Il ricordo dei suoni

Vorrei avere un altro suono, quello di una trombetta per bimbi, un sonaglino, in fondo alla caverna dei ricordi, purtroppo c’è solo lui, tremendo, possente, inconcepibile, per un cervello appena sbocciato. Un rifugio, sacchi di sabbia, a coprire la luce di una finestrella. Una lunga, serpiginosa, buia, scala porta in alto e cela papà, che non vedo. “Papà non può stare al chiuso, sta sulla porta, rischia la vita”. – Mia madre, rassegnata, di cui sento soltanto la voce, perché, difronte, ho i pizzi odorosi di nonna Olga, i suoi capelli di fine rame. Apre la piccola scatola di mentine colorate, per rasserenarmi. Lei porta con se anche la bottiglietta di colonia francese, da passare sotto il naso, in caso di malore. Il tuono è fragoroso. Un suono inatteso, sconosciuto, che fa vibrare la testa e il corpo. Volano vetri, come neve su tutto. Il telo dei sacchi, lacerato, fa colare sabbia dall’alto. La luce è andata via. Sento piangere, pregare, inveire. Vedo maschere, più che volti, nel lampo di un cerino acceso. (Quest’odore di cera appena bruciata, mi resterà per la vita.) Mamma urla: ‐ “Tullio, Tullio, dove sei?” ‐ Sto vomitando la cena sulle scarpe. Un liquido caldo mi bagna i calzini. Qualcuno mi pone una mano tiepida sulla fronte. La colonia di nonna Olga va su, graffiando le narici, inodore. Tornato il silenzio, troveremo all’uscita, in via Casaregis, a Genova, un enorme fosso, al posto del palazzo, affianco al nostro. Mi meraviglia che sia pieno di acqua, quasi un laghetto. Ci potrò giocare? Papà c’è, è salvo! Siamo felici.