Il lupo Pitagora

C’era una volta, un giovane lupo dagli occhi di una cangiante tonalità viola scuro e una macchia nera sul muso, di nome  Pitagora.
Dal carattere nobile ed altruista, grande sognatore, adorava lui dipingere il mondo attorno con la sua poesia, amante dei colori sfavillanti dei fiori nei campi, del respiro lieve dei ruscelli all’aria aperta, del brillio della luna, perennemente col muso rivolto verso l’alto, perso nei suoi pensieri.
Acquazzone/dondola fra i ciliegi/la primavera ricamava nel suo cuore i propri haiku, animo sublime, cullando il sogno di portare la sua poesia sempre più in alto, fino al cielo.
Ferito ancora cucciolo da alcuni cacciatori di passaggio, che puntatogli contro un fucile, l’avevano fatto ammutolire sotto i loro spari, Pitagora ritrovatosi riverso al suolo sanguinante e storpio ‐ perduta una zampa ‐ si era trasformato in una creatura muta e solitaria sempre un passo dietro gli altri, cercando di non essere un peso per il suo branco.
“La Vita è il dono più prezioso! Perché farci questo?” si era chiesto addolorato “Perché puntarci contro i loro fucili se non abbiamo fatto alcunchè? Se nemmeno ci conoscono? Perché agire senza alcun briciolo di rispetto?”
E seppur storpio, arrancando a fatica, non aveva mai smesso di cantare la sua poesia, ugualmente orgoglioso di riempire coi suoi versi il creato “Sono vivo e posso muovermi, anche se con lentezza, e non mi fermerò di certo!”.
“Ma così ridotto!” ciarlava il chiacchiericcio intorno “Quella zampa fa orrore!” “Quella macchia nera!” “Non potrà mai trovare una compagna!” “Così conciato no!” “Come potrebbe” “E’ lapalissiano!”
Ma docile e mite, lui sorrideva alle loro parole, senza remore.
E una notte girovagando per la Foresta, intento a soffiare nell’aria i suoi haiku, udendo all’improvviso una voce vibrare nel buio, il suo cuore mancò di un battito.
“Che stupenda poesia! E’ un haiku! Complimenti!” si fece avanti una lupa dagli occhi d’ambra “Che meraviglia! Il mio nome è Gala!”
“Grazie!” la salutò Pitagora, felice che la sua poesia le fosse piaciuta tanto “Gala!” continuò “Un nome bellissimo, che in greco antico significa Γαλάτεια Galateia, dal termine γάλα gala, "latte" e vuol dire "bianca", "lattea", "bianca come il latte", proprio come il tuo manto bianco!” sorrise lui, voltandosi adagio “Grazie per i tuoi complimenti!”.
E la lupa avvicinatasi a lui, scorgendo sul suo muso quella macchia nera, squadrando la zampa zoppa, balzò all’istante, indietreggiando.
E leggendo l’incredulità sul viso di lei, comprendendone il motivo, Pitagora chinò il capo “Sono contento che ti sia piaciuto, non tutti conosco gli haiku! Ma probabilmente, non mi avevi riconosciuto nel buio!” balbettò.
Lui, con una macchia nera sul muso e una zampa storta, chiamato per quelle sue caratteristiche col nome di “Nero”  in maniera dispregiativa.
“Hai amato così tanto il mio haiku, dal non esserti fermata nemmeno per un istante a chiederti chi ne fosse l’autore!” scodinzolò suo malgrado Pitagora, ben avvezzo a reazioni del genere.
“Il lupo con una macchia nera!” “Il lupo con una zampa storpia!” “Quanto è brutto!” “Storpio e nero!” “Non è  gradevole a vedersi!” “E’ meglio starne alla larga!” sbarrò gli occhi la lupa, guardandolo da vicino.
E facendo per andarsene Pitagora assentì “Grazie per aver amato il mio haiku, Gala! La poesia è il mio respiro, il mio sogno, ciò che mi rende felice! Nonostante per molti il mio fisico non sia quello idoneo, la poesia spezza ogni mia catena! Quando compongo il mio animo è libero, e anche se malfermo, con una macchia nera sul muso, brutto, inadeguato, mi ritrovo sano, veloce! Non esistono più fragori di fucile a scoppiare! Sillaba dopo sillaba ritrovo la Vita, i miei colori!” riprese il suo sentiero.
E la lupa nel vederlo andar via, col cuore in gola, abbassò la coda, contrita.
“Hai fatto bene!” “Quella zampa è rivoltante!” “I cacciatori lo hanno ridotto così!” “Fa paura!” “E’ sempre solo!” “E’ sempre in disparte!” “Fa orrore!” “Non lo si può guardare!”
Ma allontanatosi di appena pochi metri, Pitagora udendo di colpo un urlo disperato fendere l’aria,  riconoscendo la voce di Gala, corse indietro in volata  col cuore in tumulto.
“E’ la mia fine!” gridava la lupa “E’ la mia fine! Che qualcuno mi aiuti!”
E giunto sul posto, lo stupore di lui fu enorme nello scoprire la sventurata intrappolata in una rete, nascosta da mano umana alle radici di una vecchia quercia, impaurita.
“Sono caduta in questa trappola come una stupida! Come farò?” lo guardò lei, terrorizzata.
E senza porre tempo in mezzo il lupo, accostatosi alla rete, le intimò la calma “Non muoverti, Gala! Non aver paura!” soffiò “Ci sono qui io!” modulò la voce con dolcezza “Sta ferma! Oppure sarà peggio!”
“Uscire da questa trappola è impossibile!” continuò lei “I cacciatori in giro da queste parti mi uccideranno!” 
“Sono qui io!” continuò Pitagora “Insieme possiamo farcela! Ora tenterò di aprire uno spiraglio fra le trame della rete, per fortuna non è molto stretta! Gli uomini ne usano di più inaccessibili, questa è piuttosto blanda! Tu segui quello che ti dico! Tranquilla!” la incoraggiò lui “Stai calma!”.
E cercando di rasserenarla, levò in alto il muso recitando uno dei suoi haiku più belli, come gli accadeva sempre quando le parole lasciavano il posto alle emozioni, avanzando retrocedendo in un tripudio di sentimenti incontrollabili “Sogno/dondola tra i rami/una piuma” tentando di chetarla col dono della poesia.
E nell’ascoltare quel canto d’amore, Gala sentì i suoi occhi inumidirsi di lacrime “Pitagora, scappa! Qui intorno è pieno di cacciatori! E se ci scorgono uccideranno anche te!” inghiottì “Tu col tuo passo non riusciresti mai a scappare in tempo!” scosse il capo nel vederlo al suo fianco mettere a repentaglio la sua stessa Vita, pur di trarla in salvo “Scappa!” ringhiò dimenandosi con foga ancora maggiore “Questa trappola è ben fatta non potrai mai riuscire a liberarmi! Corri via!”.
E Pitagora sordo a quelle parole, destreggiandosi con fermezza, incurante della sua zampa storpia, utilizzando le zanne e gli artigli ben affilati, deglutendo, goffo, impacciato ma tenace, prese ad agire sulla rete tentando di aprire un varco, caparbio “Forza! Insieme! Insieme possiamo riuscirci! Per fortuna non sei ferita, spingi quando ti dico di farlo e non aver paura! Ci riusciamo!” desideroso solo di proteggerla e portarla in salvo.
“Lui sta rischiando la sua Vita per te! Ti sta dimostrando il suo coraggio, mettendo la tua Vita prima della sua”
“Coraggio viene dal latino coratĭcum o cor habeo, aggettivo derivante dalla parola composta cŏr, cŏrdis 'cuore' e dal verbo habere 'avere': avere cuore! E lui si sta esponendo per te, offrendo il suo cuore al fucile del cacciatore!” udì una Voce soave al suo orecchio Gala.
E inspirando forte l'odore di lui, riconoscendolo buono, la lupa prese a strattonare con impeto, seguendo le sue indicazioni, con un misto di sudore e fatica, ingoiando la paura, collaborando.
“Spingi quando ti dico di farlo!” prese a guidarla il lupo “Forza puoi farcela, Gala! Spingi! Ora!” col fiato corto, infaticabile “Spingi!”
E ad un tratto, apertosi uno strappo fra le trame della rete, Pitagora lanciando a Gala uno sguardo d’intesa, senza proferire parola, lasciò che la lupa saltasse fuori in un sol balzo, sana e salva, dritta sulle zampe.
“Grazie per avermi salvato la Vita!” si sciolse lei in un pianto liberatorio.
“Di nulla! Non mi ero allontanato molto e per fortuna tu hai seguito alla lettera ciò che ti dicevo di fare, dandomi fiducia, senza ascoltare quelli che di tutto il mio pelo, vedono solamente la macchia nera che porto sul muso e la mia zampa zoppa, ed in base a ciò mi chiamano con disprezzo col nome di Nero!” le confessò sottovoce  “Quando quel nomignolo mi era stato dato alla nascita come vezzeggiativo!” grattò lui la nuda pietra.
“La prossima volta stai più attenta!” guaì “La Vita è il dono più prezioso! Perché farci questo? Perché volerci uccidere? Non continuare a fare questo senza che abbiamo alcuna colpa!” gemé “Perché puntarci contro un fucile? Nascondere trappole?!” e accomiatandosi con un sorriso, fece per riprendere il suo sentiero.
“Non andare via!” trasalì la lupa, facendo per fermarlo “Ecco…lupo prima di te, nessuno aveva mai prestato tanto valore al mio nome, sai? Gala si, significa bianca come il latte! E volevo dirti grazie per avermi aiutata col dono della poesia!” lo guardò tremante d’emozione.
“Grazie a te per aver cullato il mio haiku nei tuoi pensieri, sono così pochi quelli che si fermano ancora ad amare la poesia! Specie poi i miei haiku! Per  molti, basta scorgere il colore della macchia che ho sul muso, oppure scorgere la mia zampa, per fuggire via senza pensarci due volte!”
E lei chinando il capo sussurrò “Chi crea versi talmente belli non può non essere una creatura sensibile!” scodinzolò “La poesia è un atto d’Amore! L’Amore che abbiamo dimenticato, l’Amore a prescindere! L’Amore gratuito, l’Amore che è l’unico respiro dell’Amore!” calò lo sguardo.
“Ma cosa sta facendo!” “Quella lupa è folle!” “E’ pazza!” “Non vede quanto è brutto?” “Non sente repulsione?” “Quella zampa fa spavento!” “Non è maleodorante?!” “Che voltastomaco!”
“Gala a te non provoca ripugnanza questa ferita? Non mi trovi brutto? Non pensi sia repellente?” buttò lui di un fiato “Non cogli un ché di raccapriccio?”  brillò fra le sue ciglia una lacrima “Ormai ci sono abituato! Ciò che provo non conta, i miei pensieri, i miei desideri, quello che sento dentro non interessa a nessuno, né alcuno vi pone ascolto! L’universo delle mie emozioni spesso resta inascoltato! Non è importante per gli altri! E’ così da tempo!”
“Ecco perché è sempre così solo! Ecco il motivo per cui vive in disparte!” udì Gala nuovamente quella Voce al suo orecchio “Tu hai guardato oltre la sua zampa per tutti così disgustosa e quella sua macchia nera a colorargli il muso alla nascita! E per questo lui ti ha aperto il suo cuore! Tu ascoltalo!”
E per tutta risposta, la lupa si chinò delicatamente a leccargli la ferita con cura, tratto a tratto, adagio, con premura, inalandone l’odore “Come fai a pensare di essere brutto…se sei così bello!”
E lui guardandola così vicina, farfugliò “Gala…”
“Lupo, vogliamo giungere fin sopra la roccia? Vuoi cantare da lassù la tua poesia?” lo guardò lei portando negli occhi il dono della tenerezza.
“Beh, non so se potrei riuscirci, il mio passo è troppo lento!” bofonchiò lui “E se poi non…” aprendosi poi in un largo sorriso “Ma si! E se non dovessi farcela potrò dire almeno di averci provato!” strizzò lui l’occhio.
E ridendo alla sua affermazione, la lupa salterellò “Insieme, Pi‐ta‐go‐ra? Mi piacerebbe tantissimo...”
E lui udendo per la prima volta il suo nome pronunciato dalla voce di lei, l’accolse dentro il suo cuore “Ti va davvero di salire l’altura e veder nascere la luna da lassù?  Sai, c’è un posto, un’angolazione, da cui è possibile poter ammirare appieno le Pale delle Montagne in tutta la loro smisurata bellezza, quando la luna si apre ad illuminare coi suoi raggi il creato! E’ lassù che vorrei giungere! Veramente lo vuoi?"
“Ma sarà difficilissimo!” “Con una zampa così!” “Impossibile!” “Con quel fisico!” “Storpio! Brutto!” “Come potrebbe?” “Zoppo giungere fin là!”
E insieme presero il cammino, dapprima con esitazione, poi sempre più sicuri, con maggior fermezza, energia, risolutezza, forti, incantevoli nelle movenze, cuore‐muscoli, anima‐fiato, inspirando la Vita a pieni polmoni. Sorreggendolo lei quando la salita diveniva più dura, attendendolo lungo le zone più impervie, uniti, ridendo a crepapelle, fermandosi a divorare la frutta dividendola festanti, un passo dopo l’altro.
Fino a toccare insieme la vetta, all’unisono, in alto, in alto laddove il cielo s’apriva in tutta la sua maestosa, imponente magia.
“In‐sie‐me!” brillò la voce del lupo, levando in alto il suo canto, facendo risplendere col proprio ululato la mezzanotte, riconoscendo nello sguardo di lei la paura, ma insieme la forza di essergli accanto, ritrovando nella sua tenerezza la propria poesia “Amor Vincit Omnia!” rivestì col suo verso la montagna “Grazie mia bellissima Gala!”
“Tu non devi ringraziarmi, Pitagora! Ubi tu Gaius, ibi ego Gaia …dove tu, oh Gaio sei, lì io, Gaia, sarò! Dovunque tu sarai Felice, io sarò Felice! Le cose che ti rendono Felice, rendono Felice anche me! Se tu sei Felice, io sono Felice!” ribadì la lupa tirandogli giocosamente l’orecchio con le zanne.
“Felix qui quod amat defendere fortiter audet. Beato colui che ha l'ardire di difendere ciò che ama. Disse un tale. E quel tale, aveva ragione!” mugolò “Non andare mai più via, Pitagora!” guaì la lupa posando la fronte contro quella di lui “Non farlo mai, tu per me sei importante, Importante una parola bellissima: dal latino, portare dentro. Ed è proprio così. Io ti porto dentro di me, ovunque io vada tu ci sei. SEMPRE. … Ti fidi di me?”
E lui sorridendo, ricambiando il suo amore nel muto linguaggio dei loro due cuori a fondersi in uno soltanto, soffiò “Seppure tu ti trovassi dinanzi un branco formato dai più bei lupi dei dintorni a farti la corte, si, sono sicuro tu sceglieresti sempre me! Invece di farmi sentire inadeguato, mi hai fatto entrare nel tuo cuore, cucciola, facendomi sentire insostituibile!”  
E da quella notte i due lupi non si separarono mai  più, per sempre insieme, felici e contenti.