Destino d'un bastardo

Non sono mai stato un uomo che si adopera per guadagnarsi da vivere col sudore della fronte, a dire il vero ho sempre cercato di afferrare ogni occasione con incredibile destrezza ogni qualvolta se ne presentasse l’occasione. Si, credo di essere proprio un bastardo, un rifiuto della società, o meglio, credo di esserlo stato fino a pochi mesi fa.
Fu esattamente sei mesi fa che la mia vita iniziò a cambiare.
Mi trovavo alla Locanda della Sirena Ammaliatrice, un posto piuttosto squallido dove la gente, o meglio la gentaglia, si riunisce per bere, scommettere e talvolta per sfogarsi. Accadde, quel pomeriggio, che mi trovai a dover discutere con un tale a cui dovevo dei soldi ormai da qualche settimana, una parola tira l’altra e alla fine questi tirò fuori anche un coltellaccio con cui certamente era intenzionato a farmi la pelle. Non era certo la prima volta che mi trovavo immischiato in una situazione del genere, ma fu ciò che avvenne dopo che mi fu del tutto nuovo, ero intento a cercare di colpirlo mentre schivavo i suoi affondi quando un uomo che passava di là cominciò ad avvicinarsi:
‐ “Andiamo signori, non si può risolvere la cosa in modo più pacifico?”.
Non prestai molta attenzione a ciò che egli volesse veramente ottenere da quella situazione, l’unica cosa che notai fu che il mio aggressore si era nel frattempo distratto nel sentire le parole di quell’uomo. Non ci pensai due volte, mi fiondai su di lui riuscendo con successo, e forse con una buona dose di fortuna, ad impadronirmi del suo coltello:
‐ “Woah amico! Cerchiamo di essere ragionevoli...non sarei certo arrivato a colpirti sul serio! Volevo solo spaventarti...sai io ci devo campare con quei soldi”.
Voglio risparmiare al lettore l’esatta sequenza dei fatti che avvennero negli istanti successivi, sia per una ragione di spazio che, ahimè soprattutto, per una ragione di vergogna. Dirò solo che, forse per gli effetti dell’alcool dei quali ero vittima, forse per la furia che avevo addosso in quegli attimi, finii per uccidere quei due uomini. Dopo aver compiuto quell’atto, mi sentii così sporco dentro e fuori da necessitare un lungo bagno ristoratore. Ma ai giorni nostri per una cosa del genere bisogna pagare! E così frugai bene le tasche dei due corpi che ormai giacevano inermi ai miei piedi. Tra le varie cose riuscii a racimolare un po’ di denaro, un buon orologio da taschino e una collanina d’oro che quel pacificatore portava al collo.
Dopo essermi allontanato in tutta fretta da quel macello entrai in una locanda fatiscente che dava l’aria di essere molto confortevole, lasciai al locandiere una somma abbondante e raccomandai di non farmi disturbare da nessuno nel tempo che avrei trascorso nella camera che avevo preso. Dopo qualche minuto sprofondai le membra stanche in una tinozza d’acqua bollente rimuginando su ciò che mi era accaduto quel giorno, passai in rassegna attimo per attimo, sensazione per sensazione, per riuscire a capire soprattutto come mai quell’uomo fosse intervenuto in quella rissa. Allungai il braccio fuori dalla tinozza ed afferrai gli oggetti che avevo trafugato dal suo cadavere: l’orologio era di buona fattura e su di esso vi erano state incise le lettere H.V. in un’elegante scrittura decorata, passai poi alla collanina e, dopo un’attenta analisi, realizzai che il ciondolo che vi era attaccato poteva essere aperto, dopo un paio di secondi passati a cercare di forzare quel gingillo riuscii ad avere i suoi segreti. Al suo interno vi era una foto un pò sbiadita di quell’uomo con in braccio un neonato e con al fianco una splendida donna che immaginai dovesse essere la moglie, mi sentii vibrare d’angoscia al pensiero che probabilmente quelle persone lo stessero aspettando con preoccupazione ma cercai di non pensarci cercando conforto nel calore e nei fumi di quel bagno.
Il mattino successivo mi alzai di buon’ora, feci un giro e mi concesi il lusso di spendere un po’ di soldi. Tiravo fuori, una volta ogni tanto, quell’orologio da taschino per controllare l’ora che conoscevo già, quel gesto così semplice mi faceva quasi sentire parte di un altro mondo, già, un altro mondo, infilai frettolosamente una mano nella tasca della giacca e ricominciai a studiare il ciondolo d’oro.
Quell’uomo aveva una famiglia...quanto può valere una famiglia per un uomo...e quanto può valere viceversa quell’uomo per la sua famiglia...ero decisamente confuso da quella situazione, ma c’era un pensiero nella mia testa, talmente assurdo da rasentare la follia. Il destino era sempre stato avaro nei miei confronti, mai un colpo di fortuna, mai l’affetto di un amico...mai una famiglia, fu così che decisi di provarci...
Avrei rubato la famiglia a quell’uomo.
Come ho già detto sono passati ormai mesi da quel giorno, ma la mia bravata mi è costata molto più di quanto avessi immaginato.
Qualche giorno dopo feci un po’ di domande in giro, l’unica cosa che non manca mai ad uno come me sono dei poco di buono che per una moneta d’oro bucata si venderebbero una gamba, quel giorno chiesi ad un vecchio conoscente di ricavare informazioni su quell’uomo e sulla sua abitazione, nel giro di poche ore ricevetti prontamente degli aggiornamenti, pareva che l’uomo non fosse così santarellino come mi era apparso, tuttavia la mia attenzione era altrove.
Mi presentai una mattina di fronte ad una porta di legno massiccio, cappello in mano e sguardo dispiaciuto bussai due volte, in pochi secondi sentii un rumore frenetico di passi seguiti dallo scatto del lucchetto:
‐ “Si?”
‐ “Mi scusi...lei è la signora Venuti, moglie di Herbert Venuti?”
‐ “...oddio si...è successo qualcosa a mio marito?...non lo vedo da giorni...ma pensavo fosse fuori per lavoro...”.
Nei minuti successivi sfoggiai tutta la mia abilità, che avevo allenato nel corso della mia vita, nell’inventare storie di pura fantasia, le dissi che il marito era stato vittima in una rissa. Bè...non ero andato poi così lontano dalla realtà...
La donna in lacrime mi tempestò di domande voltandosi e rivoltandosi, cercando conforto tra le sue stesse braccia:
‐ “ Signora...io...mi dispiace...” feci io grattandomi la nuca con imbarazzo
‐ “ Cosa faremo adesso...non posso vivere senza di lui...”, singhiozzò lei.
Fece poi capolino una tenera bambina che spuntò da dietro la lunga gonna della donna, immaginai dovesse essere la figlia di cui il mio contatto mi aveva parlato...Linda...
La scena fu talmente triste da indurmi quasi ad unirmi al loro pianto, ma tenni a mente la mia missione.
‐ “Signora...io non so proprio cosa potrei fare per rassicurarla...vede...sono nuovo a questo genere di situazioni...”
‐ “Io...” La donna scoppiò nuovamente in lacrime aggrappandosi alla porta come se stesse per mancare
‐ “La prego si tiri su, so che è dura ma deve cercare di reagire...”. Le feci io mentre la sostenevo porgendole una spalla.
Il dialogo durò qualche altro minuto, tra lacrime e parole esitanti e goffe, le lasciai un mio biglietto da visita, che mi ero prontamente scritto quella stessa mattina, nel caso le servisse una mano o volesse parlare con qualcuno.
Circa tre settimane dopo io e la donna, che scoprii chiamarsi Gabrielle, cominciammo ad uscire, parlavamo della vita, del suo lavoro da insegnante, del suo essere madre, io le parlavo del mio essere investigatore della polizia, di quanto mi piacessero le passeggiate e di altre menzogne che inventavo occasionalmente.
‐ “Gabrielle in queste settimane mi hai fatto stare come non ero mai stato, mi sembra di camminare sulle nuvole...sul serio...”, a queste parole lei rise delicatamente arrossendo pian piano.
‐ “So di non essere il migliore dei partiti a questo mondo...non sono statuario, ne affascinante o saggio...”
‐ “Adriano...tu sei più di quanto credi...”. Mi sussurrò lei facendomi vibrare d’emozione.
Stavamo bene assieme, uscivamo nel pomeriggio, a volte entravo persino in casa per salutare la piccolina che già aveva imparato a riconoscermi.
La mia vita era decisamente migliorata...tuttavia restava un problema...i soldi che avevo ottenuto da quel tragico evento cominciavano a scarseggiare e non me la sentivo di continuare a fare furti...per la prima volta...sentii che la mia vita valeva qualcosa...che non era il caso di rischiarla per qualcosa di futile quando avevo già tutto ciò che mi serviva. Iniziai così a cercarmi un lavoro, certo, non mi presentai alla polizia per chiedere di fare l’investigatore, ma grazie ad alcune vecchie conoscenze venni assunto come muratore, lavoravo tutta la mattina, il pomeriggio andavo a trovare la mia bella e la sera...la sera sognavo di stare ancora con lei.
Una mattina, mentre stavo lavorando, venni scosso da uno strano pensiero, lo stesso pensiero che mi avrebbe tormentato per il resto dei miei giorni. Ormai io e Gabrielle stavamo così bene insieme, cominciavo a pensare di chiederle di vivere sotto lo stesso tetto, le avrei dato una mano con la casa, con Linda...avrei avuto una famiglia...
Durante tutto il tempo trascorso non me ne ero reso conto, quella che era iniziata come una bravata mi aveva coinvolto al punto da non poterne fare a meno, non avevo rubato la famiglia a quell’uomo, ma era la sua famiglia ad avermi rubato, rapito, portato lontano...
Forse Herbert stava ridendo dall’alto guardando i miei affanni...forse ancora maledice il mio nome, o magari piange nel vedere che la sua amata si è innamorata proprio del suo assassino...
Tutte queste menzogne...la grave realtà...la mia vera colpa...come reagirebbe lei se le raccontassi tutto...l’amore può sopportare tutto questo? È probabile che rimarrei di nuovo solo...peggio di prima...Gabrielle finirebbe col denunciarmi alle autorità...non mi resterebbe che il suicidio...il suicidio di un innamorato vittima della sua stessa vita, del destino beffardo che si è preso gioco di lui facendogli assaggiare un pizzico d’amore, così dolce da illuderlo fino alla morte.
Sono diventato un idiota...bella trasformazione...da bastardo ad idiota innamorato...se solo l’avessi incontrata prima...ora farò l’unico passo sensato di tutta la mia vita, l’unico di cui so che mai mi vergognerò.
Chissà cosa risponderà...come reagirà...