Calabroleso

Ci sono tanti cani abbandonati qui, come me, forse abbandonati in maniera vile, come è successo a me. Questi cani fuggono di fronte all’uomo, per cui mi chiedo cosa sono io se accettano la mia presenza, se nel breve volgere di tre mattini sono riuscito ad avvicinarli tutti.
Tutti tranne uno, il più piccolo, che scappa come una lepre se tento di accarezzarlo.
Noto che è giovane dal suo salterellare, che ha un non so che di giocoso ma diffidente.
Ancor prima dello spuntare del sole, da oltre questi monti privi di energia, ci raduniamo al bidone sul lungomare. Arriviamo alla spicciolata, posizionandoci in ordine sparso, e in silenzio ci chiediamo perché. Sui loro volti, così come sul mio muso, i segni delle umiliazioni bianche, dei sorrisi che promettevano cucce di rovere e hanno portato pini seccati da sole e fiamme, le cicatrici delle buone maniere che celarono torbidi inganni. Eppure regna un silenzio composto, nessuno che abbaia, che muove la coda, che prova a guaire. Tutti fissiamo un punto indefinito, ognuno il proprio, nessuno volge lo sguardo verso il mare, tra pochi minuti sorgerà il sole, che pure lui diverrà violento, e ci sarà da aspettare che se ne vada, cullandosi in quel dolce far nulla che non è proprio del mio vivere.
Oggi siamo uno in meno al bidone sul lungomare, il più piccolo ha trovato una casa, o per meglio dire una spiaggia con tanto di famiglia. Ha capito quando quel ragazzo è arrivato e si è lasciato afferrare, è salito sul mezzo con un docile balzo che ne ho sentito l’oplà di gaudiosa esclamazione. Mi chiedo se tornerà a trovarci prima che me ne vada, che non so bene quando sarà, poiché sono cane anch’io e aspetto, come loro, chi mi ha abbandonato.
Prima di abbandonarmi hanno tentato di uccidermi, ma non ci sono riusciti, addirittura il mio assassino ha lasciato l’autografo su questi fogli. La osservavo, tronfia nello scrivere, che ad ogni movimento delle dita udivo un colpo partire, indirizzato al mio cuore. “Al cuore Ramon!!! Se devi uccidere un uomo devi sparargli al cuore!!!” Quante volte ho udito questa frase, quante volte ho guardato questo film, ed ora lo stavo vivendo, subendo… Il “mio” Ramon indossava i miei calzoncini preferiti mentre sparava un colpo d’inchiostro dietro l’altro, successe tutto in pochi attimi, la fine di un per sempre, durato meno di un adesso, veniva così consacrata.
Chissà se anche questi cani prima di venire abbandonati abbiano subito brutalità simili, degne di menti disturbate prive di qualsiasi scrupolo, chissà se anche loro sono stati giudicati, cancellati, abbandonati per via di un episodio, chissà se chi li aveva scelti fosse consapevole di cosa si va a toccare quando si decide di vivere con un cane. La risposta alla mia domanda sta tutta nelle loro espressioni.
Nulla stupisce e meraviglia più della normalità di un gesto affettuoso, ma l’uomo vuole ben altro, avido di apparenza com’è, sempre in competizione, sempre pronto a confrontarsi nell’ambizione, nell’esibizione, sempre bisognoso di un nemico da combattere e non di un amico da coltivare, desideroso di stupirsi col pensiero, deludendosi poi ad ogni impatto con la realtà.
Ho già dato loro un nome, il più grande che è un meticcio bianco e beige l’ho chiamato Iperbole, il suo omonimo, solo più piccolo di taglia, Isoscele. Poi c’è Pomicione, tutto nero e marrone, il quale dorme sotto una vecchia barca abbandonata, come lui, alla deriva tra sassi di pomice. Troverò un nome anche agli altri tre se ne avrò il tempo e l’ispirazione. Che strano, mi sembra di amare questo posto, nonostante tutto il male che ho ricevuto, forse perché ho trovato tra questi compagni il mio mondo, quello che cerco. Mi hanno rubato la mia solitudine lasciandomi senza neanche più quella, ma non sono riusciti a rubarmi l’anima. I ladri di polli non conoscono il significato di tale parola, ne fanno solo scempio, un po’ come i guerrieri più beceri fanno scempio dei cadaveri maleodoranti inneggiando alla pace e alla libertà.
Saranno le palme i fichi i geki, saranno gli ulivi, la russalia, i gelsi, ma non riesco ad odiare nemmeno questo mare cattivo, che se provo a farmi cullare dalla sua agitazione, invece di trascinarmi al largo e finirmi, mi scaraventa contro sassi meno duri e testardi di me.
Le nuvole, che riversano la loro disperazione sulla Sila, sono bianchissime a Luglio, la notte emanano luce, le vedi passare veloci, come quando sei al ristorante e noti passare portate odorose in vassoi affascinanti, con te seduto che aspetti il tuo turno, e quegli odori che accarezzano l’aria ti fanno quasi pentire di quello che hai scelto a scatola chiusa. Allora forse io sono una nuvola, e sono transitato di qua così velocemente da non aver lasciato traccia, o sono la scatola chiusa immediatamente cestinata dopo essere stata aperta senza nemmeno troppa cura. Non ho piovuto, non ho fatto piovere, son solo passato a fare un po’ d’ombra ma le nuvole attese eran ben altre.
Ogni cane di questi, compreso me, avrà una sua storia che nessuno racconterà, pagine che saranno consumate dal vento, corrose dall’umidità, dimenticate dall’indifferenza.
Eppure il cane ricorda quanto era bello passeggiare al fianco della propria vita, scelta, che pure un guinzaglio lo rendeva più libero di adesso. Torneranno le nuvole su questo paese che mi ha reso calabroleso, ne passeranno tante, più o meno veloci, più o meno cariche, ma nessuna saprà mangiarsi il sole, perché il vento è solo un pensiero che ti spinge più in la.
Oggi è l’ultima alba che trascorro sul lungomare, sono arrivato per primo, che ancora l’aurora è padrona del mondo, mi siedo sulla umida roccia e aspetto.
Non torna mai a riprenderti chi ti ha abbandonato, non può tornare chi non esiste.