Il latte della Lola

 
Ma voi, “Il latte della Lola “, quello della pubblicità per intenderci, l'avete mai visto?
Io sì.
Da ragazzo trascorrevo le vacanze estive dai nonni materni che vivevano in un piccolo paese della bassa bergamasca: quattro case e otto cascine nei dintorni.
Tutti i giorni, nel tardo pomeriggio, andavo alla stalla di mio zio Giovanni (Gianni per tutti noi, anzi Zio Giani, perché le doppie da quelle parti non si usano molto) a prendere il latte appena munto.
Vi assicuro: non era un bel vedere.
Il bergamino toglieva dal bidone uno strato di mosche (tutto sommato felici, dopo una vita di merda, di morire in quel nettare candito e dolciastro) e poi con il mestolo versava il latte nel mio pentolino.
Uscivo dalla stalla perplesso e anche un po' schifato.
Recentemente, dopo molti anni d’assenza, sono tornato in quel paese e l'ho trovato rovesciato come un calzino.  Un parente (mio zio Giani) si è offerto di farmi da guida tra i cambiamenti e i ricordi: i suoi nitidi, i miei un po' sfuocati dalla lontananza.
La stalla della Lola e delle sue compagne non c'è più; è stata ristrutturata, o forse sarebbe meglio dire riconvertita: fuori mattoni a vista antichizzati e grandi vetrate, dentro uffici ultramoderni.
Come si dice: dalle stalle alle stelle.
Al cascinale, in passato utilizzato come essiccatoio per il grano, è toccata una sorte ancora peggiore: la demolizione; al suo posto una bella stecca di villette a schiera.
Proseguendo mi accorgo che anche il mitico Circolo vinicolo ha chiuso i battenti.
Ricordo che nei mesi estivi il lungo porticato di quel locale diventava sala cinematografica.
Pesanti e polverosi teloni chiudevano le aperture verso il cortile, oscurando il loggiato.
Subito dopo partiva la proiezione di pellicole in bianco e nero, già allora molto vecchie
Fuori le stelle, dentro i bambini e le donne, al circolo gli uomini, contenti per qualche sera di non sentire le mogli lamentarsi perché tiravano tardi o esageravano con il vino.
Ora quel posto è diventato un locale trendy: musica afro e birra tedesca.
In piazza noto che la pompa dell'acqua potabile è stata rimossa; tutti ormai hanno l'acqua in casa (nel senso che non devono uscire con i secchi per prenderla) e la fontanella in finto sasso fuori, naturalmente con il mestolo appeso: giusto per ricreare un senso dell’antico. 
La ruota del mulino è sparita, e anche il fiume, nel tratto che attraversava l'abitato, non si vede più: l'hanno intubato così non porta umidità.
Lì vicino, quasi tutti i giorni, si teneva uno spettacolo gratuito.
Alcuni ragazzi, con una carabina ad aria compressa, sparavano ai topi che, nuotando velocemente nell'acqua, cercavano di raggiungere la ruota del mulino per guadagnare un passaggio verso il deposito dei cereali.
Una caccia grossa:
‐ Sa rigordet zio che ratu?
Lui conferma e ride, poi, prendendomi sotto braccio, m’invita a bere qualcosa.
Ma dove? mi chiedo, visto che il circolo ha chiuso per fallimento e il pub apre quando lui va a dormire.
Ci spostiamo ancora di qualche metro e siamo davanti alla ex scuola elementare, chiusa da diversi anni per mancanza di materia prima, cioè di bambini.
I locali, rimasti vuoti, ora sono utilizzati da un'associazione culturale e ricreativa, insomma ci hanno fatto un piccolo centro sociale.
Al bar self‐service, lo zio, oltre ad offrirmi da bere, fa anche da barista e cassiere; sguattero no, perché per i bicchieri c'è la lavastoviglie, tutto a norma di legge, o meglio: di modernità.
Uscendo gli chiedo se ci sono ancora le cascine; dice di sì, ma aggiunge che adesso sono un'altra cosa.
Stalle, fienili, letamai: tutto in prefabbricato.  Anche la gente è cambiata, adesso lì ci lavorano solo indiani.
E pensare che una volta la provincia di Bergamo mandava mungitori in giro per il mondo; ora invece tutti a lavorare nell'industria, nelle centinaia di fabbriche spuntate tra i coltivi di grano: cubi di cemento che troncano la vista di una campagna che qualche anno fa pareva non finire mai.
Tutto sommato però è una vita meno grama di quando, se non volevi puzzare di stalla dalla mattina alla sera, dovevi alzarti ogni giorno prestissimo e prendere il pullman per andare a Milano a fare il carpentiere o il manovale.
Certo che noi uomini siamo strani, rincorriamo la modernità e quando l'abbiamo raggiunta ci facciamo prendere dalla nostalgia per quello che abbiamo lasciato. 
Ma forse questo è normale, siamo cresciuti in un periodo che è stato un concentrato di cambiamenti e che in pochi anni ha cancellato tradizioni secolari e modificato radicalmente il nostro modo di vivere.
Sto scivolando nella retorica, torniamo a noi.
Per quanto riguarda il latte della Lola: scordatevelo!
Non ci sono più le stalle di una volta, e nemmeno le bestie, e nemmeno le mosche.
Oggi le mucche sono semplicemente delle macchine da latte, producono il doppio e vivono la metà; il resto è solo pubblicità: bella, creativa, capace di suscitare emozioni forti, ma pur sempre pubblicità.
‐ E' ora di tornare a casa, ‐   dico a mio zio
‐ sta scendendo la nebbia e vorrei ripartire.
Ecco! La nebbia è l'unica cosa che non è scomparsa: ora puzza meno di stalla e più di petrolio, ma è rimasta al suo posto.