Dispersioni

“La Napoli del XVI secolo era un teatro di lotte e conflitti continui per il predominio del regno tra dinastie francesi e spagnole che, a loro volta, si alternavano nella città, tra scontri diretti e pubbliche battaglie” il vecchio professore di storia fissò il giovane pescatore che aveva trovato l’arrugginita scatola metallica contenente ciò che il secondo considerava un antico reperto, una carta ormai ingiallita nei secoli che conteneva una poesia in Spagnolo successivamente tradotta da un esperto in Italiano.  Mi libertad está demasiado lejana,
tu soledad ya demasiado cercana.
El tiempo nos deja insomnes,
el espacio nos hace presos.
Tienes un rincó n que yo no encuentro
Y todo se me hace má s triste.
Siempre esperaré amaneceres
Llenas de colores perdidos
Entre los recuerdos de la vida. La mia libertà è troppo lontana,
la tua solitudine già troppo vicina.
Il tempo ci lascia insonni,
lo spazio ci fa prigionieri.
Hai un angolo che io non trovo
e tutto mi si fa più triste.
Aspetterò sempre albe
piene di colori persi
tra i ricordi della vita. Proprio tra le acque del Golfo di Napoli, quell’antica scatola era rinvenuta tra la pesca del giorno del giovane che ne aveva subito portato il contenuto ad un qualcuno che più di lui ne avrebbe potuto, qualche modo, rivelare l’origine e, forse, la storia passata.
L’autore o l’autrice della partecipazione poetica di una qualche situazione esistenziale del periodo storico accennato dal professore, aveva appositamente custodito la carta nella scatola buttata o forse persa, poi, in mare.
A tutto avrebbe potuto accennare chi ne aveva scritto le parole e chissà, invece, a chi sarebbe potuta esser destinata a suo tempo.
“Difficile dirlo” commentò il professore pensieroso che, però, già sapeva a chi portare il ritrovamento.
La qualunque libertà può sempre esser considerata troppo lontana e la solitudine di chiunque troppo vicina.
Il tempo può far troppo pensare, per lasciar insonni e lo spazio può confinare per render prigionieri di qualsivoglia cosa , in ogni suo senso.
Ma, forse, nemmeno poteva aver un senso chiedersi a cosa si riferisse anche l’angolo accennato e non trovato, tra la tristezza di un’attesa di albe , in quanto inizi di giorni di vite nuove, fatte dei colori persi tra i ricordi di una vita mai identificata.
Per anni, da allora, rimase tra le mani degli studiosi e degli esperti storici della città che, col suo mare ed alla luce del suo sole, nel tempo, si apprestava a restituire ciò che documentava aver attraversato nei secoli.
La storia di un forte amore, di una fragile lotta, di un importante conflitto, di una giovane ribellione, di un coraggioso passato, di un sentito dolore, di una travolgente passione o di una vana speranza aveva dato, a suo modo, luogo a delle parole forse perdute, forse lasciate, forse abbandonate, forse rubate o forse spedite al volere d’un destino che sapeva farne più uso di quanto avrebbe potuto far l’umana volontà.
Le acque come il vento possono rapire e mai lasciar ritrovare, tra passato e presente, rivolti ad un futuro che non ricolma poi, realmente, il dovuto creduto perduto, ma mai davvero ceduto al tempo forse innocuo o forse tiranno esistenziale.
La Napoli antica pari alla moderna dei vicoli urlanti, delle stradine scoscese, del mare travagliato, del sole infuocato, della voglia di riscatto, delle guerre morali, delle stagioni dimenticate, dei singoli affranti, dei tanti litiganti, delle realtà capovolte, dei mondi opposti, si face forte dei suoi misteri in una storia che tornava a galla, dalle acque del Golfo, riscoprendo il valore appartenente a chi da sempre ne dimenticava il senso, nel sogno dell’invano scorrer via più lontano.
Chissà poi, dove e quanto lontano andava od intendeva andare la città con le sue storie, nella realtà più attuale e chissà quando e quanto avrebbero influito i suoi valori e le sue virtù naturali ed avallate.
Al Museo di Capodimonte il reperto fu esposto per la prima volta nella Primavera del 2020.