Il Trench di Alan Ladd

Raramente, percorrendo una vita intera, si può cambiare disposizione, in maniera così radicale, verso un elemento della natura, quale è la pioggia, come è accaduto a me, negli anni. Sí, Genova è una città piovosa, ma la sua pioggia, anni fa, era lenta, impalpabile, insistente pioggerellina. Non ho portato mai, con me, l'ombrello, da ragazzo. Era un attributo per "figie". Si poteva passeggiare per ore, lungo i viali alberati della circonvallazione, la pioggia sembrava non volerti bagnare. Le
violente piogge , incontrate a Napoli , divennero per i miei amici genovesi, piogge dal carattere equatoriale, che ben si addicevano al loro concetto di profondo sud, in cui io mi ero andato a cacciare. Avevo ereditato, in vita di mio padre, un suo vecchio trench. Qualche macchia vistosa, mamma l'aveva ridotta con la benzina, il cui odore tendeva a restare nel tempo. Il trench era un icona nel vestiario dell'epoca. Alan Ladd, nella lotta ai gangsters newyorchesi, ne aveva impresso l'immagine in molti films. Humphrey Bogart lo riprese, subito dopo,in Casablanca, e non lo abbandonó più. In realtà poteva sembrare a prima vista un camicione beige, ma due tocchi magici, lo trasformavano in oggetto da piacere. Il bavero alzato ad arte, e la cintura stretta in vita. Solo allora si entrava, in un attimo,nel personaggio holliwoodiano. Averne uno comunque, voleva significare di possedere più chances con le ragazze. Mi ricordo che andavo, in terza media, ad aspettare, all'uscita dalla scuola, Betty, un caschetto nero su di un volto da primavera del Botticelli.
In un vespasiano ottocentesco, nei giardini della scuola, mi ero precedentemente allenato ad un gesto simbolico, che avrebbe accresciuto il mio fascino. Sigaretta penzolante all'angolo della bocca, gesto elegante della mano destra, nel dare fiamma all'accendino, a pietra focaia. Un solo colpo sicuro, quasi uno schioccare di dita. E oplá: la sigaretta era accesa. La prima boccata, al mentolo, per non vomitare. Una nuvola candida a coprire il mio rossore. Lo sguardo fisso su di lei, che usciva, parlando alle sue compagne. Cercavo i suoi occhi.
"Ciao, Betty!" Mi usciva appena, quasi una implorazione.
Lei mi regalava un tenue, indecifrabile sorriso.
Un lampo e via.
La ricordo ancora.