Carcere Rosso

Ad un certo punto le cose accadono e s’incastrano.
Come tante celle costruite a modo collegate tra loro da un invisibile filo del destino che tesse ogni singola emozione o situazione; una vedova nera che intrappola le sue vittime in tranelli abietti e poco costruttivi che hanno un lieve senso.
La situazione mi appariva come un carcere rosso; ed io ero l’imputato, il giudice e l’aguzzino. Che triste realtà contorta.
Nel mio cervello c’erano troppe informazioni sulle quali affacciarmi ed affrettarmi a risolvere e poi quelle che nulla c’entrano ma che, per via della vedova nera, s’intrecciano alle cose reali nemmeno chiedere il permesso.
Viktoria e Buba erano i miei compagni di cella (quelli a cui non badavo ne ascoltavo ma, in quanto uniche persone reali con cui condividevo quel buco, dovevo rendere almeno qualcosa che fosse stato un gesto, una parola, una compagnia o semplice falsità quotidiana).
Poi c’era Melissa, l’unica amica che ho sempre avuto e che desideravo ardentemente rimanesse con me fino al calar della vita; quella mano dolce e confortevole di bella leonessa amante della vita dedita a sol se stessa ed al suo irrequieto cane bianco e nero; e poi c’era lui.
Ernèst. Ernèst era quel tassello più improbabile che alla mia vita non serviva minimamente eppure era entrato nella mia linea; anche lui aveva un posto nel carcere rosso che mi ero creato nella mente ma aveva un posto riservato, quasi nascosto al mondo. Non che me ne vergognassi, ma essendo lui l’improbabile, mi piaceva fosse quella carta nascosta da scoprire in reale caso di bisogno.
Artista fin nel midollo, Ernèst cantava e suonava di amore, passione, la vita ed il mondo, di viaggi e di donne, di carne e di fronde.
L’amico fragile dell’improbabile caso umano qual’ero, messo in un angolo a rimuginare su vita, morte e miracoli passati presenti e futuri senza capirci un emerito cazzo. Sapevo che dovevo campare e cercavo di farlo nel modo più normale possibile (anche se, a dire il vero, sono un tipo abbastanza plateale). Fuggire nuovamente era quello che volevo, ma per farlo dovevo organizzare bene i miei passi e non potevano esserci margini di errori; assolutamente no.
Jenny sarebbe stata la persona perfetta; ragazza semplice e carina, giovane e innocentemente maledetta (sono sicuro sia così).
Ma no, no! L’improbabilità non deve aleggiare perpetua nella mia mente; sto mischiando fantasie e realtà, che confusione! Avevo impostato la vita reale in un carcere e quella irreale nel mondo attuale.
Ernèst era un uomo o una donna ai miei occhi? E Jenny? Era la barista del bar dove andavo di solito a sbronzarmi, o era l’amante uomo del momento?
E io? Chi sono ora a parlare? Il me prigioniero? La vedova nera? L’amante delusa da Pablo o il dannato Mr X che deve risolvere dei problemi?

Mi sento un po’ confuso.