L'autobiografia perfetta

e perciò per lui era possibile scrivere l’autobiografia perfetta, mentre secondo me era assurdo.
‐ Perché assurdo?
‐ Per descrivere la mia morte devo essere vivo – gli ho risposto bevendo un sorso di vino, un rosso ruvido, ma di una ruvidezza che fa piacere lisciare con la lingua.
‐ Falso: ti uccidi premendo nello stesso momento sul PC il tasto del punto dopo la parola "fine".
Sulle prime ci ero rimasto di sasso: era un’ipotesi che non avevo considerato e mi sembrava valida. Poi mi era venuto da ridere per via della parola – "valida" – che avevo pensato: ormai io e lui la usavamo a proposito dei prodotti notevoli che vedevamo non in una espressione algebrica ma per strada, sotto forma di ragazza scosciata. In algebra i prodotti notevoli velocizzano i calcoli, nella vita in carne e ossa invece ti rallentano il cervello: tutto il sangue del tuo corpo si concentra giù, a livello delle mutande, e la coscienza si trasferisce lì dove per quanto uno possa essere dotato si ha comunque una massa cranica inferiore. Mica starebbe tutto il giorno a fischiare su un ramo, un uccello con un cervello maggiore.
‐ Che hai da ridere?
‐ Niente, pensavo che la tua ipotesi funziona. Mi hai dato l’idea per chiudere in bellezza la mia carriera di scrittore se mai diventerò un vero scrittore.
‐ Insomma il rosso lo offri tu.
Così ora che da quella bevuta di vino sono passati troppi anni ma non abbastanza per scordare la discussione, ora che ho praticamente concluso la mia autobiografia manca solo una cosa: con una mano sto scrivendo queste parole, la destra al contrario regge una pistola che mi sono puntato contro la tempia, l’indice è sul grilletto, sto iniziando a premere, tra poco tutto sarà finito e mi auguro di avere lasciato un ultimo ricordo degno della mia fama da romanziere, ora sparo, morto.