Il concorso

Eravamo seduti tutti in prima fila su delle seggiole abbastanza scomode, davanti a noi una pedana con su un lungo banco e dietro loro due, i nostri giudici.
L'imponente palazzo della cultura nello stile architettonico dell'epoca  fascista  era ormai annerito dallo smog e aveva molte sale chiuse e in disuso.
La manifestazione a cui partecipavamo si svolgeva in una grande sala, piena di drappi rossi e affreschi alle pareti, ma il pavimento era logoro e la polvere copriva ogni cosa.
Il tema della competizione era chiaro e scarno: rappresentare un soggetto marino, ognuno di noi aveva ricevuto un tappo di sughero grande più o meno come il pollice di una mano adulta, uno stuzzicadenti e un piccolo fogliettino quadrato di stagnola, di colore azzurro, con i lati della stessa lunghezza dello stuzzicadenti, infine uno scatolino di colore grigio che aveva l'unica funzione di fare da contenitore del nostro lavoro.
Eravamo in sei, ammessi a quel concorso sulla creatività in virtù dei nostri scritti, con i quali avevamo superato la prima prova, che aveva bocciato più di una trentina di partecipanti.
Ero fiero di essere lì ma anche molto perplesso: con quegli  strumenti a disposizione non c'era stato dato molto spazio per creare.
Avevamo avuto un’ora di tempo per il nostro lavoro, quando finimmo, ci guardammo in silenzio, sistemammo le nostre opere nel contenitore ed aspettammo che i due professori giudicassero i manufatti.
Il Prof. Antinolfi aprì la seduta, salutando noi e i pochi astanti e ci pregò di portare i contenitori sul banco, mentre il Prof. Calvi puliva con ostentazione i suoi occhiali con la montatura di tartaruga.
Eravamo tutti molto emozionati, vidi che la mia vicina di seggiola aveva addirittura un tremolio continuo al labbro.
I due professori iniziarono ad aprire i contenitori e a porre i lavori in fila sul banco, parlottando tra loro, molto compresi di sé e con uno sguardo perennemente severo.
Tre lavori rappresentavano una barchetta, il sughero era stato la‐vorato come uno scafo, lo stuzzicadenti fungeva da albero e la stagnola infilzata nel medesimo, da vela. I Prof si dilungarono a lungo sulla finitura del tappo, in particolare su una delle tre barchette, dove il sughero era stato semplicemente appuntito ad una estremità per simulare la prua, senza alcuna altra modifica. Il Prof. Calvi ci vide una grossa ricerca sui temi del realismo e intuì una seria analogia con il lavoro del Tosi, che citò con ossequio.
Il quarto lavoro rappresentava un soggetto che pareva un uomo, il sughero era stato lavorato come un busto senza gambe, la stagnola faceva da mantello e lo stuzzicadenti da lancia, per il partecipante doveva essere il dio Nettuno ma il fatto che lo stuzzicadenti non avesse le tre punte fece storcere le labbra ad Antinolfi.
Il quinto era un pesce, così sembrava dalla forma che aveva il sughero, era adagiato sulla carta azzurra, un po' increspata a simulare un mare agitato e lo stuzzicadenti era ficcato nel sughero come un arpione. Calvi pareva interessato, era originale, troppo violento ma originale. Antinolfi disse solo che il pesce arpionato prima o poi sarebbe affondato, per lui era un'opera effimera.
Il sesto, il mio lavoro, fu l'ultimo ad essere esaminato, la carta stagnola era molto increspata con lo stuzzicadenti adagiato su, il titolo era: naufragio.
Antinolfi disse scandalizzato:
« Qui non si sono rispettate le regole, qui manca il tappo!»
E in aula cadde un silenzio da sala operatoria.