Filobo e la musica

Fin da picciuolo, il piccolo Filòbio passava il tempo.

Da grande, essendo sempre vissuto, decise di continuare a vivere. 

Orbene: il piccolo Filòbio, da piccolo, ossia quando non era ancora grande, pativa costantemente la fame ma lui, goloso com’era, non sapeva rinunciare al cibo. Era povero in cannuccia, non aveva una lira né un’arpa in tasca, non aveva la minima idea di come procurarsi dei conquibus e via dicendo con problemi di questo genere…

La mamma gli passava quel poco di cibo (ben poco) necessario per sopra vivere, e lui s’ingegnava come poteva per farlo risultare gustoso (cosa non facile!).

Piume di piccione deterse in ammollo e scaldate alla candela, radici di maiale puntualmente crude, coda di cavalletta la domenica, foglie secche in autunno e acqua piovana quando e se c’era il sole.

 

Filòbio condiva questi miseri cibi con un po’ di sabbia, polline di camomilla, o anche con le secrezioni dei volatili che raccoglieva con un raschietto dalle macchine e sui davanzali delle case.

 

Nutrendosi di questo cibo, Filòbio non poté che venire su non con l’ascensore ma magro come un chisento (o chi‐odo che dir si voglia) sognando in continuazione di poter da grande, o perlomeno un dì, mangiare i cibi più costosi del Mondo.

 

La mamma gli aveva avvicinato una bella ragazzina per indurlo ai primi sentimenti dicendogli: "La donna è come il chiodo, o lo pieghi o la pianti" (famoso detto popolare) …. Lui non la piegò né la piantò ma se la mangiò.

Pur di mangiare qualcosa d’originale tagliava la coda ai cavalli, rubava i tergicristallo dalle auto in sosta, brucava nei prati come una mucca che vede un filo d’erba dopo essere stata per sei mesi a digiuno, suggeva il muco secreto dalle lumache, impastava fango e residui plastici per imbottire le lattine vuote, s’ingegnava in miglia e più un modo (eguale migliuno) per godere del piacere di gustare un buon cibo.

 

Però non disdegnava il traguardo della ricchezza per coronare i suoi desideri; purtroppo non aveva mai avuto il rostro di un quattrino per investirlo in qualcosa d’utile.

Non ce l’aveva, naturalmente, fino al giorno in cui non l’avette.

Nei suoi lunghi giri alla ricerca di qualcosa da mangiare Filòbio s’imbatté, due giorni diviso due, in un bel monetino da, circa, trentaquattro Lire.

Si pose sulla strada provinciale e cercò di investirlo: lo mise in terra, rubò una carriola e vi si diresse contro a tutta velocità, il monetino andò in trentaquattro frantumini…

Raccoltili, Filòbio li intascò e cercò il modo di diventare ricco; andò in una bank e chiese di depositare tale capitale.

" Al massimo questo è un capoluogo, ragazzino… e poi è un poco rotto e non vale un moscerino. Torna donde venisti, avrai maggior fortuna! "

 

Filòbio mesto, pesto, lesto…

 

" Possibile che non ci sia un modo di far fruttare il mio capoluogo? "

 

Provò in fin della fiera a piantarlo in terra; per farlo crescere sano e vigoroso lo covò per qualche settimana più qualche ottavana finché spuntò un germoglio.

 

" Eureka al cubo!!! " Gridò Filòbio, e da quel giorno intensificò le proprie cure….

Il germoglio crebbe e dopo pochi mesi ecco spuntare i primi frutti: chiamarli frutti è forse un gergo poco scientifico, ma si suppone che lo fossero, anche se richiamavano più un rospo che un vegetale; Filòbio da quel momento non distolse un solo attimo lo sguardo da essi.

Notò che verso la quindicesima sera, alcuni cominciarono a cantare, e dopo poco caddero.

Ne prese uno, cercò di capire cosa fosse, a cosa potesse servire….

Macch’ !!!!!

Erano come rospi col marsupio, bucati all’altezza dello stomaco, color pistacchio, viscidi rugosi e gelatinosi, grinzosi come una dentiera d’ippopotamo che ha mangiato limoni acerbi per una vita, ininfiammabili, con ciuffi di peli verdi, a sei code e qualche occhio… Inolquattro cantavano come dei pesci paralitici e gorgheggiavano come un nonsoché d’uccellin.

Ponza e ripensa, non capiva che diavolo potevano essere: forse erano buoni da mangiare in salmì, alla sabbia, al ragù di topo… ULTRABHO!!!!

 

Evabè. Ancora una volta facciamo intervenire ed interarterire il destino altresì noto come fato: passava in fatti, anzi in questa storiella, ma in fatti lo stesso, un tale uomo che s’intendeva ed intirava di musica; quale musica, direte Voi… quella nuova! Dicoio.

Ed intendendosene al punto da intendersene, propinò al Filòbio la soluzione de’ suoi problemi: lanciare quei cosi nel campo musicale.

 

Il lancio fu preparato: lo preparò il manager, ché se lo avesse fatto Filòbio i ‘cosi’ sarebbero tutti spetasciati. Il complesso fu introdotto sul mercato col nome de: ‘Filòbio & the schifezz’ e in breve fu pronto il primo disco destinato ad indicare il livello del complesso…

Evitiamo di darvene il titolo o il testo, annotiamo solo che si possono sentire dei rumori mai sentiti, di un’originalità incredibile: i ‘cosi’ infatti si erano prodotti in una profusione di versi che richiamava quelli dei talponi in amore misti al verso di un formichiere ingozzato dalle troppe formiche.

 

Ciò non toglie che la musica potesse impressionare il pubblico, anzi… lo impressionò al punto che anzi.

 

Il nome del complesso in ascesa sibilò ben presto per l’aere giungendo all’orecchio d’ogni terrestre e non ci fu chi, a quell’epoca, ne ignorasse il nome, la sua esistenza o il suo usibile.

Il primo disco, grazie al geniale arrangiamento del manager, ottenne un successo senza dispari, e già schiere di fan cominciarono a seguire il gruppo in ogni particolare: si stava delineando il primo sintomo di Filòbiomania… In breve i dischi si moltiplicarono: i ‘cosi’, che la scienza era riuscita ad individuare come esseri semianimali, avevano il nome scientifico di Tapirugio Gorgheggians Vulgaris; Filòbio insieme a loro prese a girare il mondo in affascinanti tournééééS.

Diamo un’immagine di un concerto, non potendovene dare un’incisione: sul palco immenso compare tra le urla dei fan un essere batraciforme dietro l’altro, poco dopo ecco giungere pure Filòbio che dirige magistralmente l’orchestra; un coro di versi indescrivibili si leva dal palco, il concerto prevede ben otto esecuzioni: Concerto in rutto minore, Tapirugità, La voce dei cosi, Versacci solisti, Amenità, Misteri della Musica, Sesta sinfonia Tapirugiana, Assolo di coso.

Il concerto in ben presto volge in un turbinio di applausi ed è impossibile rendere l’esatta idea di ciò che accade realmente… il palco letteralmente sommerso di gelatine lanciate dal pubblico in visibilio, urla isteriche, applausi frenetici, slogan e cartelli.

 

Filòbio centrò colpo su colpo sfoderando un disco dietro l’altro, quando uno dei suoi Tapirugi si ammalò di BBC l’ospedale in cui era ricoverato fu preso d’assalto da fan ansiosi di sapere l’esito dell’operazione.

 

Filòbio si tolse tutte le soddisfazioni che gli erano state negate in gioventù: aveva promesso che se fosse diventato ricco avrebbe mangiato i cibi più costosi di questo mondo… ordinò dunque di recarglieli!

Mangiò cibi preziosissimi per qualche tempo, ma c’è da dire che la cosa non era molto di suo gusto: caviale setacciato misto a polvere di avorio grattugiato e frammenti di smeraldo, lingue di pappagalli dal Giappone condite con perle sciolte e opali tritati, rubini liquidi come bibita, salmistrato di persico reale imbevuto in salsa di diamanti… Oltre che non essere di suo gusto, non era per nulla convinto che fosse il cibo più prezioso del mondo; assunse quindi degli investigatori per scoprire cibi ancora più preziosi ma fu lui stesso a trovarli, casualmente…

Recatosi al circo più famoso dell’epoca, Filòbio notò che v’era un cavallo di eccezionali prestazioni, che il presentatore annunciò come l’unico cavallo nella storia in grado di compiere dieci salti mortali senza rincorsa, capace pure di correre a 130 orari su due gambe all’indietro, buono anche di saltare 40 MT in lungo e 35 in alto.

Filòbio pensò che un animale così prezioso era il cibo che faceva per lui e si recò dal proprietario per acquistarlo: lo pagò qualche miliardo…

Si convinse che niente era più utile degli animali famosi: disse ai suoi investigatori di procurarglieli affinché li potesse mangiare; così tra un concerto e l’altro, tra un disco e una conferenza stampa, si cibava di uccelli dal canto soave, di scimmie dalle prestazioni eccezionali, cani eroici eccet……

La sua attività discografica continuava a pieno ritmo e poteva permettersi così di mangiare tutto quello che voleva, si avviava a diventare una star!

Il nuovo sound lanciato sul marcato si svolgeva a ritmo di Schif’n’roll, era sempre imprevedibile, fresco e genuino… Colpiva, se non proprio allo stomaco, perlomeno al cuore di chi lo ascoltava: i deceduti per infarto non si contavano più, la Filòbiomania era una realtà concreta che lui stesso costatava di persona quando migliaia di fan lo assalivano e asbausciavano per strappargli un pezzo di vestito o una ciocca di capelli.

 

I Tapirugi, nondimeno, se la spassavano come dei Tapirugi che se la spassano, si riproducevano regolarmente dando così il via ad una nuova specie sulla Terra, erano assistiti sa schiere di schiavi e servitori sempre e puntualmente ai loro ordini, nutriti e sfamati abbondantemente, protetti e spalleggiati da quasi 2.000 poliziotti.

 

Frattanto Filòbio cresceva a base di animali famosi: divorò tutti gli animali attori, la scimmia che per prima era stata lanciata nello spazio, le cavie personali di Pascal, tutti gli animali sacri dei popoli feticisti, le vacche sacre indiane e il bue api egiziano, il cavallo di Custer e quello di Garibaldi, nonché l’ultimo bronchiosauro esistente sulla Terra e l’altrettanto ultima balena verde.

 

Usciva l’ennesimo 55 giri "Un Tapirugio e una donna‐Quel mazzolin di scrofe" primo posto in tutte le classifiche di vendita; l’LLPP da cui era estratto batté ogni record.

Filòbio pensò nuovamente di ricorrere a cibo più prezioso: carne umana, la più famosa, si intende. Assoldò mantenendo l’anonimato nuovi ricercatori che gli procurassero il cadavere delle persone più famose, per nutrirlo.

In breve sulla sua mensa presero posto il presidente della repubblica Cinese, Americana, Inglese, il primo astronauta, lo scopritore del mal di testa, l’inventore delle scarpe e quello del bottone, l’uomo più vecchio della Terra (un po’ coriaceo, invero) il conquistatore del Biafra, l’esploratore della foresta di Chicago e molte altre eminenze chi lesso, chi fritto, chi rosolato e chi tritato, sempre conditi e conmani a base di salse costosissime e spezie orientali.

Filòbio, pagando egregiamente i suoi fornitori, ritirava i cadaveri sempre con un cappuccino al latte per non farsi riconoscere, quindi conservava in frigo i suddetti fino al momento del party. A volte aveva avuto dei commensali e commenpepi alla sua mensa: era riuscito a far mangiare alla moglie del capitano di sventura più celebre del mondo il suddetto marito, e a far apprezzare a molti uomini e donne i rispettivi consorti e condestini.

 

Erano passati intanto e inpoco nove anni dal suo successo iniziale e Filòbio era ricco come un pascià; ben nutrito e nugrattuggiato sfornava canzoni (!) come un distributore di.

 

I Tapirugi erano oggetto di studio da parte di tutti gli scienziati, ma nessuno era mai riuscito a capire da dove erano saltati fuori, Filobio non diceva certo che erano nati dal seme di trentaquattro Lire investite con una carriola e gli scienziati, HA! HA! Si scervellavano in continuazione e continuanonnone per capire che CAVOLO erano.

Essi, dal canto loro, (che canto, poi…) si preoccupavano solo di partecipare ai concerti durante i quali profondevano tutte le loro capacità. Per il resto del tempo dormivano con gli occhi aperti, scodinzolando le orecchie e grattandosi la carotide, si nutrivano di bachi da seta possibilmente dell’India, o di formiche rosse dell’Uganda.

 

Di fronte al successo che gli arrideva sempre di più Filòbio pensò di comprargli una dentiera nuova dacché gli potesse arridere ancor più egregiamente. Per il resto, non un assegnino ma tourneèèèééés in continuazione da un capo ad un piede della Terra, sempre incidendo nuove canzoni, esibendosi di fronte a folle immense che sommergevano a tal punto la musica che era difficile sentire un solo verso in quel casi.

NO.

E ovunque andasse, vuoi Cina, vuoi Madagascar, vuoi Bangla Desh, vuoi Marocco Cile Bolivia o chi altro, riceveva un’accoglienza a dir poco quel che diremmo a non dir tanto.

Cibandosi di personalità sempre più eminenti aveva sempre la forza di gridare, cantare, girare, parlare, ballare….

( ……. )

Quella sera, i suoi ricercacibo, lo vennero.

Mentre riposava nella vasca da bagno gli giunse una accoltellata nell’orecchio che gli trapassò da parte a parte il piede.

Stramazzò ammazzo per terra o meglio, al pavimento ed essi lo portarono via, ignari che fosse il loro padrone.

Quella notte di quella sera, in piena notte di notte, erano sul molo della città con il loro fardello pronto per essere consegnato, ma attesero molte ore prima che il loro padrone venisse a ritirarlo… sul far dell’aurora pensarono che non sarebbe più venuto:

"Quello là ci ha fregati, ma mò lo freghiamo noi!"

E così dicendo accesero un bel girarrosto e il morto se lo mangiarono tutto loro.