Cesarino e la Sirena

La Luna veleggiava alta nel cielo, stendendo il niveo strascico sulla immota distesa marina, ove tutto pareva placido ed inanimato, fin quando… un guizzo, un’increspatura sulla superficie ed una testa mora emerse.
Brune aveva le chiome, ma la Luna, complici le gocce imprigionate tra i capelli, si divertì a tingerla d’argento. Gli occhi grandi e brillanti ammiccarono alla notturna spera che alleviava ai viventi il grave peso delle tenebre.
Non per ammirarla, però, la dolce ma pericolosa sirena era emersa. No. Un’altra luce l’aveva attirata, spandendosi sulle acque il tremolante riverbero di una lampara che scrutava le profondità in cerca di preda.
Un provetto marinaio impugnava la fiocina, pronto e speranzoso, ma non avrebbe mai immaginato di predare un simile tesoro del mare. La creatura degli abissi già da tempo lo osservava, e solo dopo essersi accertata di quanto fallace fosse la sua mira oppur magra la sua fortuna, s’era risolta a mostrarsi.
Il lieve gorgoglio dell’emersione attrasse istantaneamente l’attenzione del pescatore, attento al più leggero sciabordio e, non appena la scorse, poco mancò che l’arpione, scivolandogli dalle mani tremanti, gli perforasse un piede.
Quanto mirava era reale o immaginario?
Per appurarlo si piegò sul bordo, esponendosi al rischio mortale. La fanciulla dei flutti assai agevolmente, allora, l’avrebbe potuto afferrare per trarlo così ad una prematura fine, ma la sfortuna che lo perseguitava l’aveva intenerita, sì che rifuggì da un’azione tanto crudele che, pure, l’istinto le dettava.
Gli sorrise, invece, divertita del suo strabiliato stupore, quindi, esibendosi in un audace tuffo, s’immerse, infradiciandolo con lo spruzzo della coda. Costui neppur s’accorse del consueto contatto equoreo e, trasecolando, più si sporse per incontrarla ancora.
Ella ne fu lusingata, perché l’uomo le faceva dono della propria esistenza in cambio d’un solo sguardo.
Risalì, pertanto, e spumeggiò a poppavia, facendo balzare all’indietro l’inappagato spasimante in attesa.
Si fissarono, fino a che i sorrisi di entrambi non si fusero in uno solo in una dimensione che l’amore aveva affrancato dal tempo, indi ella compì un’ardita evoluzione e scomparve per sempre dalla vita del navigante.
Quegli rimase immobile, fino a quando la lampada non ebbe consumato tutto il combustibile e poi oltre, nel buio, dopo che l’astro lunare aveva abbandonato lo scenario d’Aiace ove s’era svolto l’inenarrabile evento, nella baia turchina in cui s’affievolisce, sino a dileguare, il confine tra realtà e poesia.
Cesare non obliò quell’incontro per il resto dei suoi anni, mantenendolo segreto tesoro che nemmeno l’uomo più ricco della Storia avrebbe mai potuto ambire di possedere, e sempre, sempre quando la Luna stendeva il proprio manto, egli lo solcava desioso e, al tempo stesso, certo che non avrebbe mai più scrutato il fondo dell’anima della sirena, giacché l’inafferrabile non può riprodursi, o non sarebbe più tale.
Gli bastava mostrarle il proprio, sicuro di non incontrare ancora la delusione del tangibile, vivendo l’estasi perenne di un incontro fino a raggiungere quel dì, in cui il suo desiderio si sarebbe trasformato nel sogno di un altro che l’avrebbe rivissuto ammantandolo della parola, la parola che Cesarino non aveva saputo pronunciare alla sirena.