E vorrei raccontarlo

Che affacciarsi alla finestra potesse essere un gesto quotidiano e semplice, lo compresi in un solo istante, come un boccone unico: lo assimilai, lo feci mio, comprendendo me stessa.
Credevo di avere intorno una specie di fantasma che mi guidasse, e poi mi resi conto di quanto mi piacesse lasciarmi suggestionare da ciò che in realtà non si vede e non si tocca, ma si impara a sentire. O che si sente senza un perché.
Iniziai a guardare dalla mia finestra smettendo di immaginarla come tale.
Non fu più una finestra quando capii che era solo una cornice: un confine tra il mio occhio e ciò che stava fuori. Spazio interno. Spazio esterno. E me.
C’ero. C’ero sempre stata.
Ero rimasta lì immobile per un tempo che forse non è mai esistito.
Essere donna, forse per me, ha risuonato come il suono di rami secchi calpestati, donandomi la serenità delle conchiglie.
Le conchiglie nella risacca.
Quando l’onda arriva, loro lo sanno, ma non ne conoscono l’intensità.
Se la vivono bene, le conchiglie, insomma. Sempre con quell’adrenalina vitale e la sorpresa di vedersi sommergere. Poi, di nuovo, lasciarsi asciugare.
Qualche volta lasciarsi mangiare.
E ogni tanto trovarsi una perla in pancia o in bocca.
Credo non accada a tutte le conchiglie.
Il miracolo è solo per alcune.
Ho imparato a riconoscere la madreperla dalla sua freddezza.
Che poi non è freddezza: è quasi freschezza.
E mi fa pensare ai mercatini davanti al mare.
Mi fa venire in mente quella magia da cui mi lascio avvicinare, e che poi, con dolcezza, lascio andare.
Non la spavento con la mia irruenza.
E lei, da sola, ritorna.
È una strana storia che non so spiegare. Forse solo sensazioni.
Quando scrivo e riesco, anche solo un po’, a decifrare le mie attese, le mie preghiere,
vorrei solo respirare il mare, col mare, nel mare.
Ecco che riappaio e scompaio, senza impormelo, senza costringermi.
Esisto.
Sono.
Io ci sono.