I giardini della rabbia

C'erano cose che aveva dimenticato troppo in fretta, il dolore era così forte da voler essere nascosto, coperto. Impedendo così, all'indiscrezione della verità di salire a galla. 

Dalia comprese però, di vivere a metà, andando avanti sospinta da forze sconosciute. Le ferite erano lì, risbocciavano a dispetto di tutto, oleandri di veleno e sale. 

Mi accorsi che viveva schermata dal modo in cui ricacciava di continuo l’anima all’interno di se stessa. Era imponente, una roccia, pareva che nulla potesse scalfire quell’agglomerato di bellezza e forza. 
Gli occhi la tradirono. Erano due spilli in un vasto campo di grano. Dalia era un paesaggio d’eterea materia, ma disseminato da mine.

La guardavo come si guardano le aquile ferite. 
Un maestoso uccello, reso ai minimi termini e offeso. Albatros mortificato da una schiera di stupide creature, che di lei avevano rubato tutto. E a me avevano lasciato i pezzi da ricomporre di quella difficile creatura, che non credeva più in niente.

Era lì davanti a me, con una chioma di capelli neri corvini adunati sulla spalla destra.
Fece un gesto con la mano, quasi volesse disegnare un perimetro intorno. 
Aveva occhi grandi, quasi mai spaventati.
Disegnava il limite.
E più era distante da me e più mi sentivo sfidato.  Avevo ad un passo  la sfida più grande della mia vita. 

Riportarla in vita. Riportarmi in vita.

Ti odio mi disse. Ti amo le dissi.

Silenzio.

    ''Amo tutto 
Ciò che
in te
Ancora
Resiste’’

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