Edimburgo

Ovunque si respiravano segni. In mezzo a infiniti simulacri di cultura gotica, fantasmi per passanti d’occasione, c’erano segnali veri di massoneria celtica. Edimburgo è un dedalo di riferimenti massonici, anche se non li conosci puoi percepirli. Mi sono sparato in cuffia gli Smiths, e ho preso a rotolare per le vie. “…but you run down, to the safety of the town…” Poi ho fatto il giro dei pub scozzesi in cerca del “mio uomo”, ho assaggiato birre e whiskey, e ho dimenticato me stesso in un locale dove suonavano dal vivo. A mano a mano che lo spirito entrava, l’idea dei bambini prendeva una forma sempre più definita. Non so cosa stesse accadendo, fuori e dentro. Proprio non lo sapevo. E intanto le chitarre tagliavano l’aria. E colpi di cajon, e resti di limone nel bicchiere. E tagli di vetri, attriti ruvidi sul legno. Scratch. Il cantante scozzese cantava qualcosa sulla libertà e il cambiamento. Sputava saliva secca, e anche se era notte era ancora giorno, a causa della latitudine. Il mio uomo sedeva in fondo al locale. Era vestito bene ma sembrava preoccupato, come se sapesse. Aveva molte birre sul tavolo ma poche ore davanti. Mille chilometri più a sud, bambini cullavano i loro sogni di bambini. Mi alzai, lasciai qualche pound sul bancone, uscii e gettai la pistola in un bidone. Entrai nella macchina che mi aspettava e scossi la testa. ‐ E bravo il mio chierichetto. Non l’hai fatto, vero? Lo sai che ora sono cazzi.   Evitai di rispondere. Mi voltai verso il finestrino e guardai fuori. Gli alberi sfrecciavano via veloci. I tetti delle case, i guard‐rail intermittenti, le nuvole. Tutto sfrecciava via, allontanandosi da me, in direzione opposta alle mie stelle polari, lasciando solo un vago fruscio nelle orecchie e odore di gomma bruciata.