Il Villino Azzurro

 JESI  (Ancona) gennaio 1958.

La sveglia seguitava a suonare insistentemente, Lalla allungò un braccio e la incolpevole  sveglietta volò a terra, come inizio di giornata non era male, maledizione! Il tempo non doveva essere dei migliori, i dolori reumatici di Lalla, sessantenne, ne erano un chiaro sintomo…
Fuori le gambe dal letto, vestaglia indossata, recupero della sveglietta, inutile guardarla, erano le otto come tutte le mattine.
Ed ora sveglia alle ‘signorine’, giornata di partenza, era finita la quindicina, il treno per Roma era alle dodici.
Una spiegazione per i lettori più giovani. Nel 1958 erano ancora ‘in funzione’ i casini, insomma le case di tolleranza, quella che dirigeva Lalla era il ‘Villino azzurro’ costruzione fuori dal centro cittadino di Jesi, vicino al cimitero e le ‘signorine’ erano le come dire, senza offendere nessuno, le mignotte, le puttane,  le troie insomma quella gentili e meno gentili ragazze che si prostituivano, solo che allora erano tutelate dalla legge e potevano esercitare ,la professione dentro locali chiusi non come ora…lasciamo perdere!
“Ragazze sveglia, la colazione è pronta, fate le valige, il treno per Roma è alle 12.”
Buongiorno, sei buongiorno come quante erano le signorine ancora assonnate, non truccate ed in vestaglia.
“Lalla ci dispiace andar via, sei la nostra amica di ‘Furlè’, ti vogliamo bene.” (Furlè sta per Forlì).”
“Adesso mi fate commuovere, niente lacrime, non posso lasciarvi qui ancora, stanno venendo sei nuove ragazze, forza…”
Fuori in attesa due taxi, i conduttori Settimio e Quinto erano di casa sia come conduttori di auto sia come…
All’arrivo del treno scambio di baci e abbracci con le nuove sei venute:
“Come si sta a Jesi?”
“Bene, la maitresse Lalla è un’amica, vi troverete bene.”
Era sabato, il pomeriggio era in programma la sfilata in carrozza per il corso cittadino per poi ‘approdare’ al caffè Bardi il locale più inn della cittadina.
Il perché di quella sfilata era facile da comprendere, i signori maschietti sia scapoli che ammogliati potevano vedere la ‘merce’ vocabolo spiacevole ma purtroppo in uso fra la gente frequentatrice del Villino Azzurro, appuntamento dopo cena alle 21 solo per gli scapoli, gli ammogliati si guardavano bene dall’uscire senza motivo il sabato sera.
Le sei nuove: Margherita anni 25 di Porto Marghera, bionda non naturale, Aurora 26 anni bionda naturale di Frascati,  Lilla (Calogera) anni 27 nera come un tizzone di Caltanissetta, Carmela anni 30,  1,80, castana di Caserta, Annalisa anni 21 bruna, fiorentina, Arianna, anni 28, castana di Fiesole.
Nel locale c’erano anche dieci amici al bar come la canzone, aspettavano la demoiselles, avevano la complicità di Gilda la capo cameriera, di Ezio il barman e di altri due giovani camerieri che avevano loro riservati due tavoli vicino alle gentili ‘signorine’, erano ovviamente scapoli e tutti con un soprannome:
Mario ‘alcolino’ per la sua propensione per l’alcol;
Umberto ‘il solitario’ quando poteva si rifugiava in una casa di campagna;
Alberto ‘il bello’, piaceva alle femminucce;
Marco ‘il moscovita’, era iscritto al partito comunista;
Massimo ‘scarpe pulite’, il perché era facile arguirlo;
Giulio ‘il pilota’, istruttore di volo;
Maurizio ‘pinocchio’ per il lungo naso;
Augusto l’elegantone’, amava i bei vestiti,
Gennaro ‘ciccio bomba’, per il pancione;
Gianni, suo cugino, ‘lo smilzo’ ovviamente tutto pelle e ossa.
Nel giro della Jesi bene erano conosciuti col soprannome dispregiativo de’ “i paccatori’.
Alberto anche a nome degli amici, si avvicinò ai tavoli delle ‘Signorine’ e, dopo un finto baciamano a Lalla, si presentò con la promessa che si sarebbero fatti vivi alle 16 di lunedì, all’apertura della casa. Il perché di quel giorno e di quell’orario presto spiegato:
Lalla aveva una propensione per i dieci (li chiamava i miei nipotini) se li abbracciava (ci marciava) pur sapendo che data l’età…Il pomeriggio c’era poca gente ed i ragazzi potevano intrattenersi con la signorine a parlare ed a scherzare nella sala comune  prima di andare in camera.
‘In camera’ era il grido imperativo che la maitresse ‘sfoggiava’ quando qualche cliente era dubbioso su quale ragazza scegliere: “Qui si viene per chiavare e non per perdere tempo!”
Gli orario della casa: tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 20, poi dalle 21 alle 23, la domenica solo il pomeriggio dato che la mattina Lalla, seguita da composte signorine con velo nero in testa, si recavano a messa nella chiesa del vicino cimitero con gran gioia del parroco, il trentenne don Gianni che era apprezzato in curia per aver riportato nel gregge delle pecorelle smarrite.
C’erano nella casa dei momenti che la sala comune veniva chiusa in quanto era in arrivo qualche personaggio importante e danaroso che non voleva essere visto dalla plebe (fra questi anche don Gianni, pure i preti hanno diritto a sc….e no?).
I dieci ne facevano di tutti i colori, una era’ la conigliata’.
I non magnifici a bordo delle loro vetture, di notte, spaziavano nei sentieri dei paesi viciniori. Con le luci dei fari, abbagliavano conigli, lepri ed ogni altro animale commestibile per poi ucciderli a fucilate. Tutti finivano in padella cucinati dalla mamma di Gennaro che abitava in una villa al viale Cavallotti.
Non tutto era però rose e fiori:
Mario era il figlio di un titolare di una ditta di ferramenta e non sempre il genitore era propenso a sostituirsi al figlio nella vendita;
Umberto doveva seguire i contadini nei possedimenti dei parenti, in parole povere faceva il fattore;
Alberto frequentava il terzo liceo classico;
Marco era figlio di un avvocato, doveva seguire le patrie cause;
Massimo figlio di un ristoratore, doveva far la spesa e seguire i personale nel locale;
Giulio era pilota e istruttore di aerei nella vicina base di Falconara;
Maurizio figlio di un proprietario di un negozio di tessuti, doveva seguire i commessi e lui stesso le vendite;
Augusto figlio di una titolare di una boutique di lusso, era abilitato al mestiere di sarto che doveva esercitare lui stesso insieme a vecchie signore per confezionare abiti; talvolta nei suoi locali avvenivano delle sfilate di moda con magnifiche modelle off limits per lui e per i suoi amici;
Gennaro e Gianni erano figli di industriali la ditta F.I.M.A. Fabbrica Industriale Macchine Agricole. Non era per loro tutte rose e fiori, i relativi genitori pretendevano (ed ottenevano) che i figli imparassero il mestiere di operai  prima di mettersi dietro una scrivania.
Avevamo lasciato la banda a tavola a casa di Gennaro, tutti tranne Giulio che era a Falconara con un gruppo di aspiranti aviatori quando giunse una telefonata.
Aveva risposto Gianni che, bianco in viso:
“Ragazzi Giulio è morto, il suo aereo è precipitato nei pressi di Cingoli, lo stanno cercando polizia e Carabinieri, andiamo anche noi.”
Tutti in macchina, Staffolo, Cupramontana e poi nei sentieri illuminati dalle  luci delle forze dell’ordine. Solo all’alba fu ritrovato l’aereo con Giulio ed un allievo pilota morti.
Ai funerali aveva partecipato tutta la città, il padre di Giulio era un generale dell’aeronautica in pensione molto conosciuto per le sue opere di beneficienza.
I ragazzi erano in fondo al corteo, distrutti, non si può morire a venticinque anni, invece…
Quell’episodio doloroso aveva lasciato il segno fra i giovani, avevano reso partecipe del lutto Lalla e le ragazze, abbracciati a loro senza andare in camera, tutto dire.
L’estate aveva portato alla dispersione del gruppo, a settembre un sabato, al bar Bardi:
“Nipotini miei, dove siete stati a far danno, venite vi presento le nuove signorine, guardate che belle!”
Effettivamente la ‘merce’ era migliorata, tutte e sei giovanissime, si erano sedute sulle gambe dei ‘paccatori’ quando intervenne Gilda:
“Ragazzi c’è gente che guarda, i padroni non vogliono certe scene, vi prego!”
Quel rientro fu favoloso: Lalla permise che i nove  passassero la notte con le ragazze, cosa assolutamente proibita dalle leggi di PS. e così per la prima volta i ragazzi nudi circolarono per la casa scambiandosi le donzelle che avevano profumatamente pagato facendo scempio dei loro risparmi.
Una sera tutti riuniti a casa di Gennaro tranne Gianni che era a Bologna :
“Ragazzi una notizia buona ed una cattiva.”
Coro: “Prima la buona.”
“Lalla è stata trasferita al casino di via della Scrofa a Roma, ci ha invitato, la cattiva è che Gianni…”
“Gianni?”
“Ha un tumore al cervello, non è operabile, lui non lo sa, non ha molto da vivere.”
Il gelo era sceso sulla combriccola, i ragazzi si guardavano in faccia ammutoliti, senza parlare decisero di ritirarsi ognuno a casa propria.
Al rientro di Gianni a Jesi grandi risate decisamente fasulle:
“Tutto bene vero? Come sono le bolognesi, hai provato la loro specialità…”
Gianni non rispondeva che a monosillabi, forse aveva capito.
Forse per vigliaccheria che tale non si può chiamare in casi simili, i giovani non andarono più a trovare Gianni tranne suo cugino che forniva notizie:
“Ormai non parla più, è molto dimagrito” non che prima fosse grasso tanto da chiamarsi ‘lo smilzo’ ma ora…
Dopo una settimana i funerali: la F.I.M.A. chiuse per un giorno, presenti tutti gli operai  ‘colleghi’ di Gianni che aveva vissuto fra di loro, una commozione generale di tutta la città.
La combriccola aveva perduto l’allegria, per rimettersi in sesto ’Ciccio bomba’ Gennaro propose un viaggio a Roma per andare a trovare Lalla che, alla notizia telefonica del loro arrivo, si mise a piangere, evidentemente rimpiangeva i nipotini.
In tal senso ci fu un ‘teatrino’ quando la banda dei sette (Umberto aveva comunicato impegni di lavoro) entrò trionfante in via della Scrofa.
“Nipotini miei” e giù a piangere dinanzi ad un  pubblico  eterogeneo e romano il che vuol dire sfottò a non finire.
“Lasciateli stare stì quattro froci, andate in camera.” Lalla non aveva perso mordente ed aveva sfoggiato il suo linguaggio preferito.
Con Lalla in mezzo andarono al vicino ristorante ‘La greppia’ e provarono tutte le specialità della casa tutti, con in testa Gennaro ‘Ciccio bomba’, aumentati notevolmente di pancia.
Dopo una settimana da turisti, imbevuti di fori e di scavi, dopo aver gettato una monetina nella fontana di Trevi per ‘fatte tornà’, i sette ritornarono alle incombenze jesine con la promessa a Lalla di andare ancora a trovarla.
Ma un crudele destino aveva preso di mira i baldi giovani.
Mario ‘alconino’ era ricoverato all’Ospedale ‘Le Torrette’ di Ancona, il suo fegato non reggeva più alle bevute del suo padrone  e si era  procurato un bel carcinoma.
Il brutto di queste malattie è quando l’interessato si rende conto della loro gravità. Mario cercava lui di tener su il morale dei compagni:
“Si muore una sola volta, fatemi un bel funerale, voglio che tutta Jesi si ricordi di Mario quello delle ferramenta e…”
Non ci si  abitua mai alla morte degli amici, non averli più fra i piedi, niente più mangiate pantagrueliche nelle trattorie di campagna, niente più Villino Azzurro, tutto finito dietro una lapide, che tristezza!  Ad Alberto ‘il bello’ vennero alla memoria i versi dei ‘Sepolcri’ di Ugo Fosco:
“Anche la speme ultima dea fugge i sepolcri e involve tutte cose l’oblio nella sua notte.”
L’episodio che distrusse il morale della compagnia fu la morte di Umberto. ‘Il solitario’. Si era sparato alla testa con la pistola di suo zio fattore ma il motivo?
Fu  ricercato nella sua vita passata. Il padre, ufficiale dell’Esercito, con i suoi modi aveva portato la madre al suicidio, si era gettata dalla finestra. Umberto era rimasto con lo zio Ettore fattore, che, preso dal lavoro, lo aveva trascurato ma forse non era stato quello il vero motivo.
Si appurò che Umberto aveva preso a frequentare il proprietario di un negozio di fiori, omosessuale, ricco  che lo riempiva di soldi e di regali ma questa ‘vicinanza’ lo aveva portato a non  apprezzare più le femminucce cosa da lui non accettata, insomma forse era diventato omosessuale.
I dieci ‘paccatori’ si erano ridotti a sei, il destino e la lontananza di Lalla,  per loro punto di riferimento, aveva mandato in pezzi la loro allegria.
Lalla era stata sostituita al villino al ‘Villino azzurro’ da un’anonima Maria, una  ex puttana sdentata, sgarbata, ignorante.
Passava la maggior parte del tempo seduta alla cassa. Per invogliare i clienti a fruire delle grazie delle signorine si buttava sul monologo: Signori in camera p…o dio, qui si viene per ciullare e non per perdere tempo!”
La domenica aveva perso la buona abitudine di portare le signorine in chiesa con grande dispiacere di don Gianni il quale era costretto all’astinenza sessuale non potendo più entrare nel villino usufruendo della chiusura della sala comune.
La conclusione di questo racconto:
. Lalla era morta, prima aveva inviato dei soldi a don Gianni per essere tumulata nel cimitero di Jesi e don Gianni aveva provveduto anche a dirle messa, nessuna delle signorine aveva partecipato al funerale solo i magnifici ’paccatori’;
. era deceduta pure Gilda la cameriera del bar ‘Bardi, anche qui i ‘paccatori’ erano presenti al funerale, era diventata la loro occupazione principale;
. Ezio del succitato bar era andato in pensione;
. tutti e sei ‘paccatori’ rimasti si erano sposati ed erano diventati padri;
.  Alberto aveva conosciuto ad una sfilata di moda una modella favolosa Charlotte, oltre che bella era di una simpatia unica, sempre sorridente e disponibile con tutti. Alberto non aveva voluto figli, non voleva dividere la sua Charlotte nemmeno con un bambino tanto ne era innamorato ma…la solita dea invidiosa aveva provveduto  a distruggere la sua felicità: in un incidente stradale la sua deliziosa consorte con la sua Jaguar era andata ad incrociare un camion guidato da un autista ubriaco, morta sul colpo. Al funerale erano andati i suoi amici ma non lui, era impietrito. Aveva lasciato il lavoro, viveva con un lascito sostanzioso della zia Giovanna ed era andato ad abitare  nella sua villa, unica compagnia una badante rumena piuttosto giovane ma che lui non degnava di alcuna attenzione sessuale, niente più donne. Passava i pomeriggi e le serate al bar Bardi, in fondo alla sala un tavolino era sempre prenotato per lui, gli amici andavano a trovarlo lì, non riusciva più nemmeno a sorridere.
Pian piano Marco, Massimo, Maurizio, Augusto e Gennaro diventarono nonni e, a turno, passarono a miglior vita,. Alberto era il solo rimasto in vita sino a novant’anni suonati ma la sua era una non vita, solo esistenza.