Divagazioni (extra) fisiologi...cosmiche - Dove stiamo andando? Dove va il mondo?

                                                = Pillole di antimilitarismo =
Marzo 1980 ‐ Ricevo la chiamata in Marina: ho compiuto poco più di quattro mesi prima 17 anni. Alcuni dicono che sia l'età più bella, questa, quando non sei ancora maggiorenne e fremi per diventarlo pur non avendo oltrepassato la soglia dell'adolescenza: oltre quella soglia viene il bello, anzi, si pensa dovrebbe arrivare; oltre quella soglia cominciano i guai seri, invece. Chissà perché tutti (me compreso) abbiamo fremuto indicibilmente (come e più di una cagna in calore) a quella età, in attesa del D‐Day: per alcuni, invece, si trasforma in un incubo, quell'attesa, quando diventa tutto reale...la  realtà, molto spesso, è di molto peggiore della immaginazione o della idea  che ci siamo fatti di essa (o di qualcosa che con essa ha a che vedere). Dopo la visita medica (sono sovrappeso di oltre quaranta chili, l'anno precedente mi hanno riscontrato diabete chimico, o "intermedio", come viene più spesso definito, dovuto al mio stato) il capitano Farace dice a mio padre:
‐ Tuo figlio sarà ricoverato, dopo qualche giorno lo rimanderemo a casa. Riceverà il congedo illimitato tra due o tre mesi al massimo! ‐ Il capitano medico è siciliano oltre ad essere una persona in gamba e alla mano. Ha seguito me, per un po', quando anni addietro avevo avuto problemi di depressione, qualche anno dopo seguirà anche mia zia materna. Dopo due giorni di ricovero all'ospedale militare in centro città, sono a casa. Il capitano è stato di parola con mio padre. A giugno ricevetti il foglio di congedo: ero passato di ruolo, in pratica, dalla Marina all'Esercito e dipendevo da quel momento in poi dal Dipartimento Militare di Lecce. Di li a qualche mese ebbi l'esonero definitivo.  Fu quella una delle più grandi soddisfazioni della mia vita, ottenuta involontariamente e con degli strascichi sulla mia salute non indifferenti (alcuni di questi, infatti, me li porto ancora dietro nonostante sia riuscito ad ottenere un peso forma più che normale!): in pratica fu come se qualcuno mi avesse levato le castagne dal fuoco, visto che in caso contrario avrei optato per la renitenza alla leva o per il servizio civile. Debbo dire grazie ora, a distanza di oltre quaranta anni, a mio padre ed al capitano medico Giuseppe Farace, della Marina Militare
Il soldato Jack (dal blog "Leggo&Rifletto"/leggoerifletto.it)
‐ Signore, il mio amico é tornato dal campo di battaglia. Chiedo il permesso di andare a prenderlo ‐
‐ Permesso non concesso! ‐ replicò l'ufficiale. ‐ Non voglio che rischi la vita per un uomo che probabilmente è già morto! ‐
Il soldato uscì lo stesso e rientrò dopo un'ora ferito mortalmente, trasportando il cadavere dell'amico. L'ufficiale era fuori di sé dalla rabbia. ‐ Te l'avevo detto che era morto. Ora vi ho persi tutti e due. Dimmi, valeva la pena di rischiare per portare indietro un cadavere?
‐ Il soldato morente rispose: ‐ Oh, sì, signore. Quando l'ho raggiunto, era ancora vivo e mi ha detto: ‐ Jack, ero sicuro che saresti venuto!
‐ Padre Anthony De Mello ‐

L'antimilitarismo é una cosa seria, non va mai trascurato come ideale di vita perché, al contrario delle ideologie, non muore mai e te lo porti dentro tutta una esistenza. Vale la pena rischiare la propria vita per il compagno di battaglia (se proprio non sia stato possibile rinunciare prima a quella battaglia, col rischio dopo di dover affrontare un tribunale militare e magari trovarsi alla fine davanti al plotone di esecuzione bello e pronto per essere fucilato!), del tuo plotone o della tua compagnia: non si muore mai per la divisa che indossi, né per l'esercito; per l'ufficiale che ti ha dato un ordine impartitogli dal suo superiore (a sua volta), ovvero un generale di carriera che non ha mai tenuto in mano un fucile e non saprebbe neanche come caricarlo, o per il governo che ti ha mandato a morire. Forse, chissà, varrebbe la pena morire anche per il nemico che dalla parte opposta alla tua, dall'altra parte della trincea o del campo di battaglia, combatte e morirà per le stesse cose per cui tu puoi morire. 
‐ Leggo due notizie, oggi (seconda settimana di settembre: cominciata come la prima...chissà come andrà a finire questa!), in apparenza slacciate tra loro, anzi, del tutto scollegate: ma solo apparentemente, appunto. Non lo sono, infatti, "antimilitaristi" come me,  ma solamente per chi non sa neanche cosa sia l'antimilitarismo (crede magari, chissà, che sia una nuova setta satanica!) o per coloro i quali, più semplicemente, dicono che...non gliene frega un cazzo! I due articoli sono apparsi entrambi sulle colonne di repubblica.it a distanza di meno di una settimana l'uno dall'altro: il primo, scritto da Gianluca De Feo, datato 6 settembre, in cronaca; l'altro, invece, scritto da Ernesto Assante e datato 11 settembre, nella pagina musica&spettacoli. L'articolo di De Feo titola a questo modo: "L'aeronautica arma i droni: si combatterà così". Il sottotitolo continua: "La difesa investe 168 milioni per dotare i suoi velivoli Reaper, usati finora solo per voli di ricognizione. Sono gli stessi impiegati dagli Stati Uniti a Kabul". Cito anche il contenuto dell'articolo (o meglio, quella sola parte di esso visibile a tutti: il resto è riservato agli abbonati e "in chiaro" soltanto per loro): "L'Italia ha deciso di armare i suoi droni militari, trasformandoli da ricognitori in bombardieri, ed entrerà così tra i Paesi in grado di gestire attacchi in continenti lontani, ordinando il lancio di missili da migliaia di chilometri: in pratica è un passo avanti verso la nuova dimensione dei conflitti che mette in discussione tutte le regole della guerra". Nulla da eccepire, direi, sino a questo punto: l'autore, in queste sei righe, oltre ad evidenziare il fatto che l'Italia si sia instradata sul binario giusto e messa al passo coi tem...cogli altri Paesi, ha usato ben dieci parole gergali, ossia appartenenti al gergo "militarista" (armare, droni, militari, ricognitori, bombardieri, attacchi, lancio, missili, conflitti, guerra, etc.); ora non oso minimamente immaginare quanti altri vocaboli di quel gergo possano essere contenuti nel resto dell'articolo! Ma in fondo va bene così, perché il giornalista non ha colpa: egli stesso oramai è parte del "sistema" mondo‐uomo o meglio ancora uomo padrone di questo mondo (ma, si badi bene, non lo è della terra: possono sembrare due cose simili ma non lo sono affatto; la terra non appartiene a nessuno dei dieci miliardi e passa di uomini che la abitano ad ogni latitudine del mondo...l'uomo ha soltanto parvenza di essere padrone di qualcosa!); è allineato ad esso (e con esso); è parte egli stesso di quel sistema insieme agli altri. E poi, in definitiva, svolge soltanto il suo lavoro: altrimenti dicasi "deve pur guadganare per pagare i suoi conti e per vivere!"). L'articolo di Assante, invece, titola: "Beatles, i 50 anni di Imagine e lo scambio di tweet tra John Lennon e George Harrison"; il sottotitolo: "Quasi tutte le star scomparse hanno account attivi, gestiti da eredi e famiglie...