L'ape e l'orsetto

Tanto tempo fa, in un alveare nascosto nell’incavo di un vecchio tronco di quercia, viveva un’ape instancabile di nome Pilly. Il suo compito era vitale: raccogliere nettare, polline, propoli e acqua, tutto ciò che serviva alla sopravvivenza della comunità.
Quella mattina, Pilly uscì di casa con la solita laboriosa fretta, senza accorgersi che il vento non era la brezza gentile di sempre: soffiava invece con un ringhio inquieto. Appena provò ad atterrare sul volto vellutato di un grande girasole, venne afferrata e scaraventata in un vortice furioso. La forza dell’aria la fece sballottare, poi svenire, trascinandola lontano. Così lontano che, quando si risvegliò su un letto di fili d’erba umidi, persino il ricordo del ronzio delle sue sorelle le pareva lontanissimo.
Il vento si era acquietato, ma il cielo si era già tinto di arancio e viola, in corsa verso il tramonto. Poi calò la notte: un buio fitto e spaventoso. Pilly tremava. Vide piccole luci danzare a intermittenza – erano lucciole – e cercò di raggiungerle, ma più si avvicinava, più esse sembravano allontanarsi, beffarde. Volò fino allo sfinimento, finché non si lasciò cadere su un ramo nel cuore del bosco.
All’improvviso il bosco si risvegliò in un coro misterioso: il bubolare solenne di un gufo, il frinire metallico dei grilli, lo stridio delle civette e il guaito lontano di una volpe. Pilly non ebbe neppure il tempo di domandarsi chi producesse quei suoni che due fari giallastri si avvicinarono lentamente verso di lei. Terrorizzata, si rimpicciolì, convinta che la sua fine fosse vicina.
Ma una creatura dal muso tondo e dallo sguardo timido si fece avanti e disse con voce impastata:
«Non avere paura. Mi sono perso nel bosco e non trovo più la mia tana.»
«Anch’io mi sono persa» rispose Pilly, raddrizzandosi sulle zampine mentre un briciolo della sua tenacia tornava a farsi sentire.
«Sono un orsetto, mi chiamo Poldino.»
«Io sono Pilly, un’ape.»
Poldino porse la sua grande zampa impacciata. «Allora uniamo le nostre paure. Che ne dici se ci facciamo coraggio insieme?»
«Sì» assentì Pilly, poi aggiunse: «ma… tu non senti freddo? Io sto gelando!»
L’orsetto scrollò le spalle pelose. «Puoi infilarti nella mia pelliccia. È calda e morbida!»
In un istante, Pilly si rifugiò tra i folti peli trovando un tepore inatteso.
L’abbraccio fu interrotto da un ruggito lontano che si trasformò in un temporale selvaggio. Lampi accecanti e tuoni fragorosi squarciarono la notte senza tregua. Pur nascosta nel mantello dell’amico, Pilly si ritrovò presto inzuppata dalle antenne alle zampine. Poldino, paralizzato dalla paura, si era riparato sotto una grande quercia, ma la pioggia filtrava come una cascata dalle fronde piene d’acqua. All’apice della tempesta, un fulmine sibilò e colpì l’albero di fronte a loro: un ramo prese fuoco e crollò a pochi centimetri dall’orsetto, che rimase pietrificato, incapace di muoversi.
Poi, così come era arrivato, il temporale cessò. L’aria si riempì del profumo intenso della terra bagnata. Ape e orsetto, stremati, si addormentarono l’uno accanto all’altra.
Alle prime luci dell’alba, ancora avvolti dalla freschezza della rugiada, Pilly e Poldino uscirono dal bosco. Insieme guardarono il sole nascere all’orizzonte, un disco d’oro che iniziava a scaldare i loro corpi infreddoliti. All’improvviso udirono un richiamo disperato:
«Poldinooo! Poldinooo!»
Era Mamma Orsa Bruna, che cercava il suo cucciolo senza pace.
«Sono quiii! Sono quiii!» rispose Poldino con quanto fiato aveva.
Pochi minuti dopo, Mamma Bruna lo strinse in un abbraccio così forte da togliergli quasi il respiro. Voleva sapere ogni dettaglio: dove aveva dormito, cosa era accaduto. Poldino raccontò tutto, e infine presentò la sua piccola amica coraggiosa.
Grazie al suo finissimo fiuto da orso, Mamma Bruna rintracciò il profumo del nettare e accompagnò Pilly fino all’alveare.
Dentro, le api erano così indaffarate che nessuna si era accorta della sua assenza. Pilly era finalmente a casa, ma non poteva dimenticare il coraggio e la gentilezza del suo nuovo amico. Così volò verso le celle e tornò con una scorta del miglior miele dorato, un tesoro che lei stessa aveva contribuito a creare.
Poldino e Mamma Bruna ne rimasero incantati. Da quel giorno non poterono più farne a meno. E fu così che tutti gli orsi del bosco divennero ghiotti di miele, in ricordo dell’amicizia nata in una notte di tempesta.