Beatenberg

“Sulle alture del Lago di Thun, la soleggiata terrazza di Beatenberg offre una veduta panoramica unica sulle cime alpine dell’Oberland Bernese, tra cui l’Eiger, il Mönch e la Jungfrau …”

Beatenberg

 
Imprendibili luci ardevano alte.

Sotto di esse, il giovane Erman comprimeva il soffice manto erboso del prato inalando a pieni polmoni la pungente aria pulita.

Soddisfatto di sé e della vita fortunata che conduceva si avvertiva al centro del mondo.

Una morbida felpa bianca con cappuccio, un paio di jeans di marca e degli scarponcini da montagna era quanto indossava al momento.

A non molta distanza da lui un  fuoco fatto di arbusti e robusti ciocchi di legno crepitava salvaguardando i presenti radunatisi all’aperto per assistere allo spettacolo.

Il momento della cena era passato e a piccoli gruppi gli invitati avevano abbandonato la sala.

Il vociare sommesso degli uomini e qualche leggera risata femminile rompeva il silenzio alpino.

Dalle ciarle e dal buon liquido italiano sistemato in un tavolo vicino sarebbero nati amori e forse sciolti con tristezza altri legami.

Lentamente addensava la nebbia rendendo onirici i profili delle cose e le persone.

Elena intravide il volto quadrato ed elegante di Erman oltre le fiamme del fuoco.

Avvertì una fitta allo stomaco e fu sicura di amarlo sin dalla prima volta che ne aveva ascoltata la voce al telefono.

Corse velocemente verso di lui.

Erman la vide stagliarsi dagli altri contorni indefiniti, la riconobbe dai lunghi capelli scuri che aveva, dalle linee dolci del corpo e quando lei fu abbastanza vicina l’afferrò forte su di sé e le baciò la bocca.

Di nuovo la sensazione di essere nel posto giusto e nel momento.

Di essere nato per vivere al meglio.

Percepì aumentare il ritmo del  cuore.

Anche lui amava la ragazza.

Pensare che solo fino a pochi mesi prima fosse alla ricerca disperata di un lavoro e vivesse di pochi franchi in una casa comune senza praticamente mangiare.

Poi aveva risposto a un’inserzione letta su un giornale di città.

Era primavera il giorno in cui l’aveva fatto.

Ricordava che il Dopplestab, giornale locale, quel dì, tra i tanti articoli pubblicitari recasse nello spazio delle offerte di lavoro una nota di questo tipo: “Importante incarico offresi a giovane laureato materie economiche con spirito di iniziativa, multinazionale cerca.”

A lui non mancava iniziativa avendo  a badare a sé stesso da anni e le materie economiche stavano tutte nel corso di laurea frequentato.

Così, prima che finisse il mattino aveva inviato il curriculum vitae e non ci aveva più pensato.

Non era trascorsa che una settimana  che venne contattato al telefono ‐ Il dottor Erman Wagner?  Aveva domandato una giovane voce femminile.

‐ Sì, in persona;  aveva replicato comprendendo perfettamente che quella fosse una telefonata di lavoro.

‐ Sono la dottoressa Elena Eller, è per una ricerca di personale a cui ha risposto: le spiace se converso in inglese?

‐ Per nulla! Aveva risposto, avvertendosi in agio.

Era chiaro che l’interlocutore intendesse saggiare le conoscenze prima di invitarlo a un colloquio.

‐ Abbiamo letto con attenzione  il curriculum  che  ha inviato la scorsa settimana  e così  lei conosce diverse lingue: inglese; francese e tedesco …

‐ Si esatto.

‐ Tutti i nostri dipendenti conoscono almeno due lingue perché abbiamo necessità di colloquiare con i colleghi sparsi nelle varie sedi nazionali.

‐ Comprendo  perfettamente; aveva risposto con foce ferma e sicura e se l’azienda si occupava di commercio estero aveva sicuramente necessità di personale alle vendite o acquisti e forse il posto sarebbe stato il suo prima di altri.

‐ Mi parli per favore delle sue esperienze di lavoro – riprese la donna.

Ebbe un momento di esitazione. Riferì  del periodo trascorso  presso McDonald's in piazza Claraplatz  a Basilea, la città dove ora viveva ma questo era stato il primo impiego e durato il tempo di mettere da parte qualche soldo. Decise di passare a elencare gli incarichi migliori:

‐ Un anno alla GNN, contabilità.

‐ Partita doppia?

‐ Presenze e permessi, veramente. Cose semplici  inizialmente ma dopo mi hanno assegnato alla riconciliazione.

‐ Rapporti con le banche?

‐ Anche; l’ufficio dal quale dipendevo si occupava della gestione dei beni societari e adeguare il flusso dei pagamenti.

‐ Ha svolto altro?

‐ Due anni alla Revisioni Spa: controllo del bilancio.

‐ Se non erro è una società  assai strutturata.

‐ Hanno clienti  in tutto il mondo.

Essere stato  impiegato presso di loro era un’ottima referenza ma i pochi i quattrini e la provvisorietà ne avevano decretata la fine e da almeno sei mesi c’era stato nulla.

‐ La sua tesi?  

‐ “Adeguatezza del capitale presso le banche internazionali.”

‐ Bene, anche se la materia non è la mia. Passiamo a parlare in Tedesco?

‐ Benissimo.

‐  Nato a Breagaz nello Stato federato del Vorarlberg, Austria.

‐ Sì.

‐  La conosco sa, è una bella città.

‐ La Torre di Martino, il lago di Costanza…

‐ Sì. Solamente qualche giorno da studente …

‐ Io ci ho vissuto fino all’età di sedici anni.  

‐ Poi?

‐ I miei sono venuti a mancare.

‐ I suoi genitori non sono in vita?

‐ No. Non lo sono.

‐ Mi spiace. Cos’è stata?

‐ Età. Erano anziani

‐ Avrà fratelli, parenti?

‐ Una zia. Sono andato a vivere dalla sorella di mio padre a Zurigo.

‐Ovviamente lei sta bene …

‐ No, purtroppo anche lei non c’è più.

‐ Mi spiace, purtroppo il mio compito di fare le domande e queste riguardano tanti aspetti …

‐ Non si preoccupi, sono passati anni e sono abituato.

‐ Direi di cambiare argomento e di passare a parlare tra noi in francese che ne dice?

‐ Benissimo!

‐ Dunque ha studiato alla HWZ di Zurigo?

‐ Sì.

‐ Il nome del suo relatore?

‐ Professor Patrik Huber.

‐ Il presidente della commissione?

‐ Signora Christina Bauer.

‐ Direi che il tempo del colloquio sia terminato e ammettere l’ottimo  francese, dove l’ha studiato?

‐ Mia madre,  era di Lione.

‐ Davvero internazionale la formazione linguistica.

‐ Sì. Vero.

‐ Bene  la ringrazio allora.

La ragazza era tornata  a parlare il tedesco del posto.

‐ Riguardo al francese, devo dirle che ho pensato che lei lo parlasse meglio di me, disse Erman pensandolo realmente.

Ci fu un istante di silenzio poi la ragazza riprese ‐ Se ha modo, già domani si potrebbe fissare un appuntamento e conoscere, che cosa ne pensa?

‐ Con lei?

‐ Ah, no. Non  con me. Io sono alla sede, a Ginevra. Intendevo dire con  il nostro responsabile del personale di Basilea.

‐ Per me ben volentieri. Mattino oppure è adatto il pomeriggio?

‐ Direi che le 12, presso la sede in città possano essere il momento giusto.

‐ E’ richiesta la forma?

‐ Giacca e cravatta. Grazie.


Incrociò in quel momento gli occhi di Elena.

Avvertiva il vento battere sulle spalle.

I seni caldi di lei premevano contro suo petto.

Ricavava sensazioni di piacere.

‐ Ti è piaciuto? Disse a Elena. Sotto le mani il terreno freddo.

‐ Sì. Direi che è stato bello! Annui lei.

‐ Tu sei bella! Lei  parse arrossire.

Dopo l’abbraccio e il bacio nei pressi del fuoco si erano allontanati dal gruppo.

Si erano seduti in terra a guardare le luci della città sotto di loro. Splendevano lividi i colori della cittadina di Thun e poteva intravvedere i riflessi della luna sulle acque. In un attimo Erman ripercorse gli anni dell’infanzia, i primi del liceo. La città vecchia. Il volto della madre gli scorse più volte davanti agli occhi.  Poi aveva baciato Elena e fatto l’amore in quel luogo immutato dal tempo. Brividi e sensazioni mai conosciute lo percorrevano dal fondo dello stomaco alla testa. Essere in quel luogo  e possedere una donna molto bella lo procurava. Dopo la nomina in società,  Elena  l’aveva chiamato al telefono per fargli le congratulazioni. Tra loro era nata una cortese amicizia e si erano ripromessi di conoscersi. I corsi di preparazione obbligatoria al lavoro ai quali si era sottoposto avevano rinviato il momento, almeno fin tanto che l’azienda non aveva organizzato l’incontro in montagna. Il giorno precedente si erano visti al briefing del mattino, senza farsi accorgere avevano ripercorso la prima telefonata e così ironizzato sull’indagine che Elena aveva svolto per  decidere se invitarlo al colloquio  e per tutti i moduli complicati che poi aveva dovuto riempire. La loro intesa  si era rafforzata a pranzo e nel corso del pomeriggio. Giunti alla sera Erman aveva scelto per trascorrere la notte il giaciglio accanto a lei nell’enorme soffitta organizzata a dormitorio comune. Quando tutti si erano addormentati Elena era entrata nel suo letto. Si erano baciati e sondato il corpo dell’altro, trattenendo ogni gemito che potesse svegliare la comunità. Tra loro le cose accadevano spontaneamente. Il giorno successivo, alla colazione, svolta con marmellata di more, burro, insaccati e pane scuro, avevano stabilito che per il resto del giorno sarebbero stati in compagnia degli altri colleghi; questo per non dare nell’occhio.  Al mattino si erano tenute due riunioni in cui erano separati.  Lui  era tra i cadetti dell’azienda e lei tra  gli anziani e nel pomeriggio partecipato a un’ulteriore riunione  questa volta composta dall’intero gruppo di colleghi e manager. Per farli socializzare maggiormente ognuno di loro era stato munito o  di un tamburello o di una trombetta. C’erano anche delle buone chitarre classiche. Con questi semplici strumenti avevano intonato qualche canzone cara agli svizzeri,  come pure qualcosa di un cantautore italiano dal nome di Lucio Battisti. Poi, tutti assieme avevano ascoltato gli ottimi risultati raggiunti dall’azienda e gli obiettivi per il semestre successivo, i premi. Aveva conosciuto il presidente tal Alexander Keller. Un giovane molto magro e di poche parole con cui aveva Erman aveva provato a scambiare qualche parola e che a pelle gli era sembrato abbastanza dispotico. A ogni buon conto poteva anche essere fosse solo preoccupato dall’organizzazione con tanti ospiti in arrivo da ogni luogo del paese. Il pranzo era stato lasciato libero e così l’aveva trascorso assieme a Elena nel bosco presente nel crinale poco lontano. Portarono con loro del pane arrostito al fuoco e della carne in un piatto di porcellana bianca e senza dimenticare lo spumante e due coppe in  cristallo.

Elena era la donna con cui sarebbe voluto stare.

Capelli neri e occhi azzurri.

Labbra morbide e capezzoli lunghi come mai aveva assaggiato.

‐ Hai visto come sono fatti? Disse toccandosi le tette e sollevando verso di sé il capezzolo.

‐ Come sono fatti? Molto sporgenti direi.

‐ Anche mia madre li ha come me.

Pensò a che cosa rispondere, qualcosa di adatto, poi disse ciò che voleva essere un complimento: bacerò anche i suoi non appena me la farai conoscere.

Elena parve avere un momento di malinconia poi  si mise a ridere a crepapelle, voltando la testa un poco da un lato e poi ancora d’altra parte. Raccolse una piccola ciocca di capelli sulle spalle e l’attorciglio con le mani…

‐ Che c’è? Domandò

Ci fu un nuovo momento di silenzio tra loro in cui percepì il vento risalirli le spalle, raggiungere il collo e la nuca.

‐Perché no? E’ tua madre. Mi piace tu. Mi piacerà lei!

‐ Ma ha più di 50 anni, è vecchia! Ammise Elena che tornò a ridere e scuotere la testa.

‐ Va bene, ho detto una cosa stupida ma a fin di bene. Risero assieme.

Una voce femminile interruppe il loro gioco:  Elena dove sei?

Le era ancora dentro. Cercò di sfilarsi.

‐ E’ Verena che mi cerca. Sono venuta alla baita con lei ‐  tentava forse di giustificare l’intromissione.

In effetti,  Erman aveva trovato posto per la notte accanto a Elena sulla panca di destra, Verena aveva invece preso posto in quella di sinistra.

Possibile che fossero anche amiche e  che Verena intervenisse in quel momento per comunicarle qualcosa di importante.

‐ La nostra collega Verena, vorrai dire. Rispose lui che adesso era adagiato al lato e direttamente a contatto con il  verde ghiacciato. Si domandò ancora quale relazione intercorresse tra le due che forse non aveva notato.

‐ Già dimenticavo che ho un impegno! Annui Elena, senza manifestare fretta o preoccupazione.

‐ Tu sei la mia collega di Ginevra. Disse lui cercando di smorzare il nervosismo.

‐ E tu il mio di Basilea. Ripete quasi all’unisono Elena.

‐ Bene: siamo innamorati allora. Concluse in fretta Erman. A questo punto lei gli diede un bacio con forza, poi disse  ‐ Innamorati, è troppo e poi io sono in tuo superiore, sì, questo lo puoi anche affermare.

Ora lei si era girata e cercava di rimettere a posto il pantalone aderente

Se aveva compreso il ruolo in azienda di Elena, questa era davvero un suo superiore e neppure di un solo  livello.

Ad ogni modo non contava; il loro, era amore e non affari.

Verena era giunta tra loro, sembrò non badare a che entrambi si stessero rimettendo a posto i vestiti.

Verena aveva capelli biondi come del resto è comune a quasi tutte le ragazze tedesche.

Più giovane di Elena.

Un volto dolce e delicato in un corpo magro.

‐ Elena è ora del tuo intervento in sala. Disse in modo laconico.

Erman sapeva di una riunione riservata. Non che Elena partecipasse.

‐ Sì. Vado, disse Elena,  ma prima, disse a Erman che la guardava senza capire un bel nulla‐ veloce: dimmi se ti piace Verena.

Corrugò la fronte senza sapere che cosa rispondere.

Elena, insicura di sé, stava mettendo alla prova il loro rapporto o proponeva un gioco nuovo tra loro in cui Verena assumeva una parte?

‐ Penso sia dolce e molto carina, rispose per non offendere nessuno e prendere tempo.

‐ Era quello che volevo sapere disse lei, che aggiunse: voi restate qua e Verena mi raccomando, sai cosa voglio. A quel punto Elena passò una carezza sul volto di Verena e poi la baciò teneramente. Ci fu un abbraccio tra loro. Erman osservava la scena senza parlare.  Poi Elena girò su se stessa e incominciò ad andare verso la luminescenza gialla della baita dalla quale adesso si avvertivano uscire suoni musicali senza guardarsi indietro.

Il vento freddo della notte tornò a battergli addosso.

Fu interrotto dall’alito caldo della bocca di Verena sulla sua che dopo averlo baciato  sussurrò invitante: vieni…

Verena lo portò a qualche metro di distanza, più al riparo degli alberi che adesso parevano  flettere le punte all’aria.  Sotto quei rami di pino fece l’amore con Verena in maniera più lenta e cadenzata di quanto non accadde con Elena.

Le baciò il corpo nutrendosi dei sapori come aveva fatto con Elena.

A momenti pensò a lunghi capezzoli di Elena, in altri speculò che non ci fossero odori migliori di Verena.

Ora lei gli era sopra e Erman guardava tra le fronde l’infinito sopra di loro.

Che cosa accadeva, perché Elena gli aveva dato la sua amica? Altra domanda – che cosa significava quello strano  discorso svolto da Elena all’amica un momento prima di andare via?

L’azienda aveva fornito a Erman  una bellissima scrivania, una stanza tutta sua, in ufficio al centro della città e un ottimo stipendio  con cui comprare ottimi vestiti e pagare l’affitto di una bella casa nella zona dei benestanti.

Senza fare sforzi in pochi mesi era uscito con diverse colleghe e finito a letto quasi con tutte loro.

Doveva anche essere stato bravo perché la fama si era diffusa e adesso a turno lo desideravano?

Erman era giovane, forte, sicuro di sé e neppure uno stupido: qualcosa non andava!

Il sottile urlo di piacere di Verena ne risvegliò l’attenzione per farlo concentrare sul culmine di piacere che anche lui realizzava.

Emise un sano fiato.

Ora l’immenso tornava e risaliva dal corpo alle spalle e nel respiro avvertì il benessere della gestualità.

Terminò di porsi domande.

Verena  pose la testa sulla sua spalla.

Arricciò i capelli come aveva fatto Elena.

Pensò che adesso gli avrebbe chiesto se gli era piaciuto.

Fu lei a parlare: hai mangiato lo stufato? Domandò.

‐ Sì. Buono, disse senza troppo pensare.

‐  La carne era morbida e dolce abbastanza?

‐ Direi di sì  e che a pensarci mi è tornata la fame, torniamo dentro?

Davvero si sarebbe alzato e tornato alla baita ne avrebbe preso ancora e mangiata all’aperto con Elena e Verena se possibile, la sua nuova famiglia, ma sarebbe stato davvero così?

‐ Ed era dolce il sapore?

‐ Parli della carne o del tuo? Domando Erman

‐ Dello stufato! Disse senza percepire ironia Verena.  

‐ Ah, sì, mai mangiato di questa qualità.

Verena si alzò per rimettere a posto la gonna di lana. Gli scarponcini scuri di una nota marca internazionale le conferivano l’aspetto da guerriera del millennio. Erman pensò in quel momento che la dolcezza mostrata dai lineamenti  fosse apparenza di una mente decisa e complessa. Avrebbe dovuto concentrarsi meglio su quello che lei stava cercando di fargli comprendere? Oltretutto aveva l’impressione che fosse diventata seria e fredda. Probabilmente considerava anche lei che condividere un uomo  con un’altra donna  non fosse l’ideale, ma allora,  perché del gioco? La domanda tornava ad affacciarsi. Domandò: Torna Elena?

Lei non rispose. Restò in piedi e il bagliore della luna, lasciata scoperta della nuvola  andò a riflettersi sul volto, sulla dentatura chiara.

‐ Dimmi di Elena, domandò secco, dov’è?

‐ Elena ti ha dato a me e tu sei quanto mi rimane di lei. Io sarò quanto a te rimane di lei.

‐ Che significa? Che cosa vuoi dire?

‐ Quello che ho detto. Sono io il tuo superiore adesso.

‐ Tu e Elena siete amanti?  Lo siete state?

Sopra di loro il veloce battere delle ali di un rapace e poi il silenzio rotto da Verena: Descrivere il nostro rapporto non è così facile.

‐ Scusa Verena, cerca di capire. Sono confuso.

‐ Hai trovato ossa nello stufato?

‐ Non lo so. Non mi sembra. Non mi interessa.

‐ Ancora non capisci? Lavori in una multinazionale di proprietà  dei fondi che sono chissà dove e come si raccolgono  nel mondo. Ti sei laureato con impegno o l’hai presa con i punti?  L’età dei dipendenti della compagnia non supera i  trentasei anni, l’hai notato?

‐ Questo perché la compagnia crede solo nei giovani.

‐  Sei uno stupido. Questo è perché noi non arriviamo a superarli.

‐ Di che parli Verena, quali argomenti ti passano per la testa?

‐ Erman, ti hanno dato un bellissimo stipendio, una splendida scrivania. Ben poca fatica da svolgere. Era quanto volevi?

‐ Non posso lamentarmi no, ho quanto cercavo. Questo non vuol dire che posso fare di me quanto vogliono.

‐ Ti è andata bene, dammi retta. Quanti anni hai? Ventotto, ventinove?

‐ Trenta!

‐ Bene. Io ne ho trentatré. Elena  aveva compiuto trentasei anni da qualche giorno. Tu sei stato il suo addio. Ti ha scelto a me, non lamentarti.

‐ Tu sei da legare e voi siete da rinchiudere. Vado a prenderla e la porto via con me.

‐ Sarà già andata. Come era previsto. Per volere del fondatore, tra il primo venerdì e il sabato del mese di aprile devono compiersi i sacrifici dei dipendenti o manager che hanno raggiunto il momento. Elena era la sola per quest’anno ad avere raggiunto i trentasei anni e si è sacrificata come aveva previsto.

‐ Come avrebbe fatto? Dimmelo, folle che sei…

‐ Tagliandosi le vene nella sala del bagno caldo. Lei ha scelto di andarsene così e io ho dovuto distrarti per il tempo che accadesse. Adesso baderò a te. Nient’altro da dire o da fare.

‐ Ha una madre. Voglio vedere cosa le racconteranno. Ora guardava con odio in direzione dello chalet. La nebbia lo aveva completamente oscurato.

‐ Ti ha mentito. Non ha mai avuto una madre. Orfana di entrambi i genitori. Se ti ha raccontato qualcosa di questo tipo non era vero. Lei soffriva molto per questo motivo.

‐ E tu? Tu non hai famiglia? Parenti. Anche tu sei sola al mondo?

‐ Sì Erman.  Per me è altrettanto. Ho chiesto asilo e l’ho ottenuto.  Non so nulla dei miei da anni. Da quando sono andata via da casa. Avevo diciotto anni quando sono scappata dalla Moldavia e nessuno mi ha mai cercato.

‐ Impossibile. La nostra polizia farà ricerche, vi troverà…

‐E tu Erman, hai parenti prossimi? Vivi nel paese della riservatezza e dei capitali segreti.  Chi vuoi che si interessi a te?

Le luci della città baluginavano in fondo alla valle.

Erman guardò nella loro direzione. Se solo avesse avuto un giubbotto per resistere al freddo, ma così che cosa avrebbe potuto fare?

Verena  si avvicinò, lo prese per mano ‐ Vieni andiamo da loro, saranno ansiosi  di avere il tuo giuramento.

Sopra la testa migliaia di diamanti lontani e attorno,  il suono allegro di un campanaccio di mucche al pascolo.

‐ Verena disse dolcemente parlando più a sé stessa che a Erman: quando torneremo in questa baita lei vivrà in noi.