Donna

Chissà se Dante Alighieri avrebbe trovato un posto specifico per gli stupratori. Chissà se li avrebbe accettati nel suo inferno o avrebbe preferito renderli polvere, sostanza in essere liquida, impalpabile, inutile, come la loro esistenza. Forse il girone dei vigliacchi, degli sciocchi per scelta, degli impotenti per vocazione. Chissà Dante cosa ne avrebbe fatto di loro…
Io mai potrò perdonare chi del male ha compiuto sulla donna che amo, che sempre amerò e sempre custodirò nella mia celeste stanza sognante, contornata da nuvole soffici al pari della sua pelle, bianca e soave come la sua natura: Donna.
Mi pento tutti i giorni di essere andato via proprio quel giorno, di averla lasciata, abbandonata al suo destino, alla sua morte spirituale, mi pento ma non basta, mi frusto ma non serve, potrei anche uccidermi ma ciò non remunererebbe la mia coscienza. Non merito perdono, non merito comprensione, non merito il “diritto” di essere amato. Perché essere amati non è un diritto, ma un dovere… bisogna sapersi far amare e non tutti ne sono capaci. Quella mattina ricordo il litigio, i piatti volare, la rabbia scorrere come un fiume in piena fra le nostre parole velenose. Volevo di più dal nostro rapporto, volevo la sua piena accondiscendenza, volevo una vita come io l’avevo immaginata. Nel mio essere uomo stolto ed alle prese con lo strano conflitto Cervello/pene/cuore, non riuscivo a comprendere l’incredibile fortuna scivolata addosso al mio fisico marmoreo. Ho sempre celiato con la mia virilità, ostentando sicurezza e parafrasando la vita coniugale, plasmandola su sciocchi telefilm drogati dal surreale. Non potevo però prevedere l’epilogo di quella giornata ombrata dal Diavolo.
Bisticciammo per ore in pigiama, sputandoci addosso tutte le nostre repressioni, soprattutto io, che mi mascheravo di perfezione nella società e con viltà sfogavo la mia incompiutezza sulla donna con la quale condividevo il letto. Perché questo era divenuto il nostro rapporto. Un letto condiviso, odiato e scomodo, corroborato da spine, gonfio di superbia e mezzo di unita separazione. Se solo avessi compreso prima l’idea di donna che il nostro Signore ci ha donato. Se solo potessi tornare indietro, amare solo per il gusto di essere abbracciato, per una carezza quando piove dal cielo acqua sporca, un bacio privo della contraffazione sessuale. Se solo fossi stato uomo. Fuggii sbattendo la porta ed augurandole male, dolore e patimenti per come scioccamente pensavo mi stesse trattando. Per il resto della giornata non volli sentirla, non volli parlarle e neanche volli pensarla. Vagai, nel moto festivo di quella domenica, per le strade di una città dai colori sbiaditi, dal grigio sfocato e dal bianco macchiato dall’insoddisfazione coniugale. Mi chiusi nel bar colmo di volti amici, di chi come me aveva incendiato con la guerra fredda l’inizio di quel dì. Di chi come me aveva mandato segnali evidenti di odio verso la propria compagna e cercava conforto rifugiandosi in altre storie come la sua. Riparo di stronzate compiute e mai ammesse. Di chi come me non aveva il coraggio di fare un passo indietro e strapparsi via l’orgoglio maschile fautore di mille gesti ragionati sempre troppo poco. Tornai a casa fumante, perché i dialoghi in quel bar avevano accesso ancor di più le mie motivazioni, spingendomi a due mani verso un baratro dal fondale celato. Tutta quella giornata avevo pensato di poter vivere senza di lei, avevo rinnegato l’amore, la famiglia, la dolcezza, l’affetto, il rispetto, la comprensione. Ero nero di rabbia e deciso a fare le valigie.
Trovai i carabinieri davanti al portone di casa. La volante con sirena lampeggiante e due tizi in divisa vestiti che mi stavano aspettando. Non appena mi videro uno dei due mi venne incontro con passo svelto, scuro in volto e attento ad ogni gesto.
“Signor Paletti ?”
“Sì… cosa è successo?”
“Sua moglie… è stata aggredita”  Stuprata, malmenata per ore, legata ed ancora seviziata nel peggiore dei modi. Un balordo mi dissero, un ragazzo di circa ventisette anni, poi arrestato e rinchiuso in carcere. Vomitai ogni giorno per un anno. Vomitai il senso di ribrezzo che provavo per la mia esistenza. Vomitai legato al senso di dolore che poteva aver provato Maria, la mia compagna. Umiliata ed insultata, picchiata prima a parole da me e poi nei fatti da quell’essere limaccioso, inutile, volgare anche nel respiro, sciocco nel cervello e viscido nella pelle unta di immorale sussistenza. Se solo fossi rimasto in casa e non mi fossi inalberato per un caffé mancato lei sarebbe ancora in possesso della sua anima.
In un mondo da raziocinio creato, per un gesto di tal vigliaccheria, si adopererebbe la castrazione chimica. Spesso ho sentito persone immedesimarsi nei parenti della vittima, pronunciare frasi del tipo “Se fosse capitato a noi tu che pena avresti chiesto”, apparire in dibattiti anche pubblici con la bocca starnazzante di immondi consigli, proposte di legge per gli stupratori, o pedofili e tutti coloro che fanno della loro forza fisica un vanto solo al cospetto di inferiorità strutturale. Poi alla fine dopo qualche anno tutti sono fuori di galera. A che serve? mi domando io che convivo con una donna alla quale è stata sradicata la dignità dal petto e che mai prima di questa disgrazia avevo trattato con giusto rispetto. Mi faccio schifo al pari degli stupratori. Amando una donna si può capire il senso della vita.