò le tende ed aprì la porta finestra che immetteva su un piccolo terrazzo. Il sole inondò la stanza. Notò che questa era arredata con gusto. Disfece la valigia e mise in ordine la sua

roba. Fece il letto come da abitudine. Aprì la porta e s’incamminò nel corridoio che portava in soggiorno. Dario era seduto sulla poltrona e leggeva il giornale. Non appena la vide, il suo viso s’illuminò di un sorriso.

‐ Buongiorno Carole. Dormito bene?

‐ Buongiorno Dario. Come un ghiro. E’ tardi vero?

‐ Ma no!. Sono io che mi alzo presto. Facciamo colazione?

‐ Volentieri.

Si recarono in cucina. Dario presentò Maria, sua tata, come il deus ex machine della casa. Le due donne si piacquero a prima vista. a prima vista. Dopo un’abbondante colazione Dario e Carole si recarono nello studio per definire le competenze di questa ultima e per poi andare a conoscere la padrona di casa: la mamma ammalata di Dario.

Il giovanotto venne subito al quid: compito principale di Carole doveva essere quello di occuparsi della mamma. Doveva farle compagnia e provvedere che ogni sua necessità fosse espletata tempestivamente dagli addetti, e nel miglior dei modi. Doveva inoltre, in sua assenza, fungere da segretaria e gestire la casa con l’aiuto di Maria. Nella gestione erano comprese le sue attività e il suo tempo libero. Oltre al vitto e l’alloggio per il salario poteva decidere lei.

Una stretta di mano sigillò il loro accordo.

La camera dell’ammalata era poco distante dalla stanza di Carole. Dario bussò, entrò, salutò la mamma, le diede un bacio e le presentò Carole.

Un viso pallido dove la sofferenza aveva segnato la sua battaglia, e la ragione e la ricchezza d’animo avevano steso un dolce velo d’accettazione; fu questo che apparve alla ragazza: una situazione che aveva già conosciuto e vissuto.

Il ricordo della mamma l’assalì con tutta la sua forza. Un nodo le serrò la gola e le parole ruzzolarono a fatica dalle sue labbra.

Luigia, la madre di Dario, notò subito lo stato d’animo di Carole e la rasserenò con parole dolci e con una carezza affettuosa. Le chiese poi un bacio. Carole non riuscì più a trattenersi per la commozione e pianse.

Il tenero quadretto toccò il cuore di Dario che con una scusa lasciò sole le due donne.

Col trascorrere dei giorni l’affetto strinse sempre di più la sua corda tanto che Luigia e Carole divennero la simbiosi dell’amore familiare.

La felicità aveva trovato finalmente dimora nel cuore di quella ragazza che la vita aveva sottoposto a durissime prove e a difficili esami. Ora era tutto OK e non chiedeva altro, ma la dea bendata volle regalarle anche la cosa più bella e più dolce della vita: l’amore.

Il fiore sbocciò timidamente e, con lentezza e con grazia divenne frutto: Dario, quando era all’estero per il suo lavoro di giornalista, le telefonava spesso; al rientro aveva sempre un presente per lei. La portava poi a cena, a teatro, a qualsiasi manifestazione importante e la colmava di gentilezze e di attenzioni. Fra loro vi fu un’unione d’intenti e di condivisione che fece nascere un reciproco affetto tenero e sincero e li portò a prodigarsi l’uno per l’altro.

Dubbi, incomprensioni e conflitti (cose normalissime) furono solo fugaci ombre che scomparivano al primo raggio di luce di un sorriso.

Testimone del loro primo bacio fu la vecchia e romantica luna. Erano seduti sulla panchina del viale alberato della collina che degradava verso la piana e spogliandosi s’inoltrava verso la sabbia bianca dell’azzurro mare. Tra loro era sceso il silenzio gonfio di passione e di desiderio. I loro occhi s’incontrarono ed entrambi vi lessero la parola AMORE a caratteri cubitali. Il profumo delle rose e dei gelsomini, con tutta la loro fragranza, si posò sulle loro labbra.

Le parole tenere, dolci, belle, vibranti di poesia, erano nel loro abbraccio, nel loro sguardo, nel silenzio e nell’ambiente che li circondava.

La vecchia e dimenticata luna incontrò gli sguardi dei due innamorati e sorrise felice scoprendo i suoi denti gialli: “Allora c’è ancora qualche romantico” disse alle stelle con enfasi.

La buona novella fu per Luigia un toccasana. La malattia che la costringeva a stare a letto sembrò regredire, di pochino pochino ma era regredita.

Madre e figlia, erano oramai diventate tali, attendevano con ansia e trepidazione il ritorno di Dario, quando questi era inviato dal suo giornale nelle zone calde estere. L’attesa era lunga e angosciosa soprattutto se Dario non poteva o non riusciva a telefonare. La paura e ogni preoccupazione sparivano al solito “ciao” di Dario nella cornetta. Quel “ciao” era diventato il suono dolcissimo che apriva la porta più intima e segreta dell’amore, della felicità e della vita.

Accadde che il “ciao” si fece attendere più del solito. I giorni divennero pesanti, troppo pesanti e l’angoscia e la paura stringevano nella loro morsa il cuore di Luigia e di Carole.

L’estate cedeva il passo all’autunno e fu in una giornata uggiosa che arrivò la notizia: Dario era stato rapito da… (?!) supposizioni, solo supposizioni.

I giorni trascorrevano senza tempo in un buio totale, squarciati di tanto in tanto da qualche flash di luce. Una luce costante, calda e luminosa non abbandonò mai le due donne: la fede e la speranza. E queste furono premiate dopo tre mesi