Fragilità

Ferma nel campo di granoturco, aveva un soprabito blu e delle scarpine da signorina bianche con piccoli girasoli. Camminava leggera toccando le spighe una ad una aspirandone il profumo secco. Si ricordò del suo sogno; era davvero quello il momento di andarsene? ... si. Rosa era sicura che avrebbe abbandonato per sempre quel posto e tentò di catturare con lo sguardo, con l’olfatto, con le mani e con l’udito tutto ciò che apparteneva a quella terra che avrebbe amato per l’eternità. Dopo di che andò via. Partì distaccandosi da quel mondo che amava più di se stessa, portando via con se solo il ricordo di un infanzia felice. Isidoro non seppe, se non al pomeriggio inoltrato, che Rosa era partita. S’era allontanata dal suo cuore e dalla sua bramosia. L’aveva abbandonato come fece sua madre molto tempo prima. Scomparve così la figura di Rosa tra quel grano, tra le stanze del casolare, tra la stradina tortuosa accanto alla sua casa, la sua risata cristallina che la si udiva al di là del campo. Non avrebbe più sentito le sue dolci ed esili mani sui suoi vestiti, le sue dita affusolate slacciargli le scarpe, il solletico provocato dai suoi capelli sul suo petto nudo, le sue labbra scarlatte col sapore di ciliegia; non avrebbe mai più incontrato i suoi occhi dal graffio felino, non l’avrebbe sentita più parlare, sbraitare irritata contro gl’insetti, non avrebbe più fatto l’amore con lei, ne litigarci, ne parlarci spensierato del lavoro, dei progetti insieme, delle sue erezioni ad un solo sguardo malizioso. I suoi giochi infantili insieme a Rosa erano finiti in un soffio di vento, in un giorno indescrivibile e mai immaginato. Si sentì lacerare le viscere, una tristezza ammorbante e dolorosa pervase il suo corpo. Si sentì mancare delle sue forze, delle sue lacrime, del suo stesso dolore. Rimase immobile in piedi a guardare la lettera che Rosa aveva lasciato. Incurvò i sopraccigli scrutando la busta che conteneva la lettera, come se fosse trasparente e vi si poteva scorgere le parole come “perdonami” oppure “dovevo farlo”. Ma nella lettera c’erano tutt’altre parole che non corrispondevano a quelle che lui pensava avesse scritto. Voleva abbracciarla ancora, respirare l’odore dei suoi capelli strambi, sentire la sua corporatura esile vicino alla sua, vedere le sue labbra tinte di rosso ed il sapore di crema e di finto, voleva passeggiare ancora tra il grano e sentirla dire per un ennesima volta che l’amava. Tutto svanì disperatamente. Il sogno infantile in cui s’era rifugiato con lei s’era spezzato e lui s’era destato nella vita cruda ed amara che l’attendeva da molto. Ma il tempo gli aveva insegnato che piangere era inutile e soprattutto stupido. Era il cuore che stava piangendo e si feriva con le sue stesse mani. Guardò dappertutto, in ogni angolo, spigolo, punto della casa. Notò un tavolino basso messo da parte e sedie altrettanto basse con una lettera posta sopra che attendeva d’esser letta. Alla vista del tavolino s’intristì. Si ricordò di quando le chiese di comprare un tavolo con delle sedie e che lei si era rifiutata perché quella casa troppo bella già in quel modo. Sorrise tristemente, come se avesse sorriso a lei. Prese l’altra, quella datagli dal padre, ed iniziò a leggerla. La fluidità delle parole scritte prese corpo ed il discorso fu così incalzante che sembrava fosse stata lì a parlargli di persona. Cerano scritte frasi tipo che “Il tempo passato insieme è un tempo che non finirà mai. L’amore che mi lega a te è immenso. Odiami, maledicimi quanto vuoi, io non posso biasimarti. L’età infantile che s’è bruciata in un soffio di vento, non terminerà mai, Isidoro. Il tempo c’ha insegnato ad accettare le cose, c’ha forgiato, c’ha accolto. Adesso dobbiamo andare ognuno per la propria strada, quella strada che ci siamo creati entrambi nel nostro piccolo.” E poi “Io sono cresciuta lontano da tutto e da tutti. Sei stata una presenza nuova e confortevole, sei stato un maestro di vita per me, un amante, un amico, un fratello. Ho imparato molte cose standoti accanto, adesso è tempo che impari altre cose andando via perché questa è la mia strada. Tu... troverai la tua” ‐. Isidoro tacque; rileggeva sempre le solite parole per vedere se mai qualcuna gli dava speranza nel credere che sarebbe, un giorno, ritornata. Ma nessuna lo incitava ad amarla ancora, tutte stroncavano l’età dell’amore ormai passato. Poi s’alzò, girò la pagina; c’era scritta solo una frase. Breve ma molto significativa;   “Aspetto un figlio.”   Non dimenticò mai Rosa e non accantonò mai il suo amore per lei. Si perse nei ricordi, come suo padre. Continuò la sua vita ribelle, ad avere i periodi “si” e quelli “no”, aveva sempre i capelli ribelli schiariti per il sole e arruffati, continuò a dirigere il suo bar nel centro della città, si occupò del casolare, del padre e della casupola.   Rosa sembrava fosse svanita; come una bolla in mezzo al vento, trasportata chissà dove in un giorno di primavera.