L’Angelo dell’Apocalisse

Dopo la brutta avventura di quella notte, raggiunsi il gruppo dei fratelli algonchini in un luogo precedentemente convenuto, scelto nel caso vi fossero stati problemi nella realizzazione del piano. Ero stato inseguito da un poliziotto per parecchie centinaia di metri e, sempre con quel ragazzetto w.a.s.p. (trad. white anglo saxon and protestant; bianco anglosassone e protestante n.d.a.) alle calcagna, avevo afferrato una rete metallica elettrificata adibita alla recinzione del perimetro esterno di una fabbrica della zona.
Avevo la pelle del dorso bruciata e l’epidermide sul palmo era quasi del tutto scomparsa. Il mio tocco non lasciava più alcuna impronta digitale. Questo non faceva parte del piano. Fu un regalo che misi in conto a coloro che mi volevano morto.
Io e i miei cinque fratelli di azione eravamo tutti riusciti a cavarcela e ad aver ragione dei nostri inseguitori. Scoprimmo in seguito che, per la Polizia locale, la nostra fuga non era stata messa in relazione all’incendio dei locali dell’anagrafe e archiviata come bravata di alcuni sbandati. Ripercorremmo nuovamente il cammino negli States con il nostro Ford Transit marrone che chissà come era ancora in grado di muoversi e trasportarci.
Il fatto curioso e paradossale era che nessuno aveva a New Haven un tetto sopra la testa ma tutti noi non vedemmo l’ora di tornare indietro, come se quella città fossero la nostra casa. Ridemmo e cantammo per tutto il viaggio. Lo scampato pericolo aveva ancor più rinsaldato il nostro legame.
Luna che Ride provò anche ad insegnarmi i primi rudimenti delle lingue e dei dialetti indiani. Inutile sottolineare che ogni mio goffo tentativo di parlare in cheyenne suscitò lo scoppio di fragorose risate da parte dei miei fratelli. L’unico momento in cui smisero di canzonarmi, e di considerarmi come il più buffo viso pallido che avessero mai conosciuto, fu quando parlai loro della mia katana.
In qualche modo, gli indiani nutrivano un grande rispetto per le spade. Forse ricordavano i racconti dei loro nonni relativi alle giacche azzurre, i soldati a cavallo, e quelle strane armi che chiamarono, impropriamente, lunghi coltelli. Per almeno un’ora i miei cinque compagni d’avventura ascoltarono in religioso silenzio i miei racconti sulle prodezze della spada samurai e delle tradizioni e dell’onore di un popolo così lontano da noi geograficamente, ma assai vicino per filosofia di vita. Quando raccontai loro della katana che avevo ordinato diversi anni prima da Harper e il significato della forma dello tsuki e delle iscrizioni sulla base della lama mi commossi fino alle lacrime.
Il Giaguaro è un uomo saggio e giusto esclamò Aquila Notturna e non deve aver paura di mostrare che il suo viso si bagna. Un giorno egli farà ritorno dalla sua squaw.
Passò quasi un anno da quella terribile notte, dal viaggio di ritorno a New Haven e la mia vita tra gli invisibili procedeva senza sostanziali cambiamenti. Mi stavo abituando ad essere autosufficiente, a vincere la fame e la sete, il caldo ed il freddo, ad integrarmi come reietto tra i reietti e ad osservare come la società più democratica e decadente del mondo punisce una parte meritevole dei suoi figli.
Sarebbe ipocrita e sbagliato affermare che il sogno americano si può realizzare per chiunque. Non è così. Le occasioni per spiccare il volo verso l’alto, verso il successo, capitano spesso se il portafogli è gonfio; sono altamente improbabili se stai per morire di fame. L’America è pronta a donare aiuto a chi già in grado di cavarsela da sé. Si limita ad osservare cinicamente coloro che non ce la fanno a tirare avanti. Il sistema economico favorisce l’accumulo accentrato di denaro anziché la sua distribuzione. E’ uno schiaffo alla volontà dei padri fondatori. Anziché la terra delle opportunità, l’America è diventata paese di opportunisti ed opportunismi.
Per tutto il periodo che passai insieme ai fratelli senzatetto vidi morire tanti amici. Persone che avevano avuto un brillante passato e capacità fuori dal comune, che il sistema si rifiutava di integrare e che spingeva lontano fin sull'orlo del baratro, in attesa che qualcuno di essi superasse più o meno volontariamente questo limite.
Vidi giovani minorenni dormire sotto le auto in sosta per difendersi dal freddo di un rigido inverno, raccogliere l’acqua di scarico delle grondaie per vincere la sete, rovistare i cassonetti alla ricerca degli avanzi della cena delle famiglie benestanti. Vidi e feci cose che mi strinsero il cuore.
Come poteva l’America guardare indifferente a tanta sofferenza? Come poteva pensare di risolvere i problemi mondiali se non riusciva a dare il cibo quotidiano ai suoi figli? Come potevano convivere sotto lo stesso cielo ricchezza e sopruso, abbondanza ed abbandono?
Molti amici e fratelli non ce la fecero e ci lasciarono. Tutti loro andarono oltre l’orlo del baratro. Uno di quelli che temevo fosse molto vicino ad oltrepassarlo era un w.a.s.p. Aveva una quarantina di anni ed il suo nome era Chester Gould. Il suo fisico era devastato dalla malnutrizione e soprattutto dall'abuso di alcolici.
Le sue urla, la sua agonia, i fortissimi dolori addominali di cui soffriva, avrebbero dovuto far vergognare tutti i venditori e produttori di vini e liquori. Se solo avessero orecchie per sentire, occhi e coraggio per guardare... Il suo destino, quel giorno, si incrociò con il mio. Abbastanza goffamente rubò della frutta da un piccolo commerciante del centro e si fece inseguire da due poliziotti. Si infilò nel vicolo in cui mi trovavo e dove mi ero preparato il mio giaciglio per la notte, con diverse scatole di cartone. Vedendomi, si arrestò impaurito. Vidi la refurtiva che teneva in braccio.
Comprendendo la situazione, gli presi un paio di arance dalle mani, lo esortai ad affrettarsi ed a fuggire dal lato che gli stavo indicando e da dove sarebbe stato nascosto alla vista degli inseguitori per qualche secondo. Così fece e senza parlare mi ringraziò, con lo sguardo ancora confuso per la motivazione del mio gesto. Quel giorno, gli diedi qualche possibilità in più per allontanarsi dal ciglio del baratro.
Quando arrivarono i poliziotti e mi videro al centro del vicolo si scambiarono un cenno d’intesa. Allargai le braccia voltando il dorso delle mani verso il fondo del vicolo e mostrando, così, le due coloratissime arance alla vista dei due agenti, i quali, vedendomi praticamente fermo, smisero di correre e si avvicinarono verso di me camminando, brandendo i loro due sfollagente e sorridendo come molte volte avevo fatto io, trovandomi nella loro identica situazione.
Quando mi raggiunsero presero a colpirmi con violenza fino a farmi cadere in terra, nonostante io non opponessi la benché minima resistenza. Dopodiché, mi trascinarono, ammanettato, dentro la loro auto e mi condussero fino al posto di polizia dove, sempre senza tanti complimenti, mi scaraventarono in cella.
New Haven non dilapidava i soldi dei contribuenti fornendo la prigione di tutti i confort ma dovetti ammettere che la mia reggia di cartone era decisamente più calda, confortevole ed accogliente. Mentre cercavo di alzarmi in piedi, i miei occhi concentrarono lo sguardo su un fumetto posato su un tavolino distante un metro e mezzo circa dalle sbarre. Lessi il titolo della testata. Era una vecchia serie della Marvel Comics... Red Wolf. Mentre osservavo quello che poteva essere un messaggio dello sciamano udii telefonare uno dei poliziotti che mi avevano arrestato.
Will? Ciao, sono Hanck... come stai? Tutto bene? Esordì il poliziotto conversando amabilmente con il suo interlocutore. Come sembrava diverso dall’uomo che mi aveva selvaggiamente aggredito perché mi aveva trovato in possesso di... due arance rubate.
I bambini? I rampolli crescono? Senti, tu ed Eve, perché non venite a trovarci venerdì? Mildred sarà molto contenta di rivedervi. E i bambini potrebbero giocare in giardino con mamma e papà, i quali potrebbero cucinare della carne alla griglia con il barbecue. Sì, ci possiamo contare? Lo sapevo.
A noi farebbe molto piacere, lo sai. Ah, stavo dimenticando il tono della voce dell’agente cambiò, divenne più serio, professionale, formale, meno colloquiale e baritonale. Sai che mi avevi chiesto quella cosa... se avessi avuto tra queste mura qualcuno in difficoltà... di chiamare immediatamente, sì, vedi oggi ho arrestato un senzatetto. Un piccolo reato. Niente di grave.
Un furtarello. Probabilmente, il poveraccio aveva fame. Sì. Ho capito. Va bene. Ti aspetto, allora. A oggi pomeriggio. La telefonata si interruppe con queste parole. Ricordando quanto detto da Brendan parecchio tempo prima non tardai a capire ciò che stava succedendo. Era ora che il giaguaro tornasse nella foresta e ricominciasse a ruggire.
E ancora una volta il mio mentore, lo sciamano/lupo, John Littletrees, era a conoscenza della catena di eventi che di lì a poco si sarebbero succeduti. E ciò mi confortava e mi rendeva ancor più deciso a perseguire i nostri comuni obiettivi.
Certamente, per la Gateland che stava per accogliermi tra le sue fila, io, Jonathan Perry, sarei stato l’Angelo dell’Apocalisse, l’inizio della fine di tutto. (Tratto da Gateland)