Có Stá Pioggia E Có Stó Vento...

Il conte Camillo Colocci, vedovo,  abitava nell’antico castello avito nel Comune di Matelica in quel di Macerata insieme al figlio Marcello cieco dalla nascita, alla figlia nubile Ena legnosa, accanita cacciatrice e dalla battuta satirica facile, al figlio Ettore un metro e novanta, maxime truncum familias, a cui assomigliavano alcuni ragazzi del circondario con gioia della madri e malcontento dei padri putativi ed infine la deliziosa Annabella di anni venti che, per motivi difficili da comprendere aveva  voluto vestire i panni di monaca chiedendo al genitore di risiedere in un convento confinante col loro castello sul Monte San Vicino, monastero che era stato costruito nell’ottocento e quindi non aveva le comodità cui era abituata la contessina. Con un po’ di moine ottenne dal padre, a cui non faceva difetto la moneta, di ristrutturalo restringendo le camerette disadorne delle suore da venti a dieci ma con tutti i confort moderni. Naturalmente era stata nominata badessa , insomma il monastero era diventato un simil albergo di prima categoria a cui avevano accesso solo le suore provenienti da famiglie nobili. Aveva scelto come nome da suora Susanna forse non sapendo che era certa suor Susanna Simonin, nel medioevo, era stata classificata pessima religiosa… Nel far risistemare le camerette suor Susanna se ne era riservata una che era in comunicazione con quella della foresteria dove venivano alloggiate le religiose di passaggio. L’arcivescovo di Macerata all’inaugurazione del complesso, aveva avuto parole di elogio per il conte Colocci per la sua magnanimità. Sin da piccolina Annabella aveva preferito giocare con giocattoli maschili non amando le bambole o meglio apprezzando quelle in carne ed ossa delle sue coetanee, con cui imbastiva giochi  erotici apprezzati dalle compagne, in mancanza di maschietti…Col tempo non perse l’abitudine e, guardandosi intorno, scelse come compagna di ‘giochi’ tale suor Angiola Viridiana che nel secolo passato non era ricordata per le sue doti di santità. La cotale alta, longilinea occhi grigi bocca carnosa, seno appariscente pur coperto dal vestito monacale e poi gambe chilometriche piedi lunghi e stretti, bellissimi. Tutte sapevano tutto di tutte ma era loro interesse non mettere il naso nelle altrui vicende. Suor Susanna quando vide per la prima volta Angiola spogliata, rimase senza fiato e ci fu un incrocio di gambe e braccia con baci appassionati, il tutto finì alle luci dell’alba e pertanto le due suore dovettero saltare il mattutino con grandi risolini delle altre monache. Il giorno di Natale suor Susanna invitò il fratellone Ettore alla cerimonia religiosa tenuta da fra Gaudenzio, un giovane prete di una parrocchia vicina, confessore delle monache e poi in giardino canti e balli non proprio religiosi. Suor Susanna ad un certo punto si accorse della mancanza del fratello e della suora Silvia; tutto intorno al giardino c’era un bosco da cui uscirono separatamente Ettore e suora Silvia un po’ accaldati in viso. Suor Susanna si preoccupò non per puritanesimo ma perché una eventuale gravidanza gli avrebbe fatto perdere quel Paradiso che si era costruito. Avvicinatasi al fratello con aria interrogativa…” Tutto a posto sorellina, non diventerai zia…” Quel figlio di cane la prendeva anche in giro, non l’avrebbe più invitato. Altro problema era il confessore; fra Gaudenzio all’inizio restò basito da quello che in confessione gli raccontavano le suore sui loro comportamenti sessuali ma poi filosoficamente pensò: “Se il buon Dio ha permesso alle suore di godere delle gioie terrene, chi era lui per giudicarle anzi pensò bene di approfittare della situazione e, osservando il viso delle sorelle, una volta riscontrò in suor Silvia un sorriso particolare di disponibilità. Chiese a suor Susanna, data l’ora tarda, di poter usufruire della stanza degli ospiti in compagnia di suor Silvia, ottenne il permesso con la raccomandazione di… stare molto attenti. Il giorno dopo suor Susanna vedendo il viso disteso e sorridente della collega Silvia pensò bene di imitarla e invitò fra Gaudenzio a passare la notte nella foresteria per poi raggiungerlo aprendo la porta di comunicazione delle due stanze. Il frate l’accolse con un baciamano atto non molto adatto in un convento ma il meglio doveva ancora accadere. Senza parlare, all’unisono il religioso e la religiosa si trovarono a ripulire il corpo sotto la doccia per poi asciugarsi  reciprocamente con teli profumati. La luce di due  abat jour rischiarava la scena per tanto che bastò a suor Susanna vedere il coso del frate aumentare notevolmente di volume e lunghezza e se ne preoccupò perché pensò che quel coso doveva penetrare…ed allora, ricordando il passo della Bibbia ripeté la famosa frase di Giosuè ‘fermati!’solo che il buon Giosuè si riferiva al sole mentre suor Susanna a quel ‘ciccio’ che stava diventando sempre più lungo e voluminoso suscitando le risa del frate il quale pensò bene di infilarne la punta nella deliziosa e vergine boccuccia della suora che, dopo un po’ di tempo apprezzò quella nuova sensazione anche perché fra Gaudenzio ritenne di evitare la sicura non buona accettazione del riempimento della bocca con una prevedibile sbrodatona dal parte del suo uccellone. Alla vista di tanto seme sgorgante dal ‘cosone’, suor Susanna allargò gli occhi stupita. Il frate volendo godersi anche la ‘gatta’ della suora, andò in bagno  per far pipì per evitare pericoli di ingravidamento. Il ‘ciccio’ non ne voleva sapere di ritirarsi in buon ordine e fra Gaudenzio pian piano cercò di infilarlo nella ‘gatta vogliosa non più vergine per i precedenti ‘giochetti’ della padrona ma pur sempre strettina. Ci volle del tempo a qualche gemito dell’interessata che alla fine del lungo entra ed esci, provò una sensazione paradisiaca per usare un termine religioso. Susanna divenne l’amante ufficiale del confessore il quale, per maggior gaudio di ambedue, si procurò delle confezioni di pillole anticoncezionali per aumentare il piacere di entrambi. Alla prima volta di una rapporto completo, suor Susanna ebbe la fortuna di provare una sensazione fortissima, forse fra Gaudenzio le aveva trovato il punto G portando la suora direttamente in Paradiso. La vita di paese è fatta così, non ci sono segreti custoditi, le notizie volano come coriandoli e vennero all’orecchio del Conte Colocci e lo misero in apprensione. Come si sarebbe comportato il vescovo qualora…trovò una soluzione: fargli riparare, a sue spese, parte della chiesa e del campanile che stavano andando in rovina. Inutile dire che la sua proposta fu accolta con entusiasmo dall’ecclesiastico anche perché il Conte Colocci: “Non mi faccia pervenire preventivi e titoli di spesa, la prego, sarebbe per me una noia, mi dica, a suo tempo solo la cifra da pagare!” La notizia fu accettata dal Vescovo con doppio entusiasmo anche perché ci poteva fare la cresta! Dopo tre mesi l’inaugurazione del manufatto; in  chiesa in prima fila il Conte con tutta la famiglia, ovviamente con esclusione di suor Susanna che avrebbe usufruito in seguito dei benefici di quell’elargizione. Nel frattempo i due amanti quasi giornalmente o meglio nottalmente usufruivano delle gioie del sesso; erano sempre allupati tanto che la più anziana ed esperta delle suore, presa da parte suor Susanna, le consigliò di darsi una calmata per evitare un eventuale altro dimagrimento piuttosto ben visibile! Un giorno il Conte ebbe l‘idea di riunire al castello tutti i componenti della famiglia, stava invecchiando di giorno in giorno e pensava che quella vecchia antipatica di Atropo si sarebbe presentata presto al suo cospetto munita di falce! Ettore con la sua B.M.W. nera, con vetri oscurati andò a prendere la sorella in convento, per strada diedero un passaggio a fra Gaudenzio, i due ‘fidanzati’ nel sedile posteriore presero a baciarsi ed Ettore “Boni ragazzi!”Al castello tutta la servitù aveva avuto concesso un giorno di libertà per evitare che incontrassero i due clandestini. Riuniti tutti nel gran salone Ena mise in mostra la sua volgarità: “Oggi in questo castello comando io, mi son fatta un culo così a cucinare, tutti mi seguiranno senza storie, t’è capì e lo dimostrò poco dopo quando suor Susanna chiese che uccello fosse quello più grande che era nel girarrosto, risposta di Ena: “È un uccello di Padulo cha va dritto al…” Fu interrotta da Ettore con un “Ena cazzo!” e tutti risero avendo ben capito il finale della battuta. Alla fine del pranzo la imprevedibile Ena prese la chiatarra e: “Ragazzi vi delizierò con una canzone popolare, rilassatevi: Cò stà pioggia e cò stò vento chi è che bussa a stò convento? È nà povera vecchierella che si vuole confessare: mannatela via, mannatela via è la disperazione dell’anima mia! E mò chi bussa a stò convento?” È una bella verginella che si vuole confessare.” “Fatela entrà, fatela entrà che la vojo confessà. E pè tutta conclusione tu te baci sto cordone.”  “Non so cieca, non so orba questa è ciccia non è corda!” Malgrado la volgarità Ena ebbe gli applausi di tutti anche per la sua esibizione nell’arte culinaria. Questa storia non ebbe la fine delle favole: morirono il Conte padre ed il cieco Marcello, Ettore si sposò con la marchesina Federici ed  andò ad abitare a Jesi, Ena rimasta sola segui la sorella in convento senza perdere l’abitudine di far strage di uccellini del vicino bosco. I due amanti pian piano, col passare dell’età, per motivi fisiologici si vedevano sempre di meno fino a cessare del tutto i loro rapporti. Col decesso per vecchiaia delle suore nel convento giunsero monache più giovani che seguitarono la consuetudine di quel luogo sacro di aver buoni rapporti fra di loro dato che il confessore fra Gaudenzio, ormai fuori uso, lasciò il posto ad un collega anziano ed anche non particolarmente appetibile.