Gita scolastica

Frequentavo il terzo magistrale e si avvicinava la fine delle lezioni.
Ogni anno, come è usanza ancora in essere nelle scuole, i professori, valutando l’importanza e la formazione che ne deriva, organizzano una gita scegliendo mete artistiche o archeologiche o più raramente  per  semplice  diporto.
Quell’anno ne venne programmata  una per la fine del mese di maggio ad Ischia, isola dell’arcipelago campano sorella minore della più famosa Capri.
Con me e le mie compagne del 3° D erano pronti a partire i ragazzi di altre sezioni del nostro istituto con i quali avevamo in comune qualche docente tra quelli a cui veniva attribuito un valore minore, non legato alla loro capacità o preparazione, ma alla materia insegnata.
Come ad un professore d’italiano sicuramente in una scala da uno a dieci viene assegnato un dieci di certo ad un professore di fisica (educazione fisica!) si darà al massimo un sei .
C’era tra i ragazzi che avevano aderito alla gita anche la mia amica Paola cosa che dava all’evento un’aria più allettante. Condividere il divertimento con gli amici è già un divertimento, così ho sempre pensato e oggi, a sessant’anni, non ho ancora cambiato idea.
E deve essere una verità sacrosanta perché io della gita ricordo ben poco e quel poco sono i momenti vissuti con  Paola.
Non avevamo occhi che per i ragazzi delle altre sezioni che avevano il pregio di piacerci e di cui parlavamo sottovoce giù, affondate nelle poltrone, in fondo al pullman.
Il panorama? Chi l’ha visto?
A Napoli so di essere salita sul traghetto ma solo perché conservo una magnifica foto che mi vede ripresa su una panchina bianca di metallo sistemata come le altre in file ordinate su un ponte di quel gran barcone che ci stava portando a largo, verso la nostra meta.
Forse neanche i professori avevano saputo dare interesse agli obiettivi proposti e non so se fu questa le causa  o più verosimilmente per altre già accennate, fatto sta che nella memoria, tra i pochissimi ricordi c’è il momento in cui, lasciando a noi la  facoltà di gestire il tempo, credo dopo il pranzo al sacco, ci dettero l’orario in cui dovevamo ritrovarci al molo.
Una sensazione di disagio… oggi impensabile per i giovani abituati a viaggiare anche da soli rispetto a noi che avevamo visto quattro città grazie alle gite scolastiche.
Il trovarsi improvvisamente liberi dava un piacere un po’ sottotono,,,. per chi è abituato ad essere diretto  prendere una direzione autonomamente non è facile.
Subito fummo attorniate dai ragazzi del posto che vedevano tutti i giorni arrivare gruppi scolastici e che certamente  avvicinavano con le stesse modalità …
“Da dove venite?”
“Io mi chiamo Luca …”
Due occhi grandi neri che mi guardavano:
“Abbiamo il mezzo, vi portiamo a Casamicciola…”
“Che mezzo? Casamicciola…?
Una “Vespa” malandata era il mezzo con il quale con più viaggi saremmo state trasportate in questa località rinomata dell’isola dove sorgono le Terme meta di infinite persone che cercano di curarsi con i fanghi dalle virtù curative riconosciute in tutto il mondo. Le informazioni e tutte le assicurazioni, non era lontano … non c’era pericolo alcuno…, che continuavano a ripeterci i due ragazzi non sfondarono lo sbarramento difensivo con cui la cultura di quel tempo  credeva di difendere le giovani donne.
Rimasero a passeggiare con noi intorno al porto raccontandoci e conoscendoci  gli uni con gli altri.
Quando venne l’ora stabilita puntuali ci ritrovammo al punto di riunione senza aver visto niente o apprezzato  una cosa qualunque di quell’isola. 
Il ricordo più vivo di quella giornata è lo sguardo dolce di quegli occhi neri che mi fissava della cui presenza dietro le mie spalle ero certa e di cui ebbi la certezza girandomi dalla scaletta del traghetto.
Mi fissava e mi chiedeva di tornare…era quel ragazzo di cui non ricordo altro e che vedo ancora tra la folla che dal molo salutava parenti e amici in partenza per Napoli.
Nell’imbrunire di un giorno pieno di sole e di luce avvertii un languore che ancora oggi, se ci torno con il pensiero, mi intenerisce il cuore.