Come un getto d'inchiostro dell'anima

Santuario di San Giovanni Rotondo

Quando visitammo il Santuario c’era ancora la lira, invece Francesco Forgione, in arte Padre Pio, ci aveva già lasciato da trent’anni; nonostante ciò la sua mistica fama era all’apogeo.
Il nuovo Santuario era in costruzione, ma i lavori erano fermi perché alcuni avevano sollevato dubbi sulla tenuta dei grandi archi in pietra previsti dal progetto.
Sinceramente non vedevo la necessità di un nuovo Santuario, per me bastava la vecchia Chiesa (che poi così vecchia non era e aveva la mia età), inoltre la stessa disponeva di un grande sagrato, già utilizzato in passato da Padre Pio quando c’era il sold out di pellegrini.
La prima impressione fu decisamente negativa, percorrendo le strade che portavano alla chiesa venimmo letteralmente assaliti da mercanti di souvenir di ogni tipo, tutti riportanti l’effige del povero Padre Pio; ricordo in particolare dei venditori abusivi di calendari che scappavano ogni volta che si palesava una camionetta della polizia locale, per riapparire appena quella aveva girato l’angolo.
Non sono un uomo di fede, non ho ricevuto tale dono, o forse non me lo sono meritato, ma quel mercimonio del sacro, fatto a pochi metri dal luogo dove Padre Pio aveva sofferto, pregato, supplicato, aveva il sapore aspro dell’offesa.
Dietro la chiesa c’era una statua di Padre Pio circondata da una recinzione in pali di ferro, anch’io, come altri, lanciai una moneta da cinquecento lire, ma quella anziché cadere ai piedi del Santo colpì uno dei pali e tornò a me. Praticamente Padre Pio aveva bruscamente respinto la mia offerta.
“Proprio un brutto segno!”: dissero alcune persone che avevano assistito alla scena.
Solo una cosa non capivo del gesto di Padre Pio: perché infierire su di me quando aveva a disposizione una schiera di mercanti del Tempio da sfracanare di mazzate, come aveva fatto il Messia nel film Jesus Christ Superstar.

Sacro Monte di Varallo Sesia

Nel cortile del Santuario, c’è una fontana con appesi dei grossi mestoli forgiati in alluminio. Un signore si avvicina, ne afferra uno e rivolgendosi a noi dice: “Chi beve quest’acqua campa cent’anni!”.
Una signora lì presente prontamente gli risponde: “Speriamo qualcuno in più…perché ne ho già novantasei!”.
E’ proprio vero che l’ironia non ha padroni, età e si prende la scena quando e dove vuole lei.

Sacro Monte di Oropa

Verso mezzogiorno lasciamo il Santuario e ci spostiamo in una trattoria nei dintorni. E’ una giornata afosa e il tendone sotto cui pranzeremo non aiuta e toglie il respiro.
Accanto a noi una comitiva di Cossato.
“Siamo del paese dei Brusa Crist. La sa la storia?”: mi chiede uno di loro e subito inizia a raccontare.
“Anni fa gli abitanti di Cossato, portando con loro un grosso e pesante crocifisso, usavano recarsi al Santuario di San Bernardo di Trivero. Durante una di quelle processioni furono colti da una terribile grandinata che distrusse tutti i raccolti. Allora si riunirono in preghiera per chiedere a Dio di far cessare quella tormenta, ma la grandine aumentò. Presi dalla rabbia, buttarono il crocifisso nel fiume, ma quello non affondava e allora lo tolsero per dargli fuoco, ma il legno, impregnato d’acqua, non bruciava, alla fine lo rigettarono sotto la grandine dicendo: non anneghi, non bruci, pija anche ti la grela!”:
Ho la sensazione che non sia il posto giusto per raccontare certe storie e non è da escludere che a breve un fulmine cada su di noi e ci tolga il respiro.
Invece il respiro manca a mia moglie, al punto che con l’autolettiga la portano giù all’ospedale di Biella.
Fortunatamente si riprende e possiamo tornare al Santuario, dove avevamo prenotato un pernottamento.
Il dottore prima delle dimissioni chiede a mia moglie se per caso, su a Oropa, ha mangiato la polenta assassina, così i medici chiamano la polenta concia carica di formaggi e di burro fuso.
Come dire: attenzione la Madonna fa miracoli, ma sugli effetti devastanti della polenta assassina non ha potere.
Rientrati ad Oropa entriamo in un bar per bere qualcosa. Il posto è piccolo, vicino a noi ci sono tre signore anziane e una copia di novelli sposi.
Mi presento e quando tocca alle tre “ragazze” una di loro prende la parola e dice: “Siamo tre signore di 80 anni, vedove, perché così siete voi uomini: ci fate disperare d’amore e poi ci lasciate!”.
Speriamo che la nottata passi in fretta, penso, così domani mattina presto ce ne torniamo a casa e per un po’ basta Santuari.

Santuario di Re

E invece siamo qui: in un altro Santuario; i visitatori percorrono il perimetro interno di questo luogo sacro in penitenziale silenzio.
Sulla parete dove sono esposti gli ex voto, una ragazza (o meglio una bambina, a giudicare dalla scrittura incerta), ha esposto un foglietto bianco con un’invocazione che è un getto d’inchiostro dell’anima e recita così:
“Cara Madonnina vorrei che facessi ricordare le cose alla mia nonna Concetta” e subito sotto il suo nome, che più bel nome non c’è: Aurora.
Qui tutto intorno è silenzio e non arriva la musica e nemmeno si sentono voci, ma le parole scritte su quel pezzo di carta è come se fossero state vergate su pergamena, hanno la potenza della lirica, sprigionano la musica di un’orchestra e le voci di un coro.
Nel mio ascoltare per poi raccontare, a volte incontro parole che fanno vacillare la mia convinzione di una imminente estinzione del genere umano; parole che ti entrano dentro e spaccano il cuore: mi sa che un giorno o l’altro ci resto.
Mia moglie dice che dovrei smettere per un po’ di ascoltare e portare a casa storie, che è giunto il momento di una tregua.
Va beh, porto a casa quest’ultima e poi smetto… forse.