Il Regno di Bardo

  Il Regno di Bardo

Mi risvegliai dopo un lungo sonno, non ricordando assolutamente nulla di quello che era successo il giorno precedente. Aprii gli occhi e stranamente non ero nel letto di casa mia, ma in un luogo a me sconosciuto, sdraiato a terra, su un manto erboso umido.
Cominciai a guardare attorno, ma non riuscivo a vedere al di là di alcuni metri davanti a me, infatti una fitta nebbia mi circondava, lasciandomi appena intravedere un albero spoglio sulla mia destra e il terreno sul quale crescevano degli strani fiori alti all’incirca due metri, alcuni neri, altri viola. Ebbi la sensazione di essere in un luogo desolato e lontano dal mondo abitato, quindi cercai immediatamente di mettermi in piedi, ma un forte dolore al petto, mi impediva di muovermi.
“Strano, pensai, eppure io non ho mai sofferto di questo genere di disturbi...” ma seppur con grande fatica riuscii a sollevarmi e a dirigermi verso quell’albero spoglio sul quale alcuni corvi gracchiavano indisturbati. Arrivato nelle prossimità dell'albero, vidi un’ombra che si allontanava velocemente verso un piccolo ruscello che scorreva a qualche decina di metri da me. Provai a gridare per fare sentire la mia presenza, ma quella figura indistinta sparì velocemente nella nebbia, e io rimasi solo a contemplare quel paesaggio tetro, incredulo di quanto mi stava accadendo. Alzai lo sguardo verso il cielo, notando che una pioggerellina nera scendeva copiosa verso il basso, bagnando così i miei vestiti. Continuai a camminare nella speranza di trovare qualcuno che mi potesse dire dove mi trovassi precisamente in quel momento e magari anche il perché... Così, seppur dolorante, mi rimisi in cammino, anche se non avevo una meta precisa e mi sentivo sempre più solo e disperato, pur provando una consapevolezza aumentata, un’espansione della coscienza che non avevo mai provato in vita mia. Sentivo anche dentro di me  un senso di angoscia e di incertezza sempre più opprimente, e avevo paura nell'avanzare in quella terra sconosciuta e quasi disabitata.
Dopo aver camminato per circa mezz'ora tra le vallate desolate e aride di quel luogo sconosciuto, giunsi  finalmente nei pressi di una piccola casa di campagna diroccata, all'apparenza disabitata, con i vetri rotti e alcune galline nel cortile circostante che rallegravano l'aspetto misterioso e tetro dell'abitazione. “Finalmente ‐pensai tra me e me‐ qualcuno ci sarà in quella casa!!!” Bussai alla porta e immediatamente mi aprì una anziana e bassa signora, dall'aspetto malandato, forse di ottanta anni, con i capelli bianchi e lunghi, gli occhi neri e una larga bocca senza alcuni denti. “Benvenuto straniero ‐disse l'anziana signora accogliendomi con un sorriso‐ entra pure, è da anni che non ho un ospite, sai? Più o meno da quando è morto mio marito”. Io rimasi un attimo in silenzio, poi replicai: “Grazie signora per la sua ospitalità. Io mi sono perso, ricordo solo che stavo guidando la mia automobile a New York e poi il vuoto… Ora mi ritrovo qui, e non riesco a capire come ci sono arrivato. Sa gentilmente dirmi dove mi trovo?»
La signora balbettò alcune indistinte parole, poi rispose: “Non saprei ragazzo mio, sono malata di Alzheimer e non ricordo...”. Mi accompagnò verso il salotto dove era acceso un caminetto e su una poltrona vi era un libro impolverato dal titolo «La storia mai narrata dell'aldilà». Io le chiesi, incuriosito dall'argomento di cosa trattasse, ma lei sembrò infastidita da quella domanda e mi liquidò con poche parole: “Ragazzo non credo possa interessarti...” Provai ad avvicinarmi per sfogliarlo, ma un enorme alano nero mi si avventò contro prima ancora che potessi giungere vicino alla poltrona; così mi ritrovai a terra con la bestia che mi ruggiva contro infuriata.
“Fermo Bull, a cuccia!!!!" intimò l’anziana signora.
Il cane obbedì immediatamente, e sparì nella camera accanto senza abbaiare.
“Mi deve scusare ragazzo, ma Bull è un'animale molto affettuoso, ma se non conosce qualcuno diventa aggressivo. Spero che non si sia fatto male".
“No, non si preoccupi, solo qualche graffio" le risposi ancora impaurito.
Poi la signora andò in cucina e preso del the, me lo offrì. Io mentre sorseggiavo lentamente quel the alla menta, guardavo i quadri di quella stanza, pieni di strani simboli, che non avevo mai visto in vita mia. La signora una volta sedutasi sulla poltrona, dopo aver bevuto il suo the, cominciò a raccontarmi della sua giovinezza e di come era stata felice fino a quando un giorno uno spaventoso incidente uccise suo marito e lei rimase per anni sola chiusa in casa, portando con sé in silenzio quel suo dolore. Sembrava felice quando mi guardava negli occhi, quasi sperasse che io fossi la reincarnazione di suo marito. Ma io stanco di ascoltarla la interruppi dicendole: “Signora io devo sapere dove mi trovo e perché sono qui, se lei non mi può dare delle  risposte, sarò costretto ad andare via...” La signora cambiò improvvisamente espressione e si voltò bruscamente verso di me: “Sei solo un ragazzo presuntuoso, qui non troverai mai risposte, dove pensi di andare?” Io  incredulo non detti peso alle parole di una vecchia sclerotica e senza salutarla me ne uscii, allontanandomi velocemente verso la campagna. Continuai a camminare senza sosta, anche se ora anche le gambe cominciavano a farsi doloranti. La nebbia diventava sempre più fitta e rendeva la mia avanzata più difficoltosa, ma io dovevo cercare delle risposte, e seppur preso dallo sgomento non potevo arrendermi. Ad un tratto andai a sbattere senza volerlo contro un grande masso e lì fui costretto a fermarmi, perché la mia gamba era sanguinante. Con un senso di orrore e di costernazione, dopo aver vagato per ore in quel luogo dove regnava il silenzio assoluto, sentivo il bisogno di incontrare qualcuno che mi potesse aiutare a farmi tornare a casa; alla fine distrutto dalla fatica e dal dolore al petto e alla gamba, mi fermai e urlai con tutte le forze che mi erano rimaste nella speranza di una risposta. Ma niente, nessun eco, neanche quello dalla mia voce… Mi vennero in mente allora i nomi dei miei amici, e dei miei familiari e cominciai a chiamarli uno per uno, nella speranza di poterli rivedere, ma il silenzio e la nebbia mi avvolgevano come in una prigione.
“Ah, ah... Ah, ah....” una fragorosa risata proveniente dalla mia sinistra echeggiava nella nebbia. “Chi sei? Fatti avanti....” gli chiesi impaurito. “Ah, ah, ah...” continuò a ridere nonostante il mio dolore aumentasse. “Che hai da ridere, non vedi che sono ferito?”
“Appunto” mi rispose laconicamente.
“Fatti avanti se hai il coraggio...”
“Se è questo che vuoi....”
Dalla nebbia cominciai a scorgere la figura indistinta di un uomo molto alto, abbastanza robusto e vestito di nero con un cilindro in testa.
“Chi sei?”
“Io mi chiamo John, sono un commerciante di pietre preziose, e tu?”
“Walter, sono un grande e ricco imprenditore dell'industria automobilistica. Io non capisco come sono giunto in questo luogo ed è da ore che vago, mi sono perso”.
“Anche io non ricordo come ci sono arrivato. Sono anni che vivo in questo posto, non è molto bello, ma oramai mi ci sono abituato”.
“Tu sei la seconda persona che incontro. Hai mai pensato di andare via di qui?”
“E' impossibile, ho provato a camminare giorni e giorni, ma non ci sono mai riuscito. Siamo in una valle circondata da montagne altissime e impervie, ricoperte tutto l'anno di neve e ghiaccio”.
“Ma hai idea di dove possiamo trovarci?”
“No” rispose seccamente e con un’aria annoiata John.
“Io mi ricordo che ieri mattina sono andato al lavoro, poi ho preso l'auto per andare da mia moglie, e poi non ricordo più nulla...”
All'improvviso sentii giungere un forte vento gelido, e vidi che cominciavano a scendere dall'alto tanti piccoli fiocchi di neve grigiastra.... Mi girai verso il mio nuovo amico, ma era improvvisamente sparito nella nebbia.
“Ehi, dove sei andato John? Torna qui, non lasciarmi solo!!!”
Ma non riuscii a vederlo più, così continuai a  malincuore a camminare, mentre il terreno sotto i miei piedi si faceva sempre più scivoloso.
“Oh mio Dio, ho la sensazione che qualcuno mi stia osservando...” pensai tra me e me.
In effetti erano alcuni minuti che mentre camminavo a passo sostenuto, ebbi la sensazione di essere inseguito, mi sentivo osservato...
Cominciai a correre fino a quando stanco, caddi a terra e per la disperazione, urlai: “Dio mio, aiutami!!!". Poi non ricordo più nulla, caddi in un sonno profondo, e cominciai a sognare e vedere strane figure di uomini che mi circondavano e parlando tra loro si chiedevano chi fossi e da dove venissi... Sognai anche alcuni avvenimenti della mia vita, i più belli, quando mi sposai con mia moglie, quando nacque il nostro primo figlio, e quando riuscii a diventare il titolare della più grande ditta automobilistica del mondo. A un certo punto del sogno mi ritrovai su un monte, seduto su un grande masso, immerso nell'oscurità della notte rischiarata appena dalla tenue luce della luna, e lì vidi comparire accanto a me una donna, vestita di bianco, dai capelli lunghi e biondi e con in mano un libro bianco. Si presentò come Doroty, e disse di conoscermi da molto tempo, ma io le risposi immediatamente di non ricordarmi assolutamente di averla mai conosciuta. Lei sorrise,  poi mi chiese: “Sei qui da molto tempo, vero?".
“Si, in effetti è già molto che vago senza meta, non saprei dirti di preciso da quanto tempo, ma ora mi trovo su questo monte e non so dove andare..."
“Lo immaginavo, qui spesso molti forestieri si perdono, non sei il primo".
“Ma sapresti dirmi dove mi trovo?"
“Siamo in una regione  non molto distante da casa tua, chiamata il Regno di Bardo”.
“Non è ho mai sentito parlare sinora, forse perché io non mi sono mai spostato molto per visitare la mia nazione”.
“E' una zona quasi disabitata e sconosciuta. I pochi abitanti che ci vivono sono sparsi in delle case rurali e sono abbastanza diffidenti con gli stranieri”.
“Non proprio, una signora mi ha fatto entrare a casa sua, ma poi non ha voluto darmi delle risposte, così ho continuato a vagare senza meta...”.
“Capisco. Ma non è facile uscire di qui senza una guida, sai?”
“E poi c'è sempre nebbia e freddo in questo posto, non si riesce mai a vedere a un palmo dal naso”.
“Lo so, ma io mi ci sono abituata. Abito a due passi da qui, se vuoi potresti accompagnarmi a casa. Vieni?”
“Si, perché no? Qui sono solo. Ma spiegami perché mi trovo proprio qui?”
“Lo scoprirai…”
Improvvisamente il sogno svanì e mi risvegliai di soprassalto come se qualcuno mi avesse strattonato. La nebbia cominciò a diradarsi e vidi un grande labirinto davanti ai miei occhi, così incuriosito mi avvicinai con l'intenzione di entrarvici. Giunto nei pressi dell'entrata, disegnato su di una roccia conficcata nel terreno, vidi un otre rosso con sette aperture e una scritta «Hun‐Tun». Non detti molta importanza a quel dipinto così antico, magari era stato messo lì per dare un nome a quel posto, e decisi comunque di entrare nel labirinto. Le siepi che lo costituivano erano alte circa tre metri, non erano curate e dei rovi e piante selvatiche dall'odore sgradevole, crescevano un pò ovunque. Notai dopo aver girato a lungo di ritrovarmi sempre nello stesso posto, così decisi che era inutile continuare a vagare senza sosta e stanco anche per il dolore al cuore, mi fermai oramai rassegnato. Sedendomi a terra, notai che vicino ai miei piedi c’era un amuleto a forma di spirale, con un falco pellegrino incappucciato e al centro una scritta: «Post tenebras spero Lucem» e immediatamente lo raccolsi.
Il silenzio avvolgeva tutta la zona e mi faceva sentire ancora più solo, poi dopo alcuni minuti calò nuovamente una fitta nebbia e il freddo pungente cominciò a farsi sentire. “Ecco‐ pensai tra me e me‐ ora con questa nebbia non avrò neanche punti di riferimento. E' inutile andare avanti, da qui non uscirò mai...”
Ma non riuscii a finire il mio pensiero che scorsi giungere verso di me una figura di donna, vestita di bianco, simile a quella vista nel sogno.
“Ci conosciamo vero?”
“Non credo, tu mi conosci?”
“Ti ho vista in sogno, ti chiami Doroty, vero?”
“Si, ma come fai a saperlo?” domandò stupita la donna.
“Te l'ho detto, ti ho vista in sogno... Come facevi a sapere che ero qui?”
“In realtà non lo sapevo, ti ho trovato per caso, abito qui vicino e alle volte vengo qui per passare alcune ore nel silenzio e nella pace”.
“E non ti perdi mai?”
“Impossibile, conosco questa zona palmo per palmo, ci sono cresciuta qui”.
“Allora non ti dispiacerà se mi conduci fuori da questo posto, sono stanco di vagare senza meta”.
“Non preoccuparti, ora ci sono io qui con te. Ma dimmi come sei giunto fino qui?”
«Non lo so. E’ quello che vorrei sapere anche io… So solamente che stavo guidando e mentre guardavo dei passanti attraversare la strada, ho perso conoscenza e poi mi sono ritrovato sdraiato su un prato con un forte dolore al petto. Ho camminato per tanto tempo, per cercare di capire come sono arrivato e perché mi trovo in questa terra desolata”.
“Sei in quello che viene soprannominato il Regno di Bardo, in una valle circondata interamente da una catena di montagne altissime”.
“Bene, almeno adesso so dove mi trovo… E ora come faccio a tornare a casa? Io abito a New York e sono un dirigente di un’azienda, non posso assentarmi”.
“Temo che non sia facile uscirne, l'unica via di uscita è un varco sulla montagna, ma le strade sono impervie e piene di neve, ora è sconsigliabile avventurarsi”.
“Ma allora sono in un posto sperduto? Come è possibile? Chi mi ci ha portato?” cominciai a perdere la calma e soprattutto la speranza di rivedere i miei cari.
“Cerca di non innervosirti, è inutile. Se devo essere sincera, non sei il primo che si è perso qui”.
“Allora non mi resta che seguirti, vero?”
“Credo proprio che tu non abbia alternative al momento, ma se preferisci rimanere qui, fai pure”.
“No, sono stanco di vagare senza meta, almeno ora non sarò più solo...”
“Bene, allora seguimi, ci faremo compagnia a vicenda. Io vivo con alcuni servi da un paio di anni in un castello non molto distante da qui”.
“Un castello? Allora sei una principessa?”
“Si, mio padre era il re, ora sono io la Regina di questo Regno desolato, da quando mio padre alcuni anni fà è morto, colpito da un infarto”.
“Nel labirinto ho trovato questo amuleto, guarda” e lo mostrai a Doroty.
“Questo è un amuleto astrale. Alle volte nel mondo di Bardo compaiono questi provengono da un mondo parallelo al nostro. Qualche entità spirituale vuole indicarti il sentiero da seguire: il falco incappucciato è il simbolo dell’ardore spirituale ostacolato, della speranza nella luce di chi vive nelle tenebre. La spirale è invece il simbolo del viaggio dell’anima dopo la morte, che la conducono con i loro giri ordinati verso i luoghi centrali dell’essere eterno. Io ti consiglio di portarlo con te, ti proteggerà.”
Dopo una breve passeggiata giungemmo all'entrata di un immenso castello d’oro, dove due guardie dalle giubbe rosse e dall’aspetto angelico mi perquisirono e dopo avermi lanciato un'occhiata truce, mi lasciarono entrare nel cortile dove un'enorme fontana dall'aspetto inquietante troneggiava al centro circondata da piante altissime.
“E quella fontana cosa rappresenta?”
“Nulla, è solo una fontana con delle statue antiche, rappresentanti angeli. Vieni, ti mostro le mie stanze”
“Aspetta un attimo... Io sto guardando all'interno della vasca, ma nell'acqua non vedo la mia immagina riflessa. Come è possibile?"
“Nel regno di Bardo tutto ciò è possibile, non preoccuparti. Vedrai verificarsi alcuni fenomeni al di fuori della norma..."
Internamente il castello appariva in tutto il suo splendore: tempestato di pietre preziose e da imponenti arcate ornate da intricate intarsi, lasciava senza parole per la sua magnificenza ed io rimasi per alcuni attimi in silenzio ad ammirarne la bellezza. Salimmo una gradinata di almeno cento scalini, dove i quadri degli avi della ragazza ornavano le pareti e uno in particolare spiccava decisamente più degli altri.
“Scusami, ma perchè quel quadro è messo lì in bella vista?”
“Quello è il mio bisnonno, il Duca Leonard di Bardo, un uomo eccezionale, impavido, virtuoso e tutti lo chiamavano l'Illuminato, perché il suo corpo emanava una strana aura gialla. In vita si dice abbia compiuto anche alcuni miracoli”.
Rimasi alcuni minuti a guardare i quadri, poi giungemmo in un sala immensa  decorata con tanti arazzi rappresentanti scene di caccia, con un trono d’oro incastonato di diamanti al centro della stanza e un grande camino acceso,  dove aleggiava un forte profumo d’incenso e di rose.
“Ora devo spiegarti qualcosa di importante sul Regno di Bardo”.
“Parla pure, io ti ascolto..”
“Bene, devi sapere che qui tutti gli abitanti vivono in uno stato perenne di depressione, angoscia e di paranoia... Spesso molti mi riferiscono anche uno stato di incertezza su cosa succederà... Gli scienziati hanno compiuto diversi studi sulla popolazione, e la loro conclusione è che probabilmente il tempo particolarmente inclemente tutto l'anno, caratterizzato da nebbia, freddo e gelo, abbinato a un campo elettromagnetico più forte rispetto ad altre zone della Terra, provoca questi stati psicologici negativi. Quindi non devi preoccuparti se anche tu accusi gli stessi stati d'animo”.
“Lo so, in particolare da quando mi sono svegliato in questo Regno ho subito avvertito uno stato di angoscia e di paura su ciò che mi poteva succedere. E infatti non ho capito da dove potesse provenire il pericolo, ma evidentemente i motivi sono quelli che tu mi hai descritto. Solo che vorrei sapere da te, come fate a vivere in questo stato perenne di angoscia e incertezza?”
“E' difficile, si soffre molto, ma una volta all'anno stranamente queste sofferenze improvvisamente spariscono, le nevi si sciolgono e il tempo torna normale, e noi ci sentiamo rinati, felici come non ricordavamo da tempo”.
“E quando succederà la prossima volta?”
“Tra due giorni quando festeggeremo la festa della Luce. Allora ne avrai la prova”.
“C'è un'altra cosa importante che volevo dirti: se vuoi davvero andare via di qui, devi provare a scalare il monte Kaylasa, che dista pochi chilometri da qui, e giungere nella Terra Gelata dove vivono degli esseri giganti dall'aspetto minaccioso. Ti avverto, andrai incontro a dei pericoli che neanche puoi immaginare. Loro vivono in un castello di ghiaccio e sono i custodi del varco; non fanno passare nessuno a meno che tu non riesca a scoprire il loro tallone d'Achille. Questa è l'unica maniera  per accedere al varco Proibito e andare dall'altra parte dove troverai la strada per tornare dalla tua famiglia. Sei fortunato perché tra due giorni il tempo tornerà normale e le nevi si scioglieranno e forse ce la farai almeno a giungere al varco”.
“Quindi se non riesco a fuggire entro dopodomani, sarò prigioniero  per sempre di questo mondo?” chiesi in preda al panico.
“Purtroppo si. Almeno fino all'anno prossimo. Ma ti avverto, pochi sono riusciti a tornare a casa, e se non dovessi riuscire a fuggire, temo che sarai condannato a rimanere qui chissà per quanto tempo ancora...”
“Non posso rimanere qui, ho una famiglia che mi aspetta e che sarà preoccupata per me. Devo rischiare, costi quel che costi”.
“Potresti provare a comunicare con loro con il cellulare”.
“Ho già provato prima, è inutile, i campi elettromagnetici qui forse influiscono anche sulle linee”
“Devi prendere una decisione in breve tempo, devi incamminarti perché la strada da percorrere è lunga e impervia, e i pericoli che ti attendono sono tanti”.
“Stanotte dormirò qui, sono stanco, domani al levar del sole mi incamminerò e speriamo bene....”
Durante la notte feci un sogno stranissimo: mi trovavo in un mondo parallelo tenebroso, dove gli uomini conducevano una vita nella disperata ricerca della libertà persa in seguito agli errori compiuti. Io ero un delinquente che avevo rubato molto denaro soprattutto a gente povera e bisognosa e mi trovavo in una prigione tutta di ghiaccio, comprese le sbarre che sembravano d'acciaio per la loro consistenza. Piangevo perché mi sentivo senza speranza, e chiesi perdono a Dio per tutto il male compiuto, quando all'improvviso la prigione si sciolse come neve al sole, e io mi ritrovai in un prato verde pieno di rose rosse profumate, libero e felice di riassaporare il gusto di poter correre e saltare come un bambino.
La mattina  presto Doroty venne a svegliarmi e io dopo aver fatto colazione, mi vestii in fretta consapevole che il tempo a mia disposizione era pochissimo.
“Prima che tu vada via devo avvisarti: lungo il cammino incontrerai delle figure alle volte anche mostruose che vorranno farti del male. Non devi preoccuparti, non avere paura per quanto terrificanti possano presentarsi: sono infatti le tue proiezioni psicologiche, la primordiale manifestazione spontanea della tua mente, e non provengono da nessun luogo.  Alla loro vista pronuncerai le seguenti parole: “Mentre sono incalzato dall’oscurità e i selvaggi animali da preda ruggiscono, possa io acquistare l’occhio divino della saggezza e dissipare così le tenebre che mi avvolgono" Pronuncia queste parole distintamente e con chiarezza, comprendendo il loro significato, e non dimenticarle….”.
Doroty mi consolò dicendomi che lungo il cammino sarebbe stata spiritualmente con me sempre, soprattutto nei momenti più difficili, e dopo avermi dato una mappa per giungere alla Terra Gelata, mi abbracciò affettuosamente.
Uscito dal castello la nebbia era ancora più fitta di quella del giorno precedente, e un vento gelido soffiava contro di me. Provai nuovamente quel senso opprimente di angoscia e incertezza, e come se non bastasse un lamento indistinto giungeva da lontano, senza tuttavia lasciare intravedere nessuna figura umana. Dopo aver seguito la mappa, a un certo punto la strada improvvisamente si interruppe e mi trovai di fronte a un precipizio, di cui non riuscivo a distinguere la profondità. Da lontano un grido minaccioso si faceva sempre più vicino e vidi giungere una bestia a metà tra un lupo e un orso, un essere spaventoso dalle lunghe zanne e artigli lunghissimi. Avevo il terrore addosso, e per un attimo rimasi impietrito nel vedere quella bestia feroce giungere affamata verso di me. Ma mi feci coraggio, e guardando giù nel precipizio vidi scorrere l’acqua. Quindi avevo poca scelta, o tornare indietro o buttarmi nel precipizio e sperare di cadere nel fiume sottostante.
”Strano ‐pensai nella mia mente‐ sulla mappa non è segnato nulla, forse ho sbagliato strada...”
“No, non hai sbagliato" rispose una vocina flebile dietro di me.
“Chi sei?" domandai impaurito.
“Non ha importanza, vai avanti presto!!!"
Mi feci coraggio e mi tuffai nel precipizio, con il cuore che mi batteva a mille, e le mani che mi tremavano.
Caddi nell'acqua gelida, e per un attimo pensai che visto che non sapevo nuotare sarei sicuramente morto, quando vidi per un attimo passare accanto a me un grande tronco di legno e con forza mi aggrappai.
La corrente mi portò nei pressi di un lago, dove  nuotavano dei cigni indisturbati. Guardai sopra di me e vidi che la montagna che mi sovrastava era molto simile a quella della mappa di Doroty, perciò a quel punto ero sicuro di essere nel posto giusto.
Mi spinsi con la forza delle gambe fino alla riva e lì dopo aver dato un rapido sguardo alla mappa, individuai il sentiero che mi avrebbe condotto alla Terra Gelata dei giganti. La strada era dissestata e molto ripida, ricoperta da una melma di colore verdastro e maleodorante.
Appena mossi i primi passi, mi ritrovai improvvisamente in un abisso di tenebre e di silenzio. Mi sentivo solo e davanti ai miei occhi c’era il nulla: rimasi immobile sentendo dietro di me una mano gelida che cercava di impedirmi di andare avanti. Dopo alcuni secondi interminabili, la mano lasciò la presa e io mi girai vedendo di fronte a me un uomo che conoscevo bene…
“Sono Paul, ti ricordi di me?”
Di fronte ai miei occhi vidi un uomo dalle vesti lacere, gli occhi pieni di rabbia e in mano portava una lampada.
“Si…‐balbettai‐ ci siamo conosciuti almeno venti anni fa nella periferia di New York”.
“Io non trovo pace, sono sopraffatto dal sentimento di vendetta nei tuoi confronti..”
“Capisco” risposi sommessamente.
“Io non rappresentavo nulla per te, vero? Solo un povero vecchio malandato e senza casa… Pertanto per puro divertimento, quella sera del 31 di ottobre mi hai ucciso cospargendomi della benzina addosso e poi mi hai dato fuoco… Lo ricordi vero?
Inizialmente non ebbi il coraggio di rispondergli, poi replicai: “E’ vero, ma sembravi morto, e io e i miei amici volevamo solo divertirci un po’, non volevamo ucciderti”.
“Peccato però che io sia morto tra atroci sofferenze… Ora però voglio la mia vendetta, mio caro…” gridò con occhi pieni di rabbia.
E prese un’ascia e cominciò a rincorrermi mentre io disperatamente cercavo di sfuggirgli, ma dopo aver corso per alcune centinaia di metri, il mio cuore cominciò a farmi male di nuovo, e allora ricordandomi le parole di Doroty mi girai e tenendo in mano l’amuleto recitai la formula: “Mentre sono incalzato dall’oscurità e i selvaggi animali da preda ruggiscono, possa io acquistare l’occhio divino della saggezza e dissipare così le tenebre che mi avvolgono”.
La figura di Paul si dissolse in una nebbiolina bianca, tra le grida disperate dell’uomo. Le tenebre si dissolsero, e io potetti così continuare il mio cammino.
A fatica riuscii a riprendere la mia scalata, che di fronte a me si presentava sempre più ripida e piena di incognite; il dolore al petto cominciò a farsi sentire nuovamente assieme a un senso opprimente di angoscia.
Quando mi appoggiai un attimo a un salice piangente per riprendere fiato, notai che i suoi rami cominciavano ad attorcigliarsi attorno a me, e alcuni animali, tra cui una pantera, si avvicinarono sempre più minacciosi…
“Ecco ora è la fine…” pensai tra me e me.
“Siamo venuti qui per prenderci la tua anima, così come tu hai preso ingiustamente la nostra” disse una voce alle mie spalle.
“Ma voi chi siete?” chiesi impaurito.
“Siamo la coscienza di tutte le piante e gli animali a cui tu, durante la tua stolta vita hai negato il diritto all’esistenza, ricordi?”
“Si, lo ammetto ho contribuito a distruggere foreste e animali… Non mi sono comportato molto bene con voi, avete ragione, ma perdonatemi per favore!!!” supplicai inginocchiandomi ai piedi di una pianta.
“E’ tardi, e poi noi vediamo che nel tuo cuore non sei pentito, pensi solo al denaro. Pertanto vogliamo la nostra vendetta: la tua anima errerà per sempre senza trovare pace…”
A quel punto presi nuovamente in mano il talismano e ripetetti ad alta voce la formula di Doroty, e come per incanto tutti gli animali e le piante sparirono.
Cominciai la lunga scalata e dopo aver camminato quasi per tutta la giornata, al tramonto giunsi finalmente al castello di ghiaccio, circondato da un enorme foresta tutta ghiacciata.
“Finalmente ce l'ho fatta, pensavo di non avere le forze per giungere sino a qui” pensai tra me e me.
Ma non feci in tempo a girarmi, che una mano erculea mi sollevò da terra, e mi scaraventò al suolo pesantemente.
“Come osi giungere sino a qui?” gridò un gigante alto circa tre metri e tutto ricoperto di peli.
“Io chiedo il permesso di oltrepassare il Varco Proibito”.
“Permesso negato” rispose in maniera secca il gigante, scuotendomi per la testa.
“Io devo andare via di qui, non posso restare”.
“Nessuno può oltrepassare il Varco, solo i meritevoli. Se ritieni di esserlo, allora ti condurrò dal nostro Re, e poi lui giudicherà...»
Il gigante non aveva per me il minimo rispetto, e mi incatenò; io non potevo fare altro che essere trascinato passivamente da quel essere a metà tra l'umano e il bestiale, più simile a un enorme scimmione nero e peloso, dalle braccia possenti.
Mi condusse all'interno del grande castello di ghiaccio, che impressionava per la sua imponenza. Sul portone vi era disegnato un simbolo rappresentante la barca solare sorretta dai flutti, sulla quale si trova Rà, il dio del Sole; di fronte un defunto inginocchiato in segno di adorazione. Le guardie sparse un pò ovunque, ridevano e mi sbeffeggiavano nel vedermi passare, consapevoli che era impossibile riuscire nella mia ardua impresa.
Giunsi di fronte al Re, che dopo avermi guardato attentamente, mi domandò: “Come hai fatto a giungere sino a qui? E chi ti ha indicato questo posto?”.
“Doroty la Regina del Bardo, mi ha dato la mappa per giungere sino al Varco Proibito”
“Folle!!! ‐tuonò il Re‐ Te l'hanno detto che è quasi impossibile oltrepassarlo?”
“Non ho scelta, devo tornare a casa” gli risposi risoluto.
“Allora visto che sei così determinato, dovrai affrontare delle prove durissime. Sei disposto ad affrontarle pur di tornare dalla tua famiglia?”
“Si, lo sono!!!” affermai senza esitazioni.
“E sia allora, portatelo al Varco!!!” ordinò il re.
I Giganti mi portarono nel giardino del castello e lì mi trovai improvvisamente di fronte uno scenario che mai avrei immaginato di vedere: il castello di ghiaccio era scomparso, e mi trovai nel cimitero della mia città natale di fronte proprio alla mia tomba. Un brivido d’orrore mi attraversò tutto il corpo, vidi la mia data di nascita e di morte, corrispondente esattamente al giorno in cui avevo lasciato New York, e tanti fiori che circondavano la mia lapide.
“Sono morto, sono morto!!! ‐gridai con tutte le mie forze‐ No, non è possibile…”
Io infatti non ho mai creduto nella vita dopo la morte, per me sarebbe finito tutto lì, con il mio corpo  a putrefarsi fino a diventare polvere. Avevo sempre avuto una visione materialistica della vita, pertanto avevo sempre pensato che bisognava godersi appieno l’esistenza senza preoccuparsi, tanto non ci sarebbe stato nulla dopo. La religione insegnatami dal mio parroco, non l’avevo mai presa sul serio, pensavo fossero solo superstizioni di popoli primitivi, che si ostinavano a dare una continuità e un senso a una vita che secondo la mia esperienza non esisteva… E poi ero convinto che tutte quelle promesse sulla vita ultraterrena fossero solo un astuto stratagemma per consentire di manipolare quanta più gente possibile, anche grazie alla paura dell’Inferno. Ma allora se non esiste niente, perché stavo ora di fronte alla mia tomba? Stavo sognando? Questi dubbi atroci mi attanagliavano, e dentro di me sentivo che avrei dovuto subire una qualche punizione per il male fatto agli uomini e alla natura.
Cominciai a pensare intensamente a mia moglie, che mi aveva tanto amato, pur non sapendo nulla del mio passato così pieno di errori. Non ho mai creduto in Dio, ma in quel momento credetti opportuno rivolgermi a Lui, nella speranza di poter uscire da quell’incubo e di potermi ricongiungere a lei.
La visione della mia tomba svanì, e mi ritrovai in un deserto sconfinato, dove il sole era cocente. Di fronte a me comparve un enorme scorpione, il quale tenendomi stretto con le sue tenaglie mi disse: “Ecco è giunta l’ora della giustizia: ora vivrai per sempre in questo deserto perseguitato dagli animali e dalle piante che tu hai distrutto per la tua sete di denaro!!!!” . Mi lasciò cadere violentemente a terra e mentre le speranze di ricongiungermi alla mia famiglia erano oramai perse, e mi sentivo oramai solo e disperato, una piccola scintilla di luce inizialmente tenue, e poi via via sempre più forte e grande, si avvicinò a me e in quella sfera luminosa scorsi il viso di mia moglie che mi sussurrò: “Amore mio torna, dove ti trovi adesso? Posso solo sentire la tua voce nella mia mente che mi chiama incessantemente…”
“Sono qui Diana, nel Regno di Bardo, sono morto…”
“Non può essere, io ti vedo addormentato davanti ai miei occhi. Torna indietro, ti prego, non lasciarmi sola…”
A questo punto una voce possente interruppe la nostra conversazione con queste parole: “Hai ottenuto la possibilità di tornare sulla terra, ma non sprecarla, è l’ultima. Dimostra di essere degno dell’amore di tua moglie, e non sbagliare più”.
“Si, non mi comporterò più male, lo prometto”.
Davanti ai miei occhi si materializzò uno strano simbolo, al cui centro vi era un eptagramma: istintivamente toccai con la mia mano il centro della stella e in quel momento mi sentii come risucchiato da un vortice. Aprii di nuovo gli occhi trovandomi di fronte il viso angelico di mia moglie.
“O mio Dio, si è svegliato!!! Venite presto!!!” gridò rivolgendosi agli infermieri.
Gli infermieri e il medico nel vedermi sorridere, divennero pallidi in volto e guardandosi tra di loro, sussurrarono: “E’ impossibile, il suo cuore ha cessato di battere per ben tre volte, i danni al cervello dovevano essere irreversibili, ma è tornato normale… E’ un miracolo!!!”
Mia moglie mi abbracciò, e io non potetti trattenere le lacrime, poi le confessai: “Ho visto l’aldilà, ora so cosa mi aspetta dopo la morte”.
I presenti, ascoltate quelle parole, rimasero ammutoliti.
“Si, è così e ora voglio cambiare vita per sempre”.
Raccontai la mia esperienza nei minimi dettagli, mentre prendevo coscienza che qualcosa realmente dentro di me era radicalmente cambiato, e quella che ai presenti poteva apparire solo come un brutto incubo, per me invece era realmente successo, lo intuivo pur non sapendolo esprimere con le giuste parole.
Rimasi ricoverato in osservazione altri dieci giorni e tornai a casa completamente guarito, ma uscendo dall’ospedale per un attimo ebbi il dubbio che tutto quanto mi era accaduto fosse solo un sogno, quando incrociai lo sguardo di Doroty, che mi sorrise. Io la guardai per un attimo con stupore, poi capii che con la sua presenza voleva confermarmi che tutto quanto era successo era vero, e che una nuova vita all’insegna dell’amore si apriva davanti a me.