In Treno

Andare a lavoro in treno non mi crea fastidio; non mi da fastidio che solo nel ventennio fascista i treni arrivassero in orario; non mi da fastidio viaggiare con topi e scarafaggi ed insetti vari, infondo sono di compagnia e poi neppure loro vorrebbero star lì; non mi da fastidio il dover prendere un treno che è più lento solo di quelli che si vedono nei vecchi film western; non da fastidio neppure il calore soffocante che si viene a creare dopo qualche secondo di viaggio e neppure che i nostri biglietti non bastano per l’acquisto di un condizionatore ma sono sufficienti per sigillare ermeticamente ogni finestrino; non mi da fastidio di viaggiare in un spazio talmente angusto che persino un topo troverebbe stretto e neppure il dover essere pressato, spalle alla porta della toilette (che non funziona).Nessuna di queste cose mi reca fastidio, infondo dopo aver vissuto vent’anni e più come meridionale e per di più come napoletano sono abituato a come ben più gravi.

Una sola cosa trovo fastidiosa nel fare il pendolare (benché i miei natali siano sinonimo di espansività e di chiacchiericcio) trovo estremamente snervante tutte le ciarle che tuo malgrado devi sopportare per l’intera durata del viaggio. Dopo qualche minuto passato ad ascoltare le solite ciarlatane mi verrebbe voglia di afferrare una di quelle brave ed oneste donne (ma anche parecchi uomini, non voglio fare disparità sessuali) e affogarle con l’acqua del cesso… poi ricordo che sono rotti è mi deprimo. Allora preso dalla disperazione decido di tentare il suicidio gettandomi dal treno in corsa… ma una clamorosa testata mi rammenta che i finestrini sono impossibili da aprire. Oramai preda della depressione dello sconforto tento, per distrarmi, di intavolare una conversazione genuina con ratti e scarafaggi; ma non sono proprio “conversatori platonici”.Così tra lo squittire dei ratti rimasi lì seduto immobile certo oramai di non trovare salvezza alcuna, quando all’improvviso un soffio di vento mi colpi il viso: la mia fermata! Mi feci largo fra la gente tirando calci agli stinchi e gomitate agli sterni, scavando in quella massa di carne flacida che mi ostruiva la strada come un minatore peruviano e… finalmente la vedo, l’uscita è lì, ci sono quasi, eccola… ero quasi arrivato all’uscita di quel ventre malato quando un’ennesima testata mi fece capire che sarei sceso alla prossima.