Il telefono, la tua voce.

Il telefono, la tua voce
Lei non è niente male. Tubino nero, abbronzatura da vera professionista, acconciatura della serie “sono la nipote di Aldo Coppola”, verdi gli occhi. Il suo decolte non ha bisogno del pusch up e, naturalmente, gambe e culo da prima pagina. Età anagrafica, quaranta, età visiva, trenta. In parole povere una gran figa!.
Lui fatto con lo stampino del “classico professionista”. Divisa d’ordinanza. Gessato blu, poschette annessa, camicia bianca, Churchs d’ordinanza, abbronzatura comprata. Niente lasciato al caso. Rolex GMT Master vetro plastica e, per dessert, fisico ordinato in palestra.
Li osservo. Più forte di me. Sono posizionati accanto al mio tavolo. Come tante sere, ceno da solo. Come tante sere, oltre a godere cenando, godo ad ascoltare quello che i miei ignari vicini si dicono. Curioso io?. Si, e “dimolto”, signor giudice!.
“Ah, fossi io al suo posto, che gnocca!”. Invidioso?. Col cazzo, lo considero solo un allenamento mentale. La volta che mi capitasse, e capiterà, saprò già come muovermi. Si impara anche guardando, mia cara professoressina.
“Amore sai che Martina è tornata ieri da Bali?. Devi vedere che abbronzatura.”
Nemmeno gli avessero annunciato lo scoppio della ottava guerra mondiale, l’uomo fatto con lo stampino, in un nano secondo, fa scattare la mano destra e afferra il suo I Phone, posizionato naturalmente sul tavolo e... e a confronto, Flash Gordon, avrebbe fatto la figura della lumaca. Con la stessa rapidità inizia a digitare sulla tastiera.
Se la figa in tubino, in quel momento, gli avesse detto “amore mi stanno violentando due nomadi mongoli”, lui avrebbe risposto “si, anche io cara”.
“Guarda amore, Bali dal satellite”.
“Guarda amore, questi sono i migliori ristoranti”
“Guarda amore, un filmato del Kudeta, fantastico, noo?!”
“Garda amore stò cazzo”, dico io, ma non ti accorgi che a lei non gli può fregare meno di una sega di Bali e del tuo I Phone?. Dimenticavo, gli spaghetti allo scoglio, erano andati a puttane.
Lei mi dice di scrivere
Dodici ottobre 1975, ore 13,33, pioveva.
Siamo tutti seduti a tavola per il pranzo. Babbo, mamma e noi tre fratelli. Mangiamo, parliamo, scherziamo, quando…quando…driiinnn, driiinn, squilla il telefono. Immediatamente la temperatura del tinello si abbassa di 7/8 gradi centigradi. “Oh cazzo, e ora?!”.
“Chi è quel maleducato che telefona all’ora di pranzo?!”. Questo disse il babbo.” Forse hanno sbagliato numero?!”. Questo io dissi, mentendo. “Rispondi”. Rispondo. “No, ci sentiamo dopo, si….stiamo…mangiando”. “Ma che razza di gente frequenti, dove l’anno lasciata l’educazione, in soffitta!!”.
Ehi boys, non sono sotto l’ effetto di droghe, riporto solo fedelmente quello che accadeva in tutte le famiglie italiane nel 1975.
Lei mi dice di scrivere
Dicesi coprifuoco, un ordine consistente nell’obbligo di di restare nelle propie abitazioni durante determinate ore.
Il coprifuoco vero e proprio scattava in contemporanea allo squillo del telefono dopo le 21,31. Partivano immediatamente le sirene. Elmetto e maschere anti gas a portata di mano. Calava il panico, per la gioia dei nostri canarini, ma non la nostra.
“Mio Dio, cosa sarà mai successo, per telefonare a questa ora?!”. Questo diceva il babbo. Questo faceva il babbo, rispondeva. “Pronto, casa Ruzzi, con chi parlo?”. “Buonasera, c’è Ignazio, sono una sua amica”.
Credo che Mascagni si ispirò a mio padre, una volta terminata la telefonata.
Lei mi dice di scrivere
Dalla notte dei tempi, di sera, la cena, il dopocena, erano dedicati alla parola, alle parole, ai racconti. La giornata veniva raccontata, il passato veniva richiamato, il presente veniva giudicato. Quante storie, davanti al caminetto. Rito, modo di interpretare la vita, di capirla, di gustarla. Trasudavano le tossine e la fatica della giornata. Ci si conosceva. Ci si spogliava. Ci si rilassava.
Come dice sempre il mio amico psicologo, “questo è terapeutico!”.
I bambini, come la cartasuga, si impregnavano di quelle esperienze passate, le assorbivano, per stamparle nel loro futuro.
Pensate quello che cazzo vi pare, ma anche questo li preparava alla vita.
Oggi tendiamo ad estraniarci, ci creiamo un mondo parallelo, il nostro interlocutore era fatto di “ciccia”, oggi di silicio. Un tempo veneravano la Dea Cali’. Oggi è stata soppiantata dal’ I Phone.
Ci rifugiamo in noi stessi, virtualmente ci estraniamo. Paura, insicurezza, noia, menefreghismo, disagio, autodifesa?. Sò un cazzo. Chiedete a chi ha studiato!!. Controindicazione: siamo sicuri che siamo così grazie a quelli che hanno studiato?!.
Fossi più intelligente, forse lo saprei.
Le portate, nelle cene, non si chiamano più “pappardelle alla romana”, “bistecca”, prosciutto e melone”, “pasta e fagioli” ma Samsung, Nokia, Apple, Erikson, Logitech.
Mai pronunciare o dire parole inusuali, Wikipedia è in agguato!!.
Se , in un ristorante, la Domenica, famiglia riunita, vedi i figli dei commensali ingobbiti e con lo testa piegata verso terra, non ti devi preoccupare.
Colpa del rachide cervicale?. Colpa della scoliosi?. No, cari miei. Trattasi di Game Boy.
Lei mi dice di scrivere
Tifo per i bambini. Loro, nati già drogati, dai vari Game Boy, puscher i loro genitori. Da ragazzo, ti mettevano Biancaneve e i sette nani o la bella addormentata nel bosco, quando si volevano rilassare.
Nostalgico?. No, osservatore!.
Ogni anno, ad Ottobre, all’uscita della scuola, terza o quarta elementare, veniva distribuito il mitico album delle figurine Panini dei calciatori.
Che gioia collezionarle, che gusto barattarle con gli amici per poter finire prima la raccolta.
“Ce l’ho!, ce l’ho!, mi manca!, doppione!!”. Frase ricorrente durante la ricreazione.
“Ce l’ho!, ce l’ho!, mi manca!, doppione!!”. Frase ricorrente oggi fra cinquantenni al ristorante. Figurine?. No, le applicazioni per l’I Phone.