Caro fratello mio

Ormai è mattina e non c’è silenzio. Il silenzio c’era stanotte, quando ti agitavi nel letto, insofferente, insonne, quando mi guardavi, seduta accanto a te, la tua mano nella mia, e imploravi con lo sguardo e con le poche parole: cosa faccio, non ce la faccio più, cosa faccio! Ora sei troppo stanco per stare seduto nel letto, ma troppo ammalato per stare sdraiato: sdraiato non riesci a respirare, seduto non hai la forza di rimanere che per pochi secondi. Ti tengo abbracciato a me, fratello mio, ti accarezzo le ossa sporgenti della schiena, il collo esile e i capelli radi e scompigliati, ti tengo abbracciato a me per sostenerti, per consentirti di stare un po’ di più seduto, ma non ti stringo a me. Non ti stringo perché sei così fragile, e non voglio che nel mio abbraccio tu respiri l’addio che non riuscirei a nascondere, non a te, intelligente, sensibile, consapevole. Tu appoggi la tua testa al mio petto e combatti, io sento che combatti. C’è una grossa pietra nell’orto di fianco alla nostra casa. Io ho nove anni e tu diciannove. Io mi siedo sulla grossa pietra a leggere i libri per ragazzi, tanti, tutti quelli in circolazione. Appoggio il libro sulla pietra e ti guardo: tu sei un atleta, ti alleni nel prato di fronte a casa. Mi chiami. Vieni qui, che ti faccio lanciare il disco. Io corro. La guerra è passata sopra la tua prima infanzia come una schiacciasassi, ma adesso sei un bel ragazzo. Mi insegni a lanciare il disco, mi insegni a girare su me stessa. Sono sicura che se provassi ne sarei ancora capace. Brava, l’hai lanciato a nove metri, bravissima! Ma io e te condividiamo anche la passione per la lirica: ascoltiamo l’opera alla radio di sera in cucina e quando c’è qualche opera a teatro a Bergamo prendi la moto e insieme andiamo a vederla. Ricordi quella sera che dovevano dare La Cavalleria Rusticana e I Pagliacci? Avevamo affrontato una vera bufera di neve, in moto, e quando arrivammo a teatro, l’avevano rinviata
.Smetti di sussurrarmi “grazie, grazie di tutto”, smettila! Tocca a me dire grazie di tutto, tocca a me che non dimentico tutto ciò che ho avuto. Non dimentico “La Cavallina Storna”, quando mi aspettavi col Geloso per registrare: tu il narrante, io la madre: O cavallina, cavallina storna, tu che portavi colui che non ritorna.....” Non dimentico la moto “dai salta su che ti porto a fare un giro” Non dimentico tutto il tempo che tu mi hai dedicato, perciò smetti di ringraziarmi. Rimaniamo qui, così, diamoci tutto ciò che è ancora possibile, ce lo dobbiamo, perché più di così non esiste. Fingiamo che non stia accadendo nulla, fingiamo che non sia, oggi, l’ultimo giorno della tua vita.