Greta

E’ il 17 luglio del 2005 e sono a casa della tua futura mamma.
Chi ha detto che il 17 è un giorno infausto? Un giorno sfortunato, di male augurio, sventurato… Chi, per primo, ha pensato di attribuirgli poteri nefasti e soprattutto sulla scorta di cosa?
Forse interpretando il volo degli uccelli?
Oppure anagrammando il numero scritto in latino o forse proprio perché il 17 di chissà quanti secoli o millenni fa qualcuno è stato vittima di situazioni spiacevoli ed ha pensato bene di esorcizzarle attribuendosi la paternità di tale “scoperta”.
Già, attribuendosi la paternità.
Paternità.
E’ la prima parola che ho sentito dentro di me turbinare come il vento di libeccio, che agita il mare fino a farlo ribollire di bianca schiuma, impossibile da arginare e contenere.
E’ la prima emozione che ho provato guardando il test di gravidanza, le cui due linee parallele mi sussurravano all’orecchio che tu eri lì e che sarei diventato padre, mentre mamma cuor di leone, in camera da letto, non trovava di meglio che dirmi – guarda tu l’esito – come se fossi dotato di poteri sovrannaturali e in grado di darle la risposta più opportuna.
Appoggiato sul piano di marmo del bagno, elevato ad altare di mille tubetti di crema anticellulite, antiacne, antirughe, emollienti, rinfrescanti, antitutto, racchiusa in un bastoncino di plastica c’era la prova che il miracolo della vita aveva inizio.
Ero il primo in assoluto a conoscere la verità, a gustare quei momenti indimenticabili come fossero ambrosia e mi inebriavo di quelle stupende emozioni al tal punto che, egoisticamente, non sarei più uscito da quelle quattro mura per rimanere l’unico depositario di quella stupenda novella.
Non ho fatto né salti di gioia né sono corso per casa seguito da una scia di grida isteriche ma semplicemente, con un cenno di assenso ho reso partecipe la tua mamma del nostro segreto.
Mi sono stupito di tanto autocontrollo perché avevo sognato tante volte questo momento, fantasticando, in una sorta di totoreazioni, su come mi sarei comportato in una situazione del genere.
Seduta sul letto, con le mani appoggiate sulle gambe come fosse la statua di un faraone egizio, la tua mamma aspettava di conoscere quello che in cuor suo già sapeva.
Non avrai visto il suo volto ma certamente avrai percepito le sue emozioni, anche se lo spettacolo offerto dalla sua mimica facciale avrebbe fatto impallidire il miglior Marcel Marceau.
E adesso?
Che facciamo?
Ma sei sicuro?
Hai visto bene?
Certo che ho visto bene!
Ma davvero è positivo?
Si.
Sicuro?
Allora guarda tu!
Il ricordo che più di altri ho chiaro nella mente, in quei minuti carichi di emozione, sono gli occhi blu della tua mamma, due zaffiri lucenti incastonati in un viso smarrito che aveva l’arduo compito di trasformare in espressione le emozioni che man mano affioravano dal suo animo.
In piedi, appoggiata allo stipite della porta di camera con il test in mano, immobile, muta, come se la magia di un grande stregone le avesse di colpo tolta la parola, cercava in me risposte che già sapeva: sarebbe diventata mamma!
Istintivamente, portandosi le mani al ventre, a creare una sorta di barriera, una protezione, un limite invalicabile o forse per trattenerti e trasformare in realtà quello che un attimo prima sembrava un sogno, ti ha cullata per la prima volta, con la dolcezza infinita che solo le mamme hanno.
Poi, scossa da quel torpore che la rendeva prigioniera, si è avvicinata a me e con infinita dolcezza mi ha abbracciato, consentendomi di fare la tua conoscenza anche fisicamente.