Gli Amori Del Giovane Alberto

L’amorale, chi è l’amorale? Non andiamo a scomodare il vocabolario o il Boccaccio,  ognuno di noi può avere un’opinione al riguardo ma con certi limiti come quelli del buon gusto, della non violenza e del non creare problemi agli altri anzi cercando invece di aiutare quelli che soffrono e gli indigenti, un utopista ed anche uno zozzone come direbbero i ben pensanti. io sono fra questi ultimi non i ben pensanti ma fra gli zozzoni, la assoluta libertà delle proprie azioni parlo principalmente nel campo del sesso. Inorridisco quando vengo a conoscenza di certe punizioni nei paesi mussulmani a cui vengono sottoposti gli omosessuali che, a dire di alcuni dei loro medici possono essere curati ma di quale malattia? Quella di avere un corpo diverso dalla natura del proprio cervello? Dove voglio arrivare, forse lo avete capito: al sesso, lo amo profondamente, mi dà e mi ha sempre dato sensazioni meravigliose. Ne ero venuto a contatto sin da bambino, parlo di un ragazzino di dodici anni che era a contatto con una realtà esterna diversa da quella di casa sua dove il puritanesimo era imperante. La seconda guerra mondiale scatenata da pazzi sanguinari mi avevano portato ad essere trasferito, in qualità di sfollato da Jesi, cittadina vicina ad Ancona, dove dimoravo con i miei genitori, a S.Anastasia frazione del Comune di Cingoli in provincia di Macerata. Abitavo nella grande  casa dello zio Fefè (ricco proprietario terriero) che aveva sposato zia Lilli, sorella di mio padre, io e vari zii ed i nonni paterni. Vicini a noi in altro grande edificio di proprietà dello zio Camillo: (parente dello zio Fefè) magrissimo, altezza 1,90 un solo dente visibile si erano ‘accampati’ varie famiglie di anconetani fuggiti dai bombardamenti da parte degli allora non ancora alleati. Il loro problema era quello di sopravvivere finanziariamente, i maschietti erano tutti pescatori ed a S.Anastasia di pesce ce n’era ben poco anzi proprio niente e quindi chi portava a casa il ‘mangime’ quotidiano? Bella domanda le loro femminucce tutte piuttosto giovani e se non  proprio dee della bellezza erano sicuramente apprezzate dai locali villici le cui mogli, anche per le molte gravidanze, non erano propriamente appetibili. I cotali pagavano le loro prestazioni sessuali in contanti (raramente) o con prodotti della terra sempre apprezzati dalle famiglie delle signore. Io ( a proposito mi chiamo Alberto) ero diventato amico di Alda una mia compagna di scuola di due anni più grande  che abitava con i genitori nel casermone degli anconetani. La cotale chissà per quale recondita ragione diceva di saper cucinare e mi portava nel sottosuolo del loro casermone dove c’era un frantoio e una cucina in disuso da anni. Io, innamoratissimo della bionda ed alta Alda mi prestavo malvolentieri ad far l’assaggiatore delle sue schifezze finché un giorno glielo dissi apertamente ed Alda, con una grande risata: “Ti farò divertire in altro modo.” E prese a spogliarsi nuda, mutandine comprese mostrando un buchino circondato da tanti peli… Quella visione per me assolutamente nuova mi fece un effetto strano ossia il coso, con cui normalmente facevo la pipì, divenne duro e Alda lo prese prima in mano e poi in bocca… evidentemente era già un’esperta nel campo del sesso. Cielo toccato con un dito, i pomeriggi, sistemata la questione dei compiti (svolgevo anche quelli di Alda), ci davano al sesso non più da bambini, insomma ero diventato maschietto a tutti gli effetti. Il problema sorse quando mi accorsi che Alda era in intima amicizia con ragazzi di età più avanzata della mia, circa 18 o 20 anni che non tolleravano la mia invasione sessuale in quello che consideravano il loro campo e così, mio malgrado, dovevo accontentarmi dei..rimasugli cosa da me non gradita e così presi guardarmi intorno  ebbi la gradita sorpresa di incontrare Fulvia figlia di un contadino di zio Fefè che spesso lavorava nell’orto dello zio. Alta, bionda, occhi verdi, formosa, sempre sorridente non sembrava proprio il prodotto di genitori bassi e neri di capelli e di carnagione scura (troppo sole) ma forse qualche svedese di passaggio…Mi domandai come conoscerla più da vicino e idea idea pensai di immedesimarmi fotografo avendo notato che lo zio Fefè era proprietario di una Kodak con la quale riprendeva i paesaggi ma soprattutto le contadine sue dipendenti in pose come dire discinte e le interessate ‘ci stavano’, si trattava sempre del loro padrone ed allora erano tempi ben duri per i coltivatori della terra non proprietari della stessa. Lo zio Fefè, vecchio mignottaro, aderì alla mia richiesta sorridendo con fare di complicità, d’altronde in giro si diceva che alcune figlie di contadini gli assomigliassero un po’ troppo…D’altronde lo zio aveva per moglie una insegnante elementare una puritana ingenua in fatto che di sesso non ne mangiava proprio. Più in là vi racconterò una disavventura della zia Lilli per la quale risero a lungo un po’ tutti gli abitanti di S.Anastasia. Ritornando a me, con la Kodak un pomeriggio mi presentai da Fulvia chiedendo di mettersi in posa per delle foto. La cotale in principio rimase senza parole ma poi aderì alla richiesta (ero pur sempre il nipote del padrone). Fulvia per quei tempi era una anticonformista, d’estate aveva l’abitudine di non mettere il reggiseno che la faceva sudare, indossava solo una leggero vestito, fra l’altro corto. Mi tremavano un po’ le mani quando Fulvia sfoderò un seno e più tardi si girò di spalle e mise in mostra un bel popò. Come Dio volle (ma non penso che Dio in quei momenti si interessasse a me, non che per me fosse importante dato che ero ateo come mio padre) finii di scattare ventiquattro fotogrammi. Il successivo giorno mi recai a Cingoli e portai il rullino ad un fotografo. “Ragazzo passa fra due ore.” Girai per la città fra turisti vocianti, la maggior parte romani, e dopo due ore mi ripresentai al fotografo. “Giovane non sono foto che posso darti, sono pornografiche!” Lampo di genio da parte mia: “Sono di mio zio Fefè U, non ne so niente.” Il nome di mio zio fece ‘impressione’ al fotografo che, preso il compenso, mi consegnò le foto senza ulteriori commenti. Il pomeriggio successivo condussi Fulvia nello sgabuzzino degli attrezzi e le mostrai le ventiquattro foto, un successo. “Sembro una diva del cinema, grazie tante quanto ti devo?” “Puoi ricompensarmi in natura.” La baby non capì il mio asserto, pretendevo troppo da una illetterata (allora le femminucce contadine non andavano a scuola.) Mi espressi più chiaramente abbracciandola e mettendole in mano ‘ciccio’ ben duro paventando una sua risposta negativa che non solo non venne ma la cotale lo prese in mano  facendo su e giù con ovvio finale. “Le farò vedere al mio fidanzato, abita a Troviggiano e fa il sarto.” “Ora farà anche il cornuto” pensò Alberto e da quel giorno il loro appuntamento fu quasi quotidiano. Lo zio Fefè si accorse della situazione e: ”Giovanotto stai esagerando, sei troppo dimagrito, non più di due volte alla settimana, comprendi?” Compresi e seguii le sue direttive sino alla fine della guerra quando rientrai a Jesi con grandi pianti della ormai innamorata Fulvia. Vi avevo promesso un episodio della ingenua zia Lilli: Come precedentemen‐ te detto le ragazze non sapevano leggere al contrario dei maschietti che frequentavano la scuola sino alla quinta elementare e quindi, quando dal fronte di guerra scrivevano alle loro fidanzate le lettere venivano loro lette dalla maestra Lilli . Durante la festa della trebbiatura Spera, una figlia del contadino vicino casa loro chiese a zia Lilli di leggere la lettera del suo ragazzo presenti tutti i contadini della zona. La zia come precedentemente detto era ingenua da morire lesse: “Ti ho rotto la cocchia ma ti sposo.” Anche se non siete cingolani avrete capito cosa sia la cocchia ma non la zia che rimase basita nel vedere il risultato delle sue parole. A Concetta il vino uscì dal naso, Peppe, suo marito si stava soffocando con un boccone, Giovanna scappò via per essersi fatta la pipì addosso, insomma un caos generale che rimase a lungo nella mente dei contadini. Ritornati a casa Lilli al marito: “Imbecille mi potevi avvertire cosa voleva dire quella parola!” Fine della guerra, ritornato a Jesi fui iscritto alla prima media nel collegio dei Francescani così rimanevo fuori di casa sino alla sera (i miei genitori lavoravano, papà in  banca mi madre aveva un negozio di coloniali) ma le cose fin dall’inizio non andarono nel verso giusto nel senso che io contestavo la religione cattolica forte dei libri letti sull’argomento. Il direttore aveva l’abitudine il sabato di ‘metter su  un processo ai vari personaggi della Bibbia. Quando fu la volta di Giuda come pubblico ministero si propose il secchione della classe ed io mi autonominai difensore d’ufficio. Quello del Pubblico Ministero fu un ovvio sproloquio infarcito di paroloni e luoghi comuni quando venne il mio turno dissi solo poche parole: “Chiedo l’assoluzione di Guida in quanto non poteva sfuggire ad un destino già a lui assegnato dalla divinità.” Dopo vari processi a personaggio famosi in cui ero sempre l’avvocato difensore, il preside si ruppe le palle e chiese a mio padre di ritirarmi dal collegio: “Suo figlio non  solo è ateo ma mi sobilla tutta la classe, lo scriva ad un istituto pubblico.” E così fu. Il mio profitto scolastico era buono, mi piaceva fare bella figura in classe. Ero compagno di banco di una certa Laura ingenua ragazza di un paese vicino alla quale propinavo gli scherzi più cattivi dopo aver capito che con lei non c’era niente fa fare in fatto di sesso. Laura da buona credente cristiana ogni mattina, prima di entrare in classe, si recava in chiesa per pregare. Io malignamente riferii la cosa al prof. Gatti, insegnate di materie letterarie, ateo e mangiapreti come si diceva allora con la conseguenza che Laura veniva interrogata con domande astruse alle quali non sapeva rispondere e tornava a posto piangendo. “Signorina invece di andare in chiesa studi di più!” era il verdetto del prof. Gatti. Non le feci più scherzi, mi sentivo un po’ verme anzi presi a passarle dei compiti in classe, in fondo sono un buono! In seguito sono venuto a sapere che Laura si era sposata con un altro cattolico praticante, in tre anni aveva messo al mondo quattro figli (due coppie di gemelli) ed era rimasta vedova.
Come me la passavo col sesso? Niente male. Nello stesso pianerottolo della mia abitazione abitava una coppia senza figli, lei  alta bruna, seno quanto basta, occhi bellissimi, vita stretta, gambe chilometriche in somma un gran pezzo di…Per caso venni a sapere che mio padre, da sempre dedito al sesso extra, aveva provato a farla capitolare con risultati negativi per suo grande scorno che si considerava un gran tombeur de femmes. Mia madre, filosofa per natura, preferiva far finta di nulla per non rovinare il matrimonio. Un pomeriggio madame Letizia, questo il suo nome, bussò alla porta del mio appartamento: “Ti chiedo scusa (mi dava del tu data la differenza di età, aveva quaranta anni) mi occorrono altre due pentole, stasera ho degli invitati, ti dispiacerebbe prestarmele, posso telefonare a tua madre.” “ Non è il caso, venga pure e se le scelga potrà sempre ricompensarmi in natura…” Letizia rimase senza parole, mi guardò a lungo e rientrò nel suo appartamento senza profferir parola. Dopo qualche giorno rincontrandola nel pianerottolo le ricordai il suo debito. “Giovanotto potrei essere tua madre…” “Ma non lo è e…”. “Di solito è difficile che qualcuno mi metta in difficoltà tu ci sei riuscito.” Capii che la signora stava capitolando, doveva avermi inquadrato bene,  ormai ero diventato un bel giovanotto ben messo fisicamente. “Signora so che lei fuma anche se suo marito non è d’accordo, son riuscito a trovare un pacchetto delle introvabili ‘Roy d’Egypte’ (le avevo sottratte a mio padre) e così potremo fumare il kalumet della pace.” Senza profferire parola Letizia mi fece entrare a casa sua, mi portò in camera da letto, si spogliò completamente e: “Vieni sotto la doccia.” Un finale al fulmicotone, la signora dimostrò grande maestria nell’ars amatoria. Dopo circa un’ora “Non giudicarmi male, io amo il sesso, mio marito è quello di ‘vado, l’ammazzo e torno.’ Tradotto soffriva di ejaculatio praecox e la signora non ne era soddisfatta, tutto lì, l’Albertone dovette provvedere alle mancanze del consorte con sua grande gioia sinché un giorno papà Armando: “Caro figlio, ormai sei grande,  come ben sai non sono un moralista ma la tua storia con Letizia deve finire per vari motivi: stai dimagrendo in modo preoccupante ed inoltre il marito Oddo, lo so è stronzo anche nel nome è gelosissimo e non vorrei che uscisse di testa. D’accordo con tua madre andrai a studiare a Roma e abiterai presso tua zia Armida e la nonna Maria, Partenza domattina.” Era un vero e proprio ordine,  non mi restò che ubbidire. La zia Armida era sorella di mia madre e vedova dello zio Alberto fratello di mio padre ed aveva un’adorazione per me che gli ricordavo suo marito. Fui iscritto all’Istituto Scientifico Cavour, vicino al Colosseo e ci arrivavo prendendo l’autobus 85. Il biglietto del mezzo di trasporto ammontava a 20 lire ossia l’ammontare di due sigarette Sport (allora per sentirmi grande fumavo) e così mi scarpinavo due chilometri all’andata e altrettanti al ritorno consumando in modo notevole le scarpe. La zia Armida non riusciva a capacitarsi della cosa e  la confidò alla signora Denise, francese, 40enne  moglie di un proprietario terriero marchigiano che passava la maggior parte del tempo nelle sue terre lontano da casa. La cotale abitava nel nostro stesso pianerottolo,  era una accanita fumatrice e pensai di sfruttare la situazione di povero studente senza una lira (la zia e la nonna non mollavano soldi) e così:  zia lontana ad insegnare in un paese vicino e  nonna in chiesa a cercare di guadagnarsi il Paradiso mi recavo a far visita a madame Denise, bionda tinta, un po’ pesante di figura ma ancora abbordabile poi con la fame di sesso che avevo…Madame con un sorriso di complicità assecondava il mio (e suo) vizio foraggiandomi con sigarette ben più costose delle mie Sport. Io girando molto alla larga, cercavo di farle capire che, anche se giovane di età rispetto a lei, avrei gradito…Rien a faire, ce la mettevo tutta, avevo imparato a memoria poesie romantiche di De Musset e di De Vigny ma Denise non mollava proprio, con grandi sorrisi mi prendeva bellamente per il sedere. La svolta fu quando al rientro a casa del marito sentii un litigio fra di loro piuttosto prolungato, il marito il giorno dopo si levò dalle balle e così bussai alla porta di madame e la trovai in lacrime. “Una bella signora come lei merita ben altra sorte.”  La baciai in bocca e la sciagurata rispose, non essendo la monaca di Monza non  ebbe conseguenze se non quella  di prendere l’abitudine di scopazzarmi bellamente e spesso. La storia durò circa un mese sin quando la portiera ‘fece la spia’ e così la zia Armida le fece una scenataccia bollandola come puttana che si era messa con uno molto più giovane di lei. Conclusione porta sbarrata e non solo la porta di Denise per me sconsolatissimo che non sapevo dove portare il mio nobile a divertirsi ma il destino…A casa nostra veniva a far pulizie Maria figlia ventenne  di Mimma (quella che aveva fatto la spia) e del portiere Nando un ex contadino inurbato con l’aiuto di un politico locale perché stanco di lavorare la terra con poco riscontro economico. Dopo i soliti discorsi
“Sei fidanzata?” “No mio padre dice che sono troppo giovane” cominciai a farle dei complimenti la gratificai di qualche regalino con i soldi che mettevo da parte non andando al cinema la domenica. Un giorno finalmente Maria si mollò a prese a baciarmi con conseguenze ben prevedibili da parte mia ma spaventando la baby quando vide il mio ‘ciccio’ “È enorme, no non voglio, io sono vergine!” La scalata fu lunga, ci vollero bacini sul collo, carezze sul viso, abbracci appassionati e finalmente un cunnilingus che mandò fuori di testa la bella mora. Un giorno, fuori di casa zia e nonna, avvenne il matrimonio. “Ti prego piano piano, ho molto paura di farmi male, prima baciami molto lì.” Maria si era portato appresso un asciugamano (le donne sono più previdenti dei maschietti) e così quel sangue che uscì non finì sul lenzuolo del mio letto. Da quel momento, aperta la via, la situazione migliorò, Maria di era scoperto sessualmente molto calda, per me era piacevole toccare quelle tette e  cosce dure dovute al lavoro campestre (pensai che avrebbe rotto una noce di cocco!). Ormai un giorno dopo l’altro…papà Armando, sentita la zia Armida, decise di far finire il mio ostracismo a Roma ed io mi ‘imbarcai’ sul treno Roma – Ancona, fermata Jesi. L’addio con Maria fu straziante, la baby si era follemente innamorata e mi pianse addosso tutte le sue lacrime e, come ricordo, mi permise con grande goduria di ‘ciccio’ di usare il suo buchino posteriore che era stato sempre off limits! Vi sono sembrato un po’ cinico, forse si ma a quell’età l’ormone comanda più dei sentimenti. All’arrivo a casa grande commozione soprattutto da parte di mia madre ingrassata sino all’inverosimile ma quello che più mi colpì furono le notizie dei miei amici: Giovanni (orfano di padre e di madre) si era suicidato con la pistola dello zio cui era affidato, la moglie di Augusto si era impiccata forse perché depressa, Roberto mio coetaneo, da sempre omosessuale, era stata cacciato dalla scuola insieme al professore di francese sorpresi dal bidello mentre lo gratificava di un pom….o; ma i guai nella famiglia di Alberto non erano finiti: suo fratellastro famoso scopatore (che strano il destino) era morto per infarto mentre si intratteneva con la moglie  di un impiegato del Comune, sua sorella Stefania era deceduta per tetano, Marco aveva messo incinta una minorenne, Quinto, detto ‘cascappezzi’, commesso del negozio di mia madre, era in ospedale con un tumore al pancreas. A questo punto ripensai con nostalgia al mio soggiorno romano ed alle grazie della mia georgica amica Maria che in  fondo mi era rimasta nel cuore, la vita che tristezza!