L'Essere

Carmen era una ragazza bellissima: di statura normale, occhi e capelli nerissimi, carnagione scura, fisico snellissimo, con due tette grosse e sode come meloni… A guardarle, ti assaliva una voglia pazzesca di palparle fino all’infinito! Aveva i lineamenti dell’antico e saggio popolo azteco, ma era italianissima, e penso che ne fosse fiera, anche se non era una nazionalista, anzi adorava i popoli e le culture straniere… Fu lei, per la prima volta, a mettermi in guardia contro quella”cosa”indicibile, raccontandomi di come si sentisse male solo a guardarla: le produceva una sensazione vomitevole nel vero senso della parola, per non parlare, poi, dell’odore nauseabondo che emanava, il quale, infiltrandosi nelle narici, la faceva star male per giorni interi, fino ad intaccarne, a volte in maniera davvero disgustosa, l’eterea bellezza… Carmen la odiava a morte: avrebbe voluto toglierla, per sempre, dalla faccia della terra, ma, a quanto diceva, era una cosa difficilissima! Per dire la verità, a me non sembrava una”cosa”così immane, anzi, a volte, la trovavo piacevole; forse, anche per questo, Carmen la detestava con tutte le sue forze… Sta di fatto che, negli ultimi tempi, Carmen stava veramente esagerando e, se prima ascoltavo i suoi racconti sulla”cosa”infernale con interesse e meraviglia, ultimamente mi annoiavano a morte, anzi, cominciavo a stare proprio dalla sua parte: sì, avete capito bene, facevo il tifo per la cosa aliena, per l’essere, anche perché credevo fosse tutta un’invenzione della fervida fantasia di Carmen.


Il primo omicidio avvenne in una serata di fine settembre: l’aria estiva tardava nel farsi dare il cambio dalla brezza autunnale, così le coppiette ancora si appartavano nel buio ed isolato”vecchio molo”, dove, si diceva, ogni tanto appariva una barca fantasma, con il suo timoniere che intonava, nel vento, una vecchia cantilena sugli orrori marini. Quella sera Monique ed il suo ragazzo erano, appunto, lì, in macchina, seminudi, perché lei era ancora restia nel darsi completamente a lui e, per questo, le loro voci erano un po’ alte nel discutere sui motivi che avevano portato Monique a fare quella scelta; di lì a poco, sicuramente, alle parole sarebbero seguiti i fatti (Luke era un tipo molto più violento di quanto potesse sembrare), se, in quel preciso istante, qualcosa di viscido e informe, non fosse intervenuto, trascinandosi Monique fuori dal finestrino, così rapidamente da non farla neanche urlare: Luke era rimasto in macchina, inebetito dalla paura, a guardare, come se fosse in un cinema, un film dell’orrore in tre dimensioni… Quell’essere si stava, letteralmente, divorando Monique, ma non facendola a pezzi o che altro, la stava, semplicemente, risucchiando dentro di sé e, ad un certo punto, sembrava come se Monique e l’essere fossero una cosa sola; i conati di vomito scossero il petto di Luke così forte da fargli sembrare di stare per sputare l’anima: invece era solo la cena consumata poche ore prima! Quando tornò in sé, di Monique erano rimasti solo i vestiti: puliti e ben piegati quelli all’interno della macchina, e a brandelli insanguinati quelli all’esterno… La sbirraglia del luogo chiuse subito il caso facendo sbattere Luke in un manicomio criminale (chiaramente non avevano creduto alla versione del ragazzo), da dove sarebbe uscito, dopo due anni, completamente ristabilito e pronto per essere riammesso in società: Luke, da pari suo, avrebbe ringraziato facendo a pezzi, con un’ascia, suo padre, sua madre ed il parroco della chiesa del suo quartiere, per poi impiccarsi con una fune metallica…


 Due giorni dopo quella terribile notizia, che aveva scosso tutto il paese, Carmen venne a bussarmi a casa, e una volta apertale la porta ed avendola fatta entrare, ella, ansimando per l’agitazione, esclamò: “Lo sapevo che prima o poi sarebbe successo!”
“Cosa?”, le chiesi, non sapendo, veramente, a cosa alludesse
“L’omicidio! Non è stato quel ragazzo, ma la”cosa”!”, replicò Carmen, cominciando di nuovo a parlarmi della sua”cosa”abominevole, tanto da stancarmi subito. La feci sfogare sulle sue teorie paranoiche per più di un’ora, facendo finta di ascoltarla, poi, al limite della sopportazione umana, per non commettere un omicidio a mia volta, le inventai una scusa banale e la sbattei fuori di casa… “Succederà ancora: ammazzerà di nuovo!”, fece in tempo a dirmi, prima che la porta di casa le si stampasse sul viso che, pur bellissimo, mi era venuto a nausea!


La radio stava trasmettendo una vecchia ed inquietante canzone dei Black Sabbath, quando la voce, gracchiante, dello speaker risuonò nell’altoparlante: “Interrompiamo il programma per dare la notizia di un altro efferato omicidio, avvenuto la scorsa notte, sul lungomare est della nostra città…” Uscii di scatto dal bagno con lo spazzolino da denti ancora infilato in bocca e la schiuma che cadeva giù sul pavimento! “…Pare che gli agenti abbiano collegato quest’ultimo con l’altro delitto avvenuto una settimana fa. Anche in questo caso, della ragazza, sono stati ritrovati dei vestiti a brandelli, sporchi di sangue! Per saperne di più, vi rimandiamo al notiziario delle ore tredici.” Non era possibile: due omicidi in una sola settimana. Carmen l’aveva previsto. Dovevo andare da lei… “Adesso mi racconti per filo e per segno questa storia! È un parto della tua mente malata o c’è qualcosa di vero?” Mentre le chiedevo spiegazioni mi accorsi che stavo urlando e, soprattutto, che la stavo trattando malissimo. “Cosa vuoi insinuare? La mia mente non è per niente malata come dici tu!” Carmen stava piangendo. Mi sentii in colpa, anche se a chiunque sarebbe potuto passare per la testa ciò che era passato per la mia: comunque volli sapere… “Sta uccidendo le ragazze più giovani e carine, per diventarlo a sua volta: già altre”cose”, in passato, l’hanno fatto. Forse tu stesso sei una”cosa”, solo che adesso non te lo ricordi!” Vaneggiamenti. Quelli erano vaneggiamenti veri e propri. “Ah sì, e perché non potresti esserlo anche tu?”, le chiesi. “Perché io so di non esserlo! Sono sicura che vuole diventare più bella di me per portarti via. Ti prego, non permetterle una cosa del genere!” Mi alzai e me ne andai. Non potevo più stare a sentire sciocchezze del genere. Decisi di non rivederla più.


I giorni passavano uguali, nel triste squallore di una cittadina di provincia, resa ormai nota dal serial‐killer che imperversava su di essa. Le forze dell’ordine, finora, erano state solo capaci di elargire consigli a buon mercato, del tipo: “Non uscite di sera tardi.” “Evitate le zone isolate.” “Non appartatevi con la macchina in posti poco frequentati.” Consigli rivelatisi inutili visto che altri due delitti erano stati commessi nelle due settimane seguenti. Intanto avevo ripreso ad uscire, come ai vecchi tempi, da solo; a farmi lunghe passeggiate, serali e notturne, sulla spiaggia, forse anche perché speravo di incontrare”il mostro”, come ormai tutti lo definivano, o la”cosa”, come la chiamava Carmen… Non la vedevo da più di un mese, ma neanche lei era venuta a cercarmi: forse era meglio così, sarei arrivato ad odiarla se mi avesse ancora parlato delle sue fissazioni. Fu una notte in cui, appunto, facevo una delle mie passeggiate sulla spiaggia che la incontrai. Camminavo senza meta, rimuginando sull’ennesima giornata, che era trascorsa vuota come una bottiglia di vetro priva del suo contenuto, quando poche decine di metri davanti a me la vidi: sembrava essere sbucata dal mare, un attimo prima non c’era; la luna piena illuminava a giorno la sabbia, eppure prima non l’avevo vista! Ma, in fondo, cosa importava: sapevo solo che era bellissima, sembrava una dea, talmente erano perfette le sue forme; rimasi incantato a fissarla… “Ciao.”, disse. Ce l’aveva con me. Mi aveva salutato, ed io ero felicissimo. “Ciao.”, le risposi. Non riuscivo a spiccicare una parola: sembravo un ragazzetto di dodici anni alla sua prima esperienza… “Senti come ruggisce il mare: sembra una belva feroce che si prepara a balzarci addosso!” Esclamò. Rimasi intontito ad ascoltare la sua voce, che sembrava provenisse da un altro  mondo: un mondo incantato, paradisiaco… “Sì, hai ragione! Vengo spesso qui, ultimamente, ma non ti ho mai incontrata prima.”, riuscii a dirle non so neanche io come. “Oh, io raramente esco di sera, non so perché sono venuta sulla spiaggia: forse sapevo di incontrarti!” Non capivo più niente. Mi girava la testa, sapevo solo che mi piaceva un sacco, addirittura più di Carmen: anzi, racchiudeva in sé anche la sua bellezza… “Ma non hai paura di stare sola? Non sai dell’assassino che ha già ucciso quattro ragazze?”, le chiesi un po’ stupidamente. “Sì, lo so. La radio non parla d’altro in questi ultimi tempi, ma penso che una persona non possa privarsi dei propri piaceri per la paura di un fantasma: e poi, io non sono sola, ci sei tu con me!” Si alzò e venne verso di me: lentamente mi abbracciò e poi appoggiò, delicatamente, le sue labbra sulle mie, sfiorandole appena. Un lungo brivido, freddo, di passione, mi attraversò la schiena! La strinsi a me e la baciai con tutto l’ardore possibile: facemmo l’amore lì, sulla spiaggia. Fu bellissimo. Una sensazione mai provata prima: mi sembrò di averlo fatto per la prima volta, eppure non era così. “Come ti chiami?”, le chiesi alla fine, quando, nudi (sebbene fosse la fine di ottobre), sdraiati sulla sabbia, ci tenevamo per mano… “Che importanza hanno i nomi? Quello che conta è l’amore, il piacere di stare assieme!” E mi salì addosso di nuovo e continuammo a fare l’amore fino all’alba…


Avevo trovato un nuovo stimolo per trascinare la mia umile esistenza: non pensavo che a lei; neanche i fatti di sangue, accaduti di recente in città, m’interessavano più; anche Carmen si era dissolta, nella mia mente, come nebbia al sole! Tutto scorreva come in una fiaba incantata, fino a quando, un giorno, mentre eravamo a casa mia, sul letto, a fare l’amore, la guardai attraverso lo specchio che avevamo di fronte: una scena orrenda! Una creatura immonda, che somigliava molto al bulbo commestibile composto di varie tuniche carnose, che Carmen, nei suoi deliri, mi aveva descritto come essere vivente, era lì, davanti ai miei occhi! “No! Vai via, mostro! Staccati da me sanguisuga!” Urlai a squarciagola, mentre chiudevo gli occhi dal terrore. Ma, nel riaprirli, trovai lei, più bella che mai, che mi fissava in tono interrogativo… Mi voltai, per guardarla nello specchio: era bellissima… “Scusami, amore: scusami! Mi era sembrato di vedere…”, avrei voluto dirle cosa, ma non ne avevo il coraggio! “Cosa?”, mi chiese, molto preoccupata. “Oh, nulla; nulla! Scusami ancora.” Scesi dal letto, m’infilai lo slip e mi chiusi in bagno, dove mi sciacquai la faccia con dell’acqua gelata: era stata un’allucinazione, o cosa? Quando uscii dal bagno, lei non c’era più, se n’era andata! “Meglio così!”, dissi ad alta voce, ma  forse non lo pensavo.  Il mattino dopo andai a cercare Carmen, che ormai non vedevo proprio da tanto tempo, per dirle che ero stato uno stupido, che aveva avuto ragione sin dal principio: insomma volevo il suo perdono! A casa sua non rispondeva nessuno: chiesi, allora, al portiere, il quale, in tono molto sorpreso, mi disse: “Ma come, non lo sa? La signorina è scomparsa. Si teme che possa essere stata la quinta vittima dell’assassino, anche se non è stato ancora trovato nulla che le appartenesse!” La notizia arrivò come un pugno alla bocca dello stomaco. Mi limitai a controbattere: “Ma da quanto tempo è scomparsa? Perché la polizia non indaga?” “Eh…”, rispose il portiere… “…Ormai son quindici giorni, per questo si è pensato all’assassinio; resta solo da sperare che lo si”becchi”al più presto!” Le lacrime m’inondarono il viso. Carmen non c’era più. Volevo morire anch’io: se non altro, forse, ci saremmo rivisti da qualche parte…


Quella notte tornai sulla spiaggia, non c’ero tornato più da quando avevo incontrato lei, la”cosa”(adesso la chiamavo anch’io così); d’improvviso, in lontananza, la vidi, seduta, anzi, inginocchiata, sulla riva… Corsi verso di lei: volevo ucciderla… Era bellissima! “Ciao.”, mi disse, come la prima volta, ma sapevo, ormai, cosa fosse: e non ci cascai… “Maledetta!”, le risposi. Ma non feci in tempo a tentare nulla, che essa si era già trasformata, e si era avvinghiata su di me, in modo tale da togliermi il respiro… Un minuto dopo, di me, restavano solo dei brandelli di indumenti, sporchi di sangue, sulla sabbia… Dopo qualche altro minuto, non c’erano più nemmeno quelli: il mare, onda su onda, li aveva risucchiati dentro di sé; forse anche a Carmen era successa la stessa cosa! Mestamente, mi voltai: c’era qualcosa, in lontananza, che correva verso di me… La riconobbi subito: era Carmen… Aprii le braccia e la accolsi dentro di me: saremmo rimasti insieme per sempre…