Il quadro di sant'Anna

Millenovecentocinquantatrè, assegnazione di casa popolare e da via Roma ci trasferiamo al Rione Tanucci allora estrema periferia casertana nel pieno delle proprietà Preziosi il “latifondista dai guanti bianchi” perché, in banca, prima di toccare le banconote usava infilarsi guanti bianchi profumati. Quattro blocchi contrapposti a due a due per novantasei appartamenti ‐ copia e incolla ‐ nuovi di zecca. Fummo i primi a prendere possesso del nostro e, per qualche giorno fummo i padroni assoluti del rione entrando ed uscendo da tutte  le abitazioni. Nei giorni precedenti c’erano stati gli addii di rito ed i relativi brindisi beneauguranti ed avevamo rivisto la signorina Carmelina che praticamente da qualche mese si era barricata in casa avendo subito lutti e malanni ravvicinati. Mia madre era riuscita a scardinare quell’isolamento e si trovò a consolare la poveretta che sembrava non avere nessuna voglia di essere confortata perché il crogiolarsi nel lutto sembrava darle un motivo per sopravvivere.  
Girammo pagina.
Si mettevano a posto i mobili, si trovavano soluzioni più calzanti con i nostri bisogni ed ovviamente era mia madre Adele che proponeva i piccoli accorgimenti ed in quel periodo nacque la frase che poi sarebbe stata il leit motiv della vita a due di mio padre e mia madre. “Ugo, in bagno si potrebbe mettere una tendina di plastichetta americana alla vasca e ci mettiamo una doccia?” “Adè, ma quanti anni vuoi campà?” Non era altro che la sintesi del ragionamento – vale la pena di metterla se fra poco ce ne andiamo al Creatore? – ed ovviamente gli scongiuri si sprecavano. Comunque la tendina si realizzò, come la veranda etc…
Il rione in poco tempo si popolò ed ovviamente si intrecciarono nuove amicizie, rapporti e consuetudini e il complesso pian piano acquistava una sua fisionomia che somigliava sempre di più alla realizzazione di una “diocesi” di Adele. La gente fu attratta dalla simpatia napoletana di mia madre , dalla sua capacità di essere rassicurante e pian piano ne fece un punto di riferimento confortevole. La nostra casa conobbe un andirivieni molto fitto e, per certi versi,  incredibile. Il primo reale segno di questa comunanza fu segnato da un avvenimento caratterizzato da un quadro che, attualmente, è sotto i miei occhi. Una quindicenne molto avvenente che abitava nel primo edificio rimase incinta ed ovviamente scoppiò la tragedia. Erano i tempi dei matrimoni riparatori, delle donne tutte puttane, delle minacce e della mammane che lucravano sugli aborti. Per un po’ di tempo da quell’appartamento si sentivano le urla e i litigi sino a che non fu coinvolta mia madre. La madre della ragazza venne a parlare con lei e parlottarono a lungo. A sera, con il buio rassicurante, bussò alla porta la ragazza e c’era un letto in sala che l’accolse. Per una decina di giorni visse con noi. Nessuno doveva sapere niente e a noi figli fu promesso  un “paliatone” epocale se avessimo spifferato solo un dettaglio. Il tempo incominciò a lavorare per una soluzione accettabile e, dopo due settimane, la ragazza fece ritorno a casa.
“Acqua ca  nun corre fa pantano e fete”
Il commento di mia madre mi piacque, era azzeccuso. Nei giorni successivi il problema sembrava essersi risolto per il meglio ma non sapemmo come finché un giovedì di giugno all’ora  di pranzo non bussarono alla porta. Era la madre di Rosalia, la ragazza incinta, che molto timidamente chiese di entrare. “Accomodatevi signora.” ”Scusatemi per l’ora ma, non so cosa dire, nun ne potevo fare a meno.” “Nun ve preoccupate signò, è succieso qualcosa a Rosalia?” “No niente, signò sule ‘na cosa…” “Dite, in che posso essservi utile?” “Aggiu saputo che vuie ogni mercoledì facite sempe pasta e legumi…” “Si, signò, è vero.” “Oggi avite fatte pe’ ccaso pasta e fagioli?” “Si, certo, oggi l’ho fatta…” “Meno male signò…Rosalia mi ha detto che come la fate voi non la fa nessuno…”
Intervenni io “Si, è vero, come la fa mamma non la fa nessuno.” “E allora signò, volete la ricetta?” “No, signò, nun voglio la ricetta anzi…la voglio… ma ora…ora… Vulesse ‘nu piatto ‘e pasta e fasule…Sa, mia figlia è incinta e…è ‘na voglia e voi sapete…” “Lo so, lo so, venite in cucina cu’ mme.”
La nostra porzione si riduceva ma trattandosi di Rosalia… Senza secondi scopi, s’intende…Almeno per me.
Le scuole si chiusero e noi partimmo per le nostre abituali vacanze a Monte di Procida. A metà luglio dall’ufficio postale arrivò una chiamata per mia madre. La telefonata proveniva da Caserta da parte della madre di Rosalia. In breve: erano sopraggiunte le doglie e lei era terrorizzata. Non voleva partorire perché era sicura di morire durante il travaglio. “Signò putite ffà qualcosa?” Ovviamente mia madre sentitasi chiamare in causa si organizzò e, con mio padre, partirono per Caserta. Si partoriva in casa allora e molto raramente, se si avevano soldi, lo si faceva  in clinica e Rosalia aveva saputo che una sua conoscente non era sopravvissuta al parto. Mia madre tentò di convincerla ma, vedendo i suoi tentativi naufragare, si giocò l’ultima carta. “Rosalia, ti faccio proteggere io.” “Da chi?” “Senti, io in casa ho un quadro miracoloso. Il ritratto di Sant’anna, la madre della madonna. Questo quadro protegge le partorienti. Se lo tieni in camera nun te succede niente ed il maschietto che ti porti dentro nasce sano e robusto.” “Che ne sapite vuie che è maschietto?” “Ehhh…Si vede subito. Tu tiene ‘a panza comme a n’acino d’ uva. E’ nu piccerille…” “E vuie state vicino a mme?” Si Rosalia, sto vicino a te…”
E così  il quadro in questione, che abitualmente era posizionato sulla testata matrimoniale fu trasportato nella casa di Rosalia. Parto senza problemi e maschietto urlante!
Da quel momento raramente la testata del letto matrimoniale di mio padre e mia madre era sormontato dal quadro di Sant’Anna (erano tempi in cui non c’erano altri “passatempi”) e bisognava “programmare” con cura i tentativi per non sovrapporre le date. Il rione Tanucci aveva una protezione speciale!