Genova la bella

Ci è stato tramandato che nei secoli passati gli arabi hanno in parte colonizzato il sud dell’Italia come da reliquie lasciate nelle regioni peninsulari, fu una scoperta quando in occasione della caduta del ponte Morandi a Genova l’Imam nel commemorare le vittime arabe avesse chiamato la città lagunare Zena traducendola in arabo in ‘bella e superba’. Perché questo ‘pistolotto iniziale? Una ragione c’era, Alberto aveva conosciuto all’Università di Roma una ragazza iscritta alla ‘Facoltà dell’Educazione e della Formazione’, l’incontro fu occasionale: la baby era inciampata nel primo gradino della scala che portava all’aula, era caduta, aveva perso gli occhiali, era rimasta a terra quasi piangente, l’Alberto da buon cavaliere, abbracciandola la aiutò a rimettersi in piedi, le riconsegnò gli occhiali …”Che ne dice di mollarmi, non mi dica che l’ha colpita la mia bellezza, conosco perfettamente la mia poca avvenenza, sono Sara Parodi Delfino.” “Scusi se rido ma il suo nome sembra la marca di insetticida!” “E lei potrebbe essere una mosca Tse Tse.” Risata bilaterale e dopo il classico ‘Piacere di averla conosciuta: sono Alberto Minazzo. Sara dopo un risolino di sfottò riprese la via delle scale e sparì dalla vista di Alberto. Il nostro eroe era iscritto a legge, le due facoltà erano lontane. Il successivo incontro con Sara avvenne in una giornata di pioggia che aveva ridotto la ragazza ad un pulcino. Alberto superandola con la Abarth 695 la riconobbe, la invitò a salire a bordo:”Cavolo potresti prenderti un accidente, potresti venire a casa mia…” Sara resisteva: “Chissà quante ne hai rimorchiate, preferisco ritornare alla mia pensione in via Marsala. Non fu ascoltata,traffico romano in piena ora di punta, quaranta minuti per arrivare. “Vorrei rivederti, certo non si tratta della tua beltade, diciamo mi affascina la tua personalità di genovese lontana dal mio stile romano.” “Non ci credo ma accetto ad una condizione che mi reciti la poesia di Bruno Lauzi su Genova.” “Preferirei qualcosa di romanesco…” “Niente da fare, sono sei strofe al termine delle quali avrai da me una grossa sorpresa.” Alberto non era il tipo da mollare la presa, era ‘tignoso’ di natura.” “Che ne dici di un appuntamento qui fra un mese.” “D’accordo, entra in casa, ciao.” Dove trovare le parole di quella canzone se non da sua nadre Ippolita alla quale raccontò la vicenda. “Con tanta fica che c’è in giro ti vai ad infognare con una perdipiù brutta.” “Di belle oche ne ho conosciute abbastanza.” Il giorno stesso Alberto trovò le parole della canzone:’“Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così che abbiamo noi prima di andare a Genova e ben sicuri mai non siamo che quel posto dove andiamo non c’ingotte, non torniamo più…” Maledizione oltre che lungo il testo era anche fuori del comune, sei strofe. mamma Ippolita non ci bagnava il pane ma ogni tanto ci scappava un risolino di sfottò. Ventinovesimo giorno: ‘Genova hai tutti i giorni uguali in un’immobile campagna, con la pioggia che ci bagna ed i gamberi rossi sono un sogno ed il sole è un lampo giallo al parabris.’ La mattina del giorni trenta Alberto fece colazione in fretta, salutò appena la madre e partì sgommando con la Abarth. Dinanzi alla facoltà della Educazione e della Formazione, seduta sul primo gradino una gran gnocca mostrava le cosce sino agli slip, gli studenti salivano in fretta le scale non però la ragazza che anzi aveva preso a fumare con un sofisticato bocchino in avorio. Alberto si stava innervosendo, tanta fatica per nulla…si avvicinò di più alla baby e…”Conosce lei… ma sei Sara, come ti sei combinata?” “Da mignotta, non sono queste le donne che preferisci?” “Ti pare che passo in memoria sei brani di una canzone per una poco di buono…” Alberto stizzito si era rifugiato in macchina, tutta la storia lo aveva depresso, stava per mettere in moto quando la baby, ricomposta si infilò nel sedile del passeggero. Alberto provò un bacio caldo, profondo, appassionato, la tempesta era passata. “Mamma sto venendo a casa, sono in compagnia.” “A casa c’è solo mia madre Ippolita…non domandargli il cognome è romagnola, si chiama Gnocca,, nel dialetto della sua gente vuol significare la cosina femminile.“ Vox clamans in deserto…”Gentile signora Gnocca…”Ippolita abbracciò la futura nuora e: “Ricordati che le romagnole sono figlie di baldracca, in senso buono” prese a baciarla in bocca… “Non sottovalutare la spilorceria dei genovesi, se nel 1400 avessero dato retta a Cristoforo Colombo metà del mondo parlerebbe italiano…